“Il coro è alchimia”: intervista a Fabio De Angelis, direttore del Coro Diapason
Riesco a fermare Fabio De Angelis poco prima del Concerto di Natale che il suo coro Diapason presenterà insieme ai Dodecafonici. Un agguato, più che un’intervista, dato che non mi ero fatto annunciare da nessun avvertimento. Eppure andato a buon fine. “Ma certo che puoi farmi qualche domanda, aspetta solo un attimo che finiamo il riscaldamento vocale“, mi dice. Non ho dovuto aspettare molto per vedere la sua assicurazione realizzarsi.
Dal 1991 che Fabio De Angelis fa il direttore di coro nella zona dei Castelli Romani, lavorando principalmente con ragazzi. Il coro giovanile Diapason è certamente uno dei suoi esperimenti meglio riusciti. Nato originariamente dalla collaborazione con i licei Touschek di Grottaferrata e Vito Volterra di Ciampino, è riuscito ad aggiudicarsi vari riconoscimenti, tra i quali il primo premio nel 2014 nella trasmissione televisiva “La canzone di Noi”, il primo premio al concorso regionale “Giovani in Coro” e il terzo posto al concorso “Cantagiovani” di Salerno, tutti e due nel 2013.
Fabio, poco fa ho avuto la possibilità di godermi una parte delle prove che avete appena terminato, e mi è sorta subito una domanda: perché c’è sempre bisogno di correggere un brano? Come è possibile che ci sia sempre qualche cosa che non va?
La risposta è che, banalmente, noi non siamo sempre gli stessi. E dato che lo strumento che noi usiamo è la voce, può capitare che non venga bene, a seconda dell’umidità, a seconda del nostro umore, a seconda delle circostanze legate al momento, anche un brano di cui conosciamo perfettamente le note e il testo. Dobbiamo infatti cercare sempre di essere al 100% per realizzare un buon suono, e questo vale soprattutto per quei brani che richiedono un certo tipo di difficoltà.
Il coro, del resto, vive di questo, è un’alchimia nella quale devono funzionare tutti i parametri, e sicuramente l’intonazione ne è uno fondamentale. Spesso succede di essere intonati; ma può anche capitare che non accada, e questo non perché il cantore non ha in mente la nota. Infatti basta pronunciare una vocale in modo leggermente diverso, basta respirare in modo sbagliato, basta essere un pochino distratti e il coro “cala”. A quel punto il direttore ferma tutto. Il pezzo deve essere sempre a fuoco: se si sbaglia, si ricomincia.
Qual è invece l’importanza del direttore di coro durante uno spettacolo? Immagino che ogni componente del coro già sappia la sua parte, i suoi tempi d’entrata; o non è così?
I coristi non valutano bene l’impatto della performance, cosa che magari una band riesce a fare bene perché sono in tre o sono in quattro e quindi non hanno questo tipo di problemi. Noi cerchiamo di cristallizzare il lavoro che abbiamo fatto, soprattutto per quanto riguarda il repertorio sacro ovviamente, e questo è il lavoro specifico a cui sono dedicate le prove. Ma un’ulteriore possibilità di crescita del coro è quella di realizzare, al momento del concerto, delle cose che possono essere leggermente diverse da quelle che si provano nelle prove. E questo può succedere solo quando c’è feeling con il maestro, quando c’è la cattura del gesto, quando c’è l’intesa esatta…
E con il coro Diapason si è riuscita a raggiungere questa intesa?
Qualche volta sì, qualche volta riesce.
Che cos’è allora il coro Diapason? Da dove viene questo nome?
Una ragazza, uscita dalle prove, mi vide con il diapason in mano e mi chiese “come si chiama questo?”. In quel periodo stavamo cercando un nome al coro, cosa che all’epoca ancora non aveva. E io glielo ho spiegato -anche se era un po’ di anni che lavoravamo insieme e quindi avrebbe dovuto già saperlo. Allora lei mi ha detto: “E allora chiamiamoci Diapason!”. In effetti così è stato, ma in maniera molto naturale. Era il 1999-2000, proprio un paio d’anni dopo che avevamo iniziato questa attività.
Ho sempre amato lavorare con i ragazzi. Più che un direttore mi sento un po’ come un “operatore culturale”: uno che in un certo senso cerca di diffondere nei ragazzi il magnifico repertorio della tradizione corale e vocale. E mi piace curarmeli, i ragazzi; mi piace che loro si appassionino a questo genere e lo vivano bene, da assoluti neofiti.
Qual è la relazione tra il mondo del coro e quello dei giovani? Ce ne sono alcuni che seguono i vostri concerti? Qual è, in generale, il vostro pubblico?
Abbiamo visto che il nostro pubblico è assolutamente eterogeneno e questo ci fa davvero piacere perché questo significa che raccogliamo consenso un po’ da tutti: dai ragazzi, dai ragazzini, fino agli adulti che continuamente ci mandano messaggi di congratulazione. Questo è veramente bello perché capiscono che il nostro è un tentativo di venire incontro al pubblico, cioè di non ragionare magari su un genere musicale specifico, ma di sventagliare un po’ tutto il repertorio possibile. Potebbe essere questo un motivo per cui abbiamo successo. Magari un certo brano non piace a una persona, ma gliene piace di più un altro, e quindi alla fine accontentiamo un po’ tutti. Questa è un po’ la cifra del coro Diapason.
Un’ultima domanda, magari un po’ a bruciapelo: cosa è per te un coro e cosa è per te la musica?
Eh, questa è una domanda veramente difficile! Potremo dire che il coro è -e magari può sembrare banale- un gruppo di persone che canta insime, e lo fa stando insieme. Non mi piacciono quei cori creati ad hoc per situazioni particolari, che possono essere concorsi o eventi. Certo, anche questo ci può stare, e il professionismo vive anche questo: vengono chiamati dei cantori qualificati e, essendo professionisti, cantano insieme tranquillamente in maniera ammirabile. E la cosa è finita lì. Ma io non amo molto quel genere, perché per me il coro è crescere insieme, stare insieme e cantare in sintonia. È fondamentale: se non c’è questa alchimia per me il coro in qualche modo cessa di essere, soprattutto in ambito amatoriale.
E per quanto riguarda la musica?
La musica è tutto quello che non riesci a dire con le parole: è quindi magia. La musica è quello che si trasmette senza dovelo spiegare. Quindi anche in questo senso il coro, che comunque utilizza le parole, riesce a suggestionare, a regalare delle sensazioni che qualsiasi testo, qualsiasi parola non riuscirebbe a esprimere. Quindi io veramente amo quando le persone escono soddisfatte perché la musica ha dato loro qualcosa e non perché si è spiegato qualcosa. Certe volte io nemmeno le spiego, le canzoni: sentitele e basta. Perché la musica ha questo potere.
Ed ora la classica domanda a piacere; c’è qualcosa che vuoi sottolineare particolarmente? Se vuoi aggiungere qualcos’altro, sono tutt’orecchi.
Posso dirti che quello che facciamo noi è un bel mestiere, purtroppo di nicchia. O apparentemente di nicchia, perché poi, nel caso nostro, molta gente ci ha seguito, e ci scrive su Facebook. Negli ultimi anni c’è effettivamente una riscoperta del fare coro; e però è pur vero che siamo ancora ai margini del crescere con la musica. Dovremo fare in modo che, così come l’attività sportiva, anche la musica, e in questo caso il coro, faccia parte del nostro curriculum spirituale. Noi possiamo fare i medici, i dottori, gli avvocati e comunque cantare anche in un coro. Noi siamo proprio dei catechizzatori, cioè andiamo in giro a diffondere il verbo del coro. Non ci sono mai troppi direttori di coro in giro e troppe persone che hanno voglia di cantare.
Daniele Di Giovenale
Twitter: @DanieleDDG
18 dicembre 2014