Objection! I videogiochi narrativi piacciono ancora?

“A me, per esempio, quest’anno Naughty Dog non ha dato alcun piacere, se non quello di seguire una buona storia. Piacere che era sopperibile con un buon romanzo.” Con questa frase Synergo chiudeva un suo video di qualche mese fa, nel quale spiegava il perché non ha inserito The Last of Us Parte II nella sua top 5 dei videogiochi del 2020.
Fino a qualche anno fa sarei anche stato d’accordo con lui; oggi trovo che questa frase non ha molto senso.
Ma non è solo questo ad avermi spinto nello scegliere tale argomento per il nuovo numero di “Objection!”, bensì una situazione generale nella quale i videogiochi narrativi non sembrerebbero essere popolari come lo erano fino a qualche tempo fa.
I vantaggi della narrazione videoludica
Se volessimo considerare valida l’affermazione di Synergo, potremmo anche discutere dell’utilità della maggior parte delle opere cinematografiche e televisive, essendo queste tratte direttamente da una controparte cartacea, e dire che “il libro è meglio del film” spesso non è un luogo comune.
Uno dei pregi della narrazione nei videogiochi è proprio il saper creare storie originali, prendendo al massimo soltanto lo spunto da opere preesistenti.
The Last of Us Parte II non presenta di certo un’ambientazione mai vista prima, ma Naughty Dog ha avuto il coraggio (come affermato anche dallo stesso Synergo) di fare scelte narrative che le grandi produzioni cinematografiche non hanno il coraggio di fare, raccontando una storia umana anziché hollywoodiana. Già questo dovrebbe essere un valido motivo per accettare l’impostazione di questo gioco.
In verità esistono molti universi narrativi che rendono meglio in forma videoludica. Prendiamo in esempio The Witcher, saga letteraria che deve la sua notorietà ai videogiochi di CD Projekt RED e approdata recentemente anche su Netflix. Molti saranno d’accordo nel dire che il celebre The Witcher 3 racconta le avventure di Geralt molto meglio rispetto alla serie TV, la quale, al di là della fedeltà ai romanzi, ha più di qualche problema tra salti temporali, eventi importanti raccontati frettolosamente, e momenti trash.
Un altro esempio a riguardo potrebbe essere il videogioco Marvel’s Spider-Man, che racconta una storia migliore anche di quelle raccontate nelle opere cinematografiche più riuscite su l’Uomo Ragno.

Oltre alla qualità della narrazione, i videogames permettono alle storie di trasmettere sensazioni che altri media narrativi non sono in grado di trasmettere allo stesso modo.
Basterebbe anche solo l’esempio di Spider-Man: emozionante vederlo su uno schermo del cinema mentre si lancia tra i palazzi, ma è una sensazione diversa quella di poterlo controllare mentre oscilla con le ragnatele. Uno dei motivi per i quali Marvel’s Spider-Man è un open world adatto anche ai non amanti del genere, è proprio la possibilità di spostarsi nell’ampia mappa in maniera veloce e divertente.
Un altro esempio è il caso dei videogiochi horror, come il recente Little Nightmares II. Quando si guarda un film dell’orrore è, ovviamente, facile provare paura, ma lo spettacolo prosegue anche se lo spettatore è terrorizzato. Nei videogiochi horror è il giocatore che controlla il protagonista: se lo “spettatore” ha paura, lo spettacolo non prosegue. I videogiochi horror spingono il giocatore a trovare il coraggio per scoprire il prosieguo della storia.
Troviamo poi la narrativa nell’esplorazione: quante volte in un romanzo vengono descritti paesaggi che vorremmo visitare, oltre che immaginare? Cinema e TV permettono di realizzarli, ma i videogiochi permettono anche di viverli, di visitarli, di far scoprire direttamente al giocatore le storie che raccontano, al punto tale che, com’è risaputo, esistono storie videoludiche che narrano esclusivamente tramite la lore.
Quello di The Last of Us Parte II è un caso che include un po’ tutto di quanto appena descritto, riuscendo a trasmettere quasi perfettamente al giocatore ogni emozione predisposta, nonostante presenti un gameplay abbastanza basilare, seppur ben calibrato, con delle eccellenze, e sostenuto da una realizzazione grafica e narrativa di altissimo livello.

Tutto questo va a spiegare il motivo per il quale non ha senso dire che “sarebbe bastato un buon romanzo”. Così come le opere cartacee vengono affiancate da opere cinematografiche e televisive, possono essere affiancate anche da opere videoludiche, in quanto ognuno di questi media può essere narrativo a modo suo, ma non si può ritenere insensato un media narrativo solamente perché ne esiste già un altro.
I videogiochi narrativi non piacciono più?
Fino a qualche anno fa il mondo videoludico vedeva molti giocatori che mettevano la trama al primo posto delle qualità ricercate in un videogioco. Opere come Final Fantasy, Metal Gear Solid, ma anche Assassin’s Creed e persino GTA, venivano apprezzate per la loro trama, al punto da sopperire ai difetti di gameplay o di altro genere, oppure al punto da ignorare i pregi del gioco nel caso in cui la trama non fosse soddisfacente.
Oggi, invece, si sente dire che The Last of Us Parte II è un film mascherato da videogioco. Immagino che, a questo punto, titoli quali To the Moon o le opere di Quantic Dream non siano proprio considerabili videogiochi…
Si tratta ovviamente di un’affermazione banale, alla quale ho risposto con una provocazione, ma in questa banalità si può anche vedere il riflesso del mondo videoludico attuale. The Last of Us Parte II è stato anche un campione di incassi, ma quali sono i generi videoludici più in voga? I battle royale e gli sportivi per il multiplayer, e gli open world per il single player. Tutti videogiochi nei quali o è presente molto da fare, o c’è competizione.
Non è un caso che videogiochi con un gameplay meno vario rispetto ad altri dello stesso genere, vengano definiti addirittura noiosi e ripetitivi. Molti giocatori non capiscono che bisognerebbe valutare cosa il videogioco in questione vorrebbe offrire: The Last of Us Parte II era inizialmente pensato come un open world, ma in seguito si è giustamente deciso di limitarsi a un allargamento ben studiato delle aree (e non è vero che bisogna per forza svuotarle dai nemici: il gioco è pieno di aree vuote da esplorare liberamente per raccogliere oggetti e altro).
Molti giocatori hanno sempre da ridire sui battle royale, sui videogiochi multiplayer in generale, e sugli open world, eppure sono gli stessi giocatori odierni ad avere tendenze verso queste tipologie di videogiochi e verso le loro caratteristiche.

Ma i videogiochi narrativi piacciono ancora oppure no? Sì, ma sembrerebbero essere finiti nello stesso vortice di critiche nel quale ruotano i generi a loro contrapposti. A giudicare dalla situazione, sembrerebbe che al giorno d’oggi sia davvero necessario ogni genere videoludico per accontentare tutti. Certamente un The Last of Us Parte II eleva artisticamente il medium molto più di un Fortnite, ma lo stesso vale per i film d’autore rispetto, ad esempio, ai film della Marvel, eppure sono questi ultimi a fare ogni volta il record d’incassi.
Ciò che trovo fortemente contestabile è il ritenere poco utile il videogioco come medium narrativo solo perché esistono altri media del genere: anche a parità di valore nel racconto, un romanzo non racconta una storia allo stesso modo di un videogioco. Ancor più, non si può non tener conto di una storia videoludica nei casi in cui questa risulta migliore di quella raccontata in altri media.
Io vi do appuntamento al prossimo numero della rubrica, e vi lascio come sempre con i link agli articoli precedenti: cliccate qui per raggiungerli tutti