Roma, Rebibbia: detenuto si impicca dopo il rigetto dell’istanza per i domiciliari
ROMA – “Si è tolto la vita impiccandosi con una corda rudimentale, costruita strappando con i denti un accappatoio”. A diffondere la notizia del suicidio di un quarantaduenne italiano, nella sua cella del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso, il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.
Il detenuto, Bruno P. che, sabato 28 marzo, con un gesto estremo, ha reso inutili gli sforzi degli agenti di polizia penitenziaria e dei sanitari, intenti nelle operazioni di rianimazione, era originario di Maiolati (Ancona), ed è il primo decesso del 2015 nelle carceri del Lazio.
Le ragioni della disperazione dell’uomo, sarebbero da attribuire alla notizia del rigetto della sua istanza di ottenimento degli arresti domiciliari, inviata ai magistrati di Genova. Come chiarisce il Garante dei detenuti del Lazio, infatti, “A Rebibbia N.C. i sanitari avevano notato le sue precarie condizioni psico-fisiche ed avevano richiesto il ricovero in clinica. Trasferito per motivi processuali ad Ancona, Bruno aveva presentato istanza per gli arresti domiciliari al magistrato di Genova (dove era indagato), ma da Ancona era stata invece accertata la compatibilità dell’uomo con il carcere. Tornato a Rebibbia N.C., sabato l’uomo ha ricevuto la notizia del rigetto della sua istanza e, in pochi minuti, si è tolto la vita”.
Ci sarebbero, inoltre, una lettera in busta chiusa indirizzata al magistrato e, in riferimento ai fatti sopra esposti, un breve testo in cui l’uomo spiegava confusamente come, in questo modo, fosse stata deliberata la sua condanna a morte.
Le indagini sono ancora in corso e dovranno chiarire le dinamiche dell’accaduto e le eventuali responsabilità.
Il disagio psico-fisico dell’uomo, in ogni caso, rendeva altresì complicata la sua permanenza in cella e la compatibilità tra le sue condizioni di salute e la situazione in carcere, fa sapere Marroni.
“Al di là della vicenda specifica, tuttavia, è evidente un dato di fondo: l’annuncio, amplificato dai media, della fine dell’emergenza sovraffollamento ha fatto scivolare in secondo piano l’attenzione del Paese sulla questione carceri – ha concluso – Ma, al di là del lieve miglioramento dei numeri sulle presenze, dietro le sbarre si continua a morire”.
Michela Maggi
3 aprile 2015