LA REALTA’ GUARDATA CON “LA CODA DELL’OCCHIO” – ULTIMO LIBRO DI NICOLA BULTRINI
di Piergiorgio Viti
“In arte non puoi barare” dice, ad un certo punto, in una delle sue liriche, Nicola Bultrini, marcando, in maniera implicita, la sua onestà intellettuale e di intellettuale. Perché oggi, appunto, si bara. E l’arte, in molti casi, è artificio. Ma Bultrini, nato a Civitanova Marche nel 1965 e residente da anni a Roma, dove esercita l’attività forense, lo sa bene, perché i suoi versi puliti, levigati, non inciampano nei facili giochi di parole né in acrobatici sperimentalismi.
Lui è puro, un lirico capace, onesto perché “L’uomo per legge naturale/ ha il dovere di credere ciò che è vero”.Così la sua raccolta, uscita da qualche mese, intitolata “La coda dell’occhio” (edizioni Marietti 1820), nasce da quell’attenzione, comune ai veri poeti e non a quelli “d’occasione”, di sondare le cose più minute, per giungere ad una dimensione altra e più alta, a volte teologica. Il titolo della raccolta appare quindi più che appropriato. Se è vero che la coda è quell’appendice posteriore di molti quadrupedi, quindi ne è l’estremità, è altrettanto vero che la parola “coda” ha per etimologia il radicale “scad” (“skand” in sanscrito) che significa “salire, saltare, levare in aria”. Ecco quindi che, partendo dai margini della realtà, Bultrini sale, come in una scala tonale, verso una meta- ed auto-riflessione. Il mare, diventa, ad esempio, motivo per parlare-pensare-parlare, in cui però è difficile una salvezza; il ruolo di padre diventa motivo per conoscere l’umano e la notte occasione per rendicontare di come “Noi siamo gli uomini del debito, / d’altri che non so, la vita è in prestito”.