Vita di Galileo: una vita per la scienza
A Piazza del Collegio Romano, 4 Roma, al Liceo E. Q. Visconti, si è esibita una corposa “schiera” di attori, musicisti ed artisti, con la collaborazione di professori universi, liceali e attori dunque professionisti e non, sotto la guida vigile della preside Clara Rech. La rappresentazione teatrale: VITA DI GALILEO di B. Brecht è una rappresentazione che vede un Galileo quasi umorista sul suo genio, e mai compiacente. Vi si toccano tutte le sfere dell’epoca del XVII secolo: dalla scoperta di Copernico soprattutto, al “Caso Tolemaico” e si irradiano formule matematiche e concetti filosofici che, come lo stesso autore voleva, incontrassero altri dell’epoca quali, (anche solo nominandoli): Cartesio. Il Canocchiale Galileiano, lo stesso scienziato andò a definirlo come frutto, (poiché allora in vendita) , di una libera ricerca in libero commercio. Uno dei suoi allievi: Andrea, dice Galileo che non dovrebbe parlare della sua scoperta: le loro scoperte erano solo ipotesi, egli sosteneva in principio. Il Doge di Venezia riceve il Canocchiale ed il 10 gennaio 1610 G. fa scoperte ancora sulla teoria Copernicana. Rivela poi che la luce era mandata dalla terra perché illuminata dal sole.
Fra la Terra e la Luna non vi era, affermerà, nessuna differenza. Già G. Bruno lo aveva sostenuto. Qui Brecht fa dire al personaggio che il 10 gennaio 1610 è abolito il cielo. Ed un astro è un “sistema” attorno a cui ne girano altri quattro. Non ci sono sostegni nel cielo. Vi sono però le stelle. Nel suo sistema dell’Universo Dio è in noi, rispondendo così anche alla domanda di Sagredo. Nelle scene vediamo una figlia interessata alle sue scoperte e parte integrante del dramma. Ben presto si trasferisce a Firenze, dedicando le Nuove Stelle chiamate da lui: Medicee, ai Medici. A Lorenzo dice che al sistema tolemaico si aggiunge qualcosa che questo non sa ancora spiegare. Gli richiedono una disputa sul fatto se i pianeti esistessero sul serio, ed egli li sfida invitandoli a guardare nel suo Canocchiale. Sostiene che le stelle non sono necessarie. Non esistono calotte di cristallo, e che una cosa è l’autorità di Aristotele, (peraltro dallo stesso riconosciuta in molti fattori), ma altro è ciò che si “vede coi propri occhi”. Sostiene anche (anzi Brecht moderatamente gli fa sostenere) che “La verità è figlia dei tempi, non dell’autorità”.
Vi è tutta la drammaticità della vita di Galileo, ma il Collegio Romano pur confermando le sue scoperte, con Clavio, e pur dandogli ragione, lo esorta a non continuare i suoi studi sull’argomento. A sentir lui la Terra sarebbe una stella. Il vero problema, per la Chiesa (soprattutto per i Gesuiti) era che Galileo delineasse che Dio ponesse l’uomo ai margini dell’universo. La Terra, secondo il Papa, era al centro di ogni cosa. Ci si spostava, così, su un piano filosofico che non portava a nient’altro, anche se Clavio dimostrò la sua tesi. L’attore mostra benissimo l’entusiasmo dello scienziato nel constatare che gli danno ragione. Con una povera, seppur efficacissima scenografia, tutta imperniata su un cortile con una scrivania ed un canocchiale, il dramma appare costruttivo e ben eseguito e recitato, con più di 20 musicisti e 17 attori. Interviene il Professor Claudio Strinati a ricordare il senso rappresentato dal suo significato storico.
L’evento, egli sostiene , si rivolge al fatto che la Scuola dei Gesuiti del Collegio Romano non respingendo pure la scoperta di Galileo, lo perseguiterà, perché in opposizione con la teoria della fede di allora, come richiamavano gli studi di Sant’Ignazio, negli esercizi spirituali, ma la stessa chiesa fallì in questo poiché ugualmente a Galileo, il Loyola affermava l’incontrovertibilità degli studi; è così che sono i tempi a regnare, e nemmeno le tesi scolastiche di quei stessi tempi. La Chiesa cercava di conciliare dottrina sacra e scienza moderna, senza far soccombere mai la prima. Interessante è notare che la scuola dei Gesuiti si rende conto che tutto è vero, ma non vuole annullare l’Aristotelismo che albeggiava allora. Paolo V, poco dopo la scoperta del Canocchiale, fece costruire la sua cappella nella Basilica di S. M. Maggiore,
La cupola la farà affrescare poco tempo dopo la scoperta di Galileo. Nel 1600, solo dieci anni prima, era avvenuto il rogo di G. Bruno che fu un preambolo all’abiura di Galileo. Nella cupola della Basilica, il Cigoli rappresenta la Vergine con i piedi sulla Luna e qui si nota che è “esposta” proprio nel modo in cui aveva visto Galileo il Cielo, con la l’astro come l’aveva rappresentata lo scienziato cioè con la struttura che oggi viene visionata all’Osservatorio Astronomico. Così il Papa volle rappresentare il cielo come lo aveva narrato Galileo e, (se si può dire) “dimostrato”. La Scuola di S. Ignazio era nata, come si è detto, dagli scritti sui suoi Esercizi Spirituali, che lo stesso Borgia inaugurò e che sosteneva che la dottrina dell’uomo stesse nel comprendere le cose che studiava. Francesco Borgia fu il predicatore che volle che la scuola si diffondesse in tutto il mondo: “Alla fine del mondo”, come ci ricordano oggi le parole pronunciate il 13 marzo 2013 da Papa Francesco che forse, azzarda Strinati, avrà, col suo nome,voluto anche riferirsi a Francesco Borgia, oltre che al santo dei Poverelli. Nell’Inquisizione del 15 maggio 1616 vi “collaborò anche il Cardinale Bellarmino” , altro Gesuita di peso, Egli sosteneva che il sole sorgeva, tramontava e ritornava al suo posto, come diceva Salomone. E che il fatto che la Terra girasse non lo si potesse vedere materialmente.
Dice il Galileo di Brecht, (ma è la stessa cosa che sosterrà il Galileo del Seicento): “Io ho fede nel cervello. Ma il cervello, dirà la Chiesa, non può fare troppa strada. Gli verrà dichiarato che “Di vari fatti umani abbiamo reso responsabile un ente supremo, ed ora Voi venite a Noi a rinfacciare l’Ente Supremo di non avere le idee chiare sul moto degli astri. Dio non avrebbe portato a fondo l’astronomia “. Ma Galileo risponde che l’uomo può anche non interpretare alla perfezione la Bibbia. Lo ammoniscono di rifiutare le sue tesi. Il Sant’Uffizio avrà il compito di allontanarlo, e renderlo eretico. Buono il sottofondo dei canti e della musica. Il Sant’Uffizio non si è avvalso dell’Opera del Collegio Romano. Gli vien detto che sarà libero di dissertare su quelle dottrine, ma solo come ipotesi matematiche. Voi non ci siete più necessario di quanto Noi lo siamo a Voi, gli vien ribadito dai cardinali.
Nel 1624 riprende gli studi che gli erano stati proibiti e all’Università dirà di lavorare a nulla di interessante. Gli si chiede a Firenze delle novità della Chiesa Romana . Il cardinale Barberini era un matematico e a Galileo si ispirava. La domestica Sarti lo ammonisce di “non occuparsi delle cose del demonio”. Parlando col marito della figlia, quest’ultimo sosterrà che cos’abbia poi a che vedere l’astronomia con la Chiesa, se sui banchi di questa si sedrà la figlia di un eretico. E qui Brecht lascia intendere che Galileo abiurò soprattutto per tale motivo personale. Oltretutto quell’uomo (il marito della figlia) gli farà presente che i contadini che lavoreranno per lui, a questi “patti”, non lo avrebbero fatto più, perché un uomo di “terra” era del tutto disinteressato alle questioni matematiche o di ragionamento e di intelletto: non avrebbero saputo di come servirsene del cervello. Ma Galileo risponderà che Iddio, dato che ha creato il cervello umano, consentirà pure che persino un contadino vi possa fare esperimenti e conti.
Aggiunge anzi che forse potrebbe indurre i suoi contadini a pensare ad un metodo nuovo. I suoi allievi si esaltano, . cominciano a studiare le Macchie Solari, (tanto apprezzate anche da Cartesio). E dichiareranno che se scopriranno qualcosa di diverso dai suoi studi precedenti, si arrenderanno. Il 22 giugno 1633 Galileo rinnega la dottrina davanti alla Chiesa. Ma il Papa Barberini non gli consente udienza e approvazione. Aveva lasciato la Repubblica Medicea. La figlia prega perché abiuri. “È probabile che il signor Galileo abiuri, dicono gli allievi. Si esaltano di nuovo per ciò che hanno imparato da lui”. Non cede: ha inizio l’era della scienza. Ma con la Campana di S. Marco abiura. La figlia lo abbraccia, ma gli allievi gli sono contrari. Nel 1642 vivrà fino alla morte a Firenze dove scriverà “I DISCORSI SULLA SCIENZA” e resterà prigioniero della chiesa. Un suo allievo gli dirà che andrà ad Amsterdam. A lui è giunta notizia che la chiesa è contenta di quest’ultimo. Laggiù la sua abiura ha dato, sostiene l’allievo, un contraccolpo a tutti gli studi svolti fino ad allora. Cartesio ha chiuso il suo TRATTATO SULLA NATURA DELLA LUNA.
Ha riscritto i DISCORSI. I DISCORSI nelle mani dei “frati”, quando in Olanda o in qualsiasi altra parte del mondo venderebbero la camicia per averli, riafferma.
Galileo gli consegnerà la copia solo se avrà la possibilità di portarla lì in Olanda in più per accedere a chi ha sede nel Sant’Uffizio. Ma gli dice anche di nasconderla . Per Andrea (questo il suo allievo), ciò cambiava tutto, però anche sull’Etica aveva separato tutti . Uno dei suoi motti era: “Nuova scienza, nuova etica”. E rivelerà a questi che aveva abiurato perché il dolore fisico lo spaventava. Nonostante ciò restò sempre convinto che la scienza debba contribuire alla scienza. Anche nella sua nuova posizione può insegnare che la scienza è figlia del Dubbio (Cartesio), e che se la dottrina dello studio dei cieli è stata vinta dal Dubbio, ad ogni nuovo “Eureka” si sostituirà un nuovo grido universale. Per ciò che ha compiuto lui non c’era posto nei ranghi della scienza, ma la figlia sosterrà che vi sarà stato posto nei ranghi della Fede. Ma egli pensa sia nata una nuova epoca. Andrea sosterrà che può solo dire che la sua crudele analisi sia l’ultima parola. I giudizi degli amici del passato lo mettono in agitazione. Ma sarebbe necessaria una ripresa del discorso storico e filosofico di Galileo sostenendo che: il fatto essenziale è che Galileo abbia portato il Canocchiale all’interno della scienza., che esistevano pregiudizi nelle sfere ecclesiastiche nei confronti delle arti meccaniche. In breve va sottolineato che la fiducia di G. in uno strumento della meccanica, sia progredito solo per pratica. Egli trasforma il Canocchiale in un “pezzo decisivo di sapere”. Effettuerà altre osservazioni per il rafforzamento della dottrina di Copernico. Egli mostra le Fasi Lunari, ciò sarà spiegabile con la teoria copernicana e non con quella aristotelica eTolemaica. Galileo dice di essere sicurissimo che le stelle fisse non abbiano bisogno dell’irradiazione del sole.
Copernico aveva affermato che: “tutte le sfere ruotano attorno al sole e il centro dell’universo è intorno ad esso”. Contro l’interpretazione strumentalistica delle teorie di Copernico, data da Osiander, si scaglia ne “LA CENA DELLE CENERI” G. Bruno, il quale afferma che quanto Copernico scrive stia a dirci a chiare lettere che lui non è solo “matematico che suppone” ma anche “fisico che dimostra”. Nel 1615 Foscarini pubblica a Napoli LETTERA LA OPINIONE DI PITAGORICI E DEL COPERNICO. Foscarini invia a Bellarmino il suo trattatello, e risponde, Bellarmino, con una lettera breve che aveva poco tempo per leggerlo e lui poco tempo per scrivergli . Ricorda al Padre Foscarini che come egli sapeva il Concilio proibiva di esporre le scritture contro il comune consenso dei Santi Padri. Ma le cose vanno oltre, giacchè, supposto che non ci fosse vera dimostrazione, che sia la terra che gira intorno al sole, bisognasse andare con molta considerazione a dimostrare il contrario. “Mi pare disse che il signor Galielo faccia prudentemente a contentarsi, di parlare e non più; supporre in senso assoluto del tutto.
G. non era per; dell-‘opinione di Bellarmino. , per lui le sensate esperienze e le certe dimostrazioni stavano lì a gridare la verità del sistema copernicano. Se si suppone, come faceva il cardinale, e con lui la chiesa che i passi della Bibbia riguardanti il sistema del mondo, siano assolutamente veri e intoccabili, lo scontro frontale tra questa e G. diventa inevitabile. Ed egli dovette cedere. Ma prima vediamo in che modo G. concepiva i rapporti tra scienza e fede. Questi teorizza la demarcazione tra proposizioni scientifiche e proposizioni di fede, reclamando l’-autonomia delle conoscenza scientifiche, ma d-altro canto quest’autonomia delle Scienze e delle Sacre scritture trova la sua giustificazione nel principio secondo cui –l’intenzione dello Spirito Santo sia di insegnare come si vada al cielo e non come vada il cielo. L’autonomia della scienza : tutto ciò di cui possiamo aver notizia attraverso le “sensate esperienze” e le dimostrazioni è sottratto all’autorità delle Scritture . Però, se le Scritture non sono un trattato di astronomia, quale è mai il loro scopo?
A siffatti interrogativi egli risponde: stimerei che l’autorità delle sacre Lettere avesse avuto la mira di persuadere principalmente agli uomini quegli articoli e proposizioni che non potevano per altra scienza, né per altro mezzo, farcisi credibili che per la bocca dello stesso Spirito Santo. Molti passi delle scritture hanno bisogno di interpretazioni adeguate. La scrittura è necessaria per la salvezza dell’uomo; gli articoli concernenti lo stabilimento della fede sono così fermi, che contro di essi non è pericolo alcuno che possa “insurgere mai dottrina valida ed efficace”. La Scrittura non ha alcuna autorità per tutte quelle conoscenze che possono venir stabilite a opera di sensate esperienze. La scienza è autonoma: le sue verità si stabiliscono con sensati esperimenti e non in base all’autorità delle Sacre Lettere. Secondo G. scienza e fede sono incommensurabili e compatibili. Dopo aver affermato, il Sant’uffizio, le teorie Tolemaiche, il 24 febbraio tutti i teologi riconfermano che la teoria galileiana era erronea riguardo alla fede. Dopo che acconsentì ad abbandonare gli studi impostatigli dal Card. Bellarmino il 26 febbraio, Galileo rimase a Roma per altri tre mesi chiedendo al Bellarmino di poter controbattere le calunnie e le accuse, ma non accettò, seppur espresse sentimenti di “somma reputazione” nei suoi confronti.
Nel 1623 viene eletto Papa il Barberini, col nome di Urbano VIII, estimatore di G. che, rinfrancato, riprende la battaglia culturale. Nel PROEMIO della sua opera scrive di considerare la teoria di Copernico “pura ipotesi matematica”. Così vi è la fine della concezione comune alla dottrina aristotelica. Urbano VIII fu convinto dagli avversari di G. che il suo DISCORSO SOPRA I MASSIMI SISTEMI DEL MONDO costituisse un affronto all’autorità del Papa. Nel 1632 venne convocato al Sant’Uffizio. Il 12 Aprile G. è lì davanti, e nel 1633 vi è l’abiura. Cartesio espresse il suo stupore alla condanna. Ma G. sarà sempre dell’idea che il metodo scientifico consista nelle sensate dimostrazioni e nelle necessarie esperienze. Fu così che G. a Belisario espresse il desiderio di esser considerato, oltre che matematico, anche filosofo.
Non è più difficile comprendere come questi sia stato il teorizzatore del Metodo Ipotetico-Deduttivo. Kant e Torriccelli compresero che la Ragione vede solo ciò che lei stessa produce e costringe la Natura a rispondere alle sue domande. Bisogna, sulla rappresentazione, poi, aggiungere che la finzione scenica di Brecht è programmaticamente scoperta , alle volte sino all’infantilismo; sdegnate le ovvie giustificazioni necessarie ad un minimo di credibilità; incisi i tratti degli eventi e delle persone, talora con indubbia genialità, ma talora oltre i limiti della caricatura e del grottesco. Finisce che spesso, dall’opera sua, si esprima un senso di orrore, più che di comunione e di pietà. Ma, scrittore tipico di un’età quanto mai angosciata, B. non può essere ignorato nella storia del nostro costume, dove ha parte incancellabile, e tutto ciò è ben riscontrabile nella narrazione drammatica svoltasi al Visconti il 20 settembre 2013, a concludere l’Estate Romana, proseguendo, in realtà fino al 26 di questo mese.
Michela Gabrielli
22 settembre 2013