Patrick Melrose. Dal romanzo di Edward St. Aubyn alla serie tv

“Patrick Melrose” rappresenta tutti noi, perché in un modo o nell’altro crescendo impariamo ad affrontare i nostri demoni infantili.
Ci sono determinati avvenimenti nella vita di ciascuno di noi che si potrebbero definire “magici”: la prima volta che sali su una bici, con la mamma o il papà che ti tengono fino a quando mollano la presa perché tu possa “volare” da solo (alle volte, direttamente per terra: ma si sa, dagli errori si può solo imparare).
Ci sono anche quei momenti che però possono risultare drammatici, a seconda dell’età in cui li si vive: il cane troppo grande che ti salta addosso e ti spaventa, ma tu hai solo 7 anni e sei piccino picciò e come puoi capire che quel cane voleva solo giocare; quella battuta fatta a scuola dalla persona sbagliata, verso la quale magari si cercava anche di nascondere qualche interesse, che ci fa dubitare della nostra bellezza esteriore per chissà quanto tempo.
Ed infine, ci sono i veri e propri traumi infantili, che nessun bambino / bambina dovrebbe mai e poi mai subire: le violenze fisiche e sessuali. Se poi queste arrivano dal padre o dalla madre, la gravità del trauma non può che diventare sempre più grande per trasformarsi in un vero e proprio evento tragico oltre che indicibile e vergognoso per chi lo compie, doloroso e terribile per chi lo subisce.
La serie TV “Patrick Melrose”, tratta dall’omonimo romanzo diviso in ben 5 racconti diversi di Edward St. Aubyn, dipinge in maniera magistrale quell’evento che un bambino subisce dal padre e gli effetti devastanti che causerà alla sua vita, anche in età più adulta.
Ad interpretare il personaggio protagonista della storia, ritroviamo Benedict Cumberbatch che questa volta (una delle molteplici) dimostra di saper superare se stesso, affrontando un ruolo drammatico e molto distante dal suo Sherlock Holmes. La prima puntata della serie ci fa vedere un Patrick adulto, che vive completamente immerso nelle droghe, di qualunque tipo esse siano: prodotta da Showtime (in Italia sarà su Sky Atlantic da lunedì 9 luglio), la serie non lesina affatto su quello che sembra essere del tutto il tramonto dell’aristocrazia inglese, che come tutte le altre tenta di nascondere i problemi sotto il tappeto come se fossero polvere, ma che tanto a lungo non rimangono confinati lì sotto.
Un personaggio come quello di Patrick è difficile che risulti così affabile ed affascinante nel primo episodio: schivo ad affrontare la morte del padre, dedito all’alcool e alle droghe nella maniera più sfrenata che mente umana possa immaginare, il protagonista si reca al funerale del padre, lottando contro se stesso e cadendo vittima nuovamente di siringhe piene di veleno, che gli causeranno allucinazioni devianti e difficili da reggere (questo vale per lo spettatore, in quanto Cumberbatch le recita in maniera superba).
Il secondo episodio entra invece nel cuore di quel momento nella vita di Patrick in cui la sua vita è diventata un incubo: gli spettatori compiono un salto temporale indietro nel tempo, il giovane protagonista ha poco più di 6 anni e si trova nella tenuta di campagna con la mamma e il papà, per trascorrervi le vacanze estive. Fin da subito si percepisce un certo timore del bambino nei confronti del padre, mentre cerca disperatamente il conforto della madre, che però sembra costantemente distante e assente, incapace di capire i veri bisogni di suo figlio. In questa puntata si capisce l’episodio violento di cui cade vittima Patrick, mentre dentro lo spettatore monta sempre più elevato l’odio per il padre che è un essere disgustoso. Quello che davvero colpisce e fa soffrire è vedere l’espressione di sofferenza e di supplica che attraversa il viso di Patrick mentre cerca di dire alla sua mamma che cosa è successo mentre lei era fuori casa con un’amica, non riuscendoci e tenendosi dentro il segreto fino all’età adulta.
A differenza del romanzo, la narrazione scorre più velocemente e ci si ritrova catapultati dentro la vita e le esperienze del protagonista (volenti o nolenti), che per quanto non si censuri troppo su alcuni dettagli, sull’abuso di Patrick cala una nebbia a livello visivo, ma a livello psicologico anche lo spettatore si sente punto nel cuore: un altro momento tale è quanto Patrick, ormai adulto, si ritrova ad una festa sfarzosa nel pieno della sua disintossicazione e decide di rivelare per la prima volta al suo unico amico sincero, quale siano state le cause della sua dipendenza e la commozione del ragazzo è palpabile dallo schermo anche per chi lo sta ad aspettare.
Un prodotto creato ad hoc per un pubblico adulto, perché la tematica è delicata a 360° e viene affrontata con estrema delicatezza: gli abusi sessuali sui bambini purtroppo rappresentano ancora un argomento molto complicato di cui parlare, ma chi li ha subiti soprattutto negli anni in cui erano quasi un tabù deve parlarne, tirare fuori il dolore pesante e che si trascina dietro di sé peggio della propria ombra.
Forse non sarà una serie tv a dare supporto psicologico a chi ne ha più bisogno, lungi dalla mia persona suggerire ciò: ma forse, anche solo scatenare una reazione e una riflessione sul magico mondo dell’infanzia depredato della sua innocenza dai mostri umani, rappresenterebbe sicuramente un ottimo risultato.
Rebecca Cauda