La Festa mobile di Hemingway
Festa Mobile di Hemingway è un libro che si può scrivere solo dopo i cinquant’anni ma che si dovrebbe leggere prima dei venti, l’attacco è tra i più belli di sempre «Poi veniva la brutta stagione».
Nel 1957 Hemingway inizia a soffrire di una forte depressione, che gli impedisce di portare a termine l’articolo su Fitzgerald per la rivista The Atlantic Monthly. Quell’anno scrive un solo racconto, A Man of the World (Un uomo di mondo). Nella primavera del 1958 riprende a scrivere con una certa regolarità qualche capitolo sugli anni trascorsi a Parigi con Hadley (la sua prima moglie) dal 1921 al 1926, dopo qualche tempo riesce a portare a termine i venti capitoli di Festa mobile e riprende a scrivere.
In verità, Festa mobile, doveva subire ancora un’ulteriore revisione che l’autore non riuscì a ultimare, il suo stato depressivo gli impediva di mettere la parola fine su quel testo-rivisitazione degli anni giovanili a Parigi.
Festa mobile si apre con un esergo significativo: «Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile».
Ancor più significativo l’incipit del primo capitolo già riportato: «Poi veniva la brutta stagione», frase breve, un’illuminazione che ci consegna subito la cifra del libro.
L’autore ci sta per narrare un apice ineguagliabile di vita e di esperienza, una stagione unica, dopo di che ci sarà solo una brutta stagione, anche se questa brutta stagione avrà i confini del successo letterario, della fama e del Nobel.
Un autore di sessant’anni, che a trenta era già un maestro, si trova a ripercorrere e a rivivere quegli anni giovanili in cui tutto ha avuto origine, gli anni di Parigi tra il ‘21 e il ‘26.
Non si tratta di semplice nostalgia ma di attualizzazione-rivisitazione di un evento passato, è l’esperienza vissuta, l’erlebnis.
Hemingway inizia a Parigi la sua carriera letteraria, un incontro fondamentale per lui, nell’ambiente degli espatriati americani di Gertrude Stain e la ‘generazione perduta’, quello con il poeta Ezra Pound, che considera fin dall’inizio un maestro e grazie al quale cominciò a pubblicare alcuni racconti e poesie su riviste letterarie.
Su consiglio di Gertrude Stein si reca nell’estate del 1924 a Pamplona per la festa di San Firmino e fu in quel luogo, a contatto con i matador del momento, Nicanor Villalta e Manuel García, detto Maera, che trasse molte delle idee che svilupperà in seguito e che gli ispireranno il romanzo Fiesta The Sun Also Riser (Il sole sorge ancora), salutato dalla critica e dal pubblico con clamore, sarà il suo primo vero successo.
A gennaio del 1924 Hemingway diede le dimissioni dal Toronto Star, il giornale con cui collaborava, e torna a Parigi. Stabilitosi in Rue Notre Dame des Champs 113, Hemingway inizia a frequentare i caffè letterari di Ford Madox Ford che aveva fondato la rivista Transatlantic review.
Durante l’anno approfondisce l’amicizia con lo scrittore umoristico Donald Ogden Stewart, inizia a frequentare più assiduamente Dos Passos e inizia a scrivere il lungo racconto Big Two-Hearted River (Grande fiume dai due cuori) con protagonista Nick Adams, già apparso in Indian Camp, contenente le linee fondamentali della sua poetica.
È in questo periodo che conosce di persona Fitzgerald, lui ha da poco pubblicato Il grande Gatsby, altro capolavoro, i due diventeranno amici, anche se Hemingway non riesce a nascondere la sua antipatia per Zelda, la moglie di Scott Fitzgerald.
Parigi, anni venti del Novecento e poi Picasso, Gertrude Stein, Pound, Fitzgerald (a cui dedica il capitolo più lungo del libro), la grande arte e la grande letteratura europea del Novecento, Joyce, Ford Madox Ford, i caffè letterari, le botteghe d’arte, per uno scrittore giovane, o aspirante scrittore, trovarsi in quella situazione è un’esperienza unica, il massimo della vitalità con il massimo dell’espressione artistico-letteraria.
Non stupisce che Hemingway abbia custodito questa esperienza e ne abbia fatto un ursprung una fonte originaria a cui appellarsi, a cui tendere, sono gli anni di incipiente povertà ma anche di ricchezza unica, se non altro nel grande vaglio delle possibilità che aveva davanti:
«I quaderni con la copertina blu, le due matite e il temperamatite (un coltello da tasca era uno spreco eccessivo), i tavolini di marmo, l’odore del primo mattino, con i camerieri che lavavano e spazzavano il pavimento, e la fortuna: Non ti occorreva altro»[1].
Questa frase assume il ruolo di poetica e di essenzialità nell’esperienza poetico-letteraria fatta dal giovane scrittore americano a Parigi, e poi sarebbe venuta la brutta stagione.
Una frase di Gianni Vattimo sarebbe piaciuta molto a Hemingway e recita: «c’è stato un tempo in cui il pugile danzava sul ring». Parigi è stato quel ring in cui il pugile Hemingway ha danzato; di più, quel pugile ha danzato e insegnato boxe a Ezra Pound.
Non si vivono momenti così senza farne il metro di paragone a cui tentare di avvicinarsi per il resto della vita, non stupisce che elaborando questo ricordo in forma letteraria gli siano mancate le forze: «Non riesco a finire il libro, non riesco […] un libro dannatamente meraviglioso e non riesco a finirlo»[2], così diceva all’amico Hotchner.
Uno stato emotivo già minato non ha resistito a quest’origine che si faceva meta da raggiungere, questa meta sfuggendo ha finito per avere la meglio sullo scrittore: «Per Parigi non ci sarà mai fine e i ricordi di chi ci ha vissuto differiscono tutti gli uni dagli altri»[3].
Non metterà mai la parola fine sulla pagina ma lo farà sulla sua vita; il 2 luglio del ’61, una bella domenica di sole prende uno dei suoi fucili da caccia, lo avvicina al viso premendo i grilletti, stava per compiere sessantadue anni.
E poi sarebbe venuta la brutta stagione.
[1] Hemingway E., Festa mobile, Mondadori, Milano, 2011., p. 61.
[2] Ivi., p. V.
[3] Ivi., p. 142.