La riforma penitenziaria è legge: no a misure alternative e giustizia riparativa

Giovedì scorso, 27 settembre, il Consiglio dei ministri ha approvato la riforma penitenziaria dopo un iter durato 3 anni, da quando cioè l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando aveva aperto i lavori nel 2015.
Diventa legge una riforma volta a migliorare la qualità della vita intamuraria delle persone recluse, ma che purtroppo pensa in piccolo, non accogliendo le proposte degli esperti.
Rispetto alla riforma originaria, quella del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, non ha carattere perché non ripensa un sistema penitenziario che continua a produrre tassi di recidiva impressionanti, capaci di sfiorare il 70 per cento.
La falla è proprio nel principio: questo governo nasce e continua ad estendere il proprio bacino di utenza in nome del ripristino della sicurezza e dell’ordine pubblico. Ebbene, la sicurezza non passa attraverso la punizione cieca, ha bisogno di vivere nella legalità e di respirare la concreta possibilità di una vera giustizia riparativa.
Le misure alternative alla detenzione rappresentavano il ponte di collegamento perfetto tra l’ottica responsabilizzante di cui deve farsi carico il sistema penitenziario e la sicurezza pubblica.
Lo spiegava in modo esemplare Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, a Il Dubbio, lo scorso agosto: «Finché le persone non le sperimenti, e le tieni esclusivamente all’interno di un mondo chiuso e che magari me lo rendi anche bello, non capirai mai come reagiranno al mondo esterno. Ciò non garantisce, quindi, nemmeno la sicurezza sociale».
La bocciatura della precedente riforma è spiegabile in ordine a due questioni centrali per l’esecuzione penale: l’introduzione delle misure alternative alla detenzione e l’attivazione della giustizia riparativa. La riforma non era stata completamente approvata neanche dal precedente governo che di fatto la bloccava a fine legislatura, rimettendo l’onere nelle mani del neo governo giallo-verde.
Cosa prevede la riforma penitenziaria di Bonafede
Il testo approvato fa alcuni passi in avanti nella nostra legislazione: in apertura viene richiamato il dovere dell’amministrazione di garantire il rispetto della dignità personale, nonché il rifiuto di ogni violenza fisica o morale.
Limita la pratica all’isolamento penitenziario e sottolinea il principio di non discriminazione nei confronti dei detenuti in ragione della religione, dell’orientamento sessuale o della nazionalità.
Predispone maggiore attenzione alla conformità della vita penitenziaria con quella esterna, aumentando le ore minime che i detenuti possono trascorrere all’aperto e prendendo in considerazione le richieste di prossimità tra l’istituto penitenziario e la famiglia del recluso.
Il decreto modifica sostanzialmente alcune parti dell’ordinamento penitenziario, come l’assistenza sanitaria, la semplificazione dei procedimenti per le decisioni di competenza del magistrato e del Tribunale di sorveglianza, nonché le disposizioni in tema di vita penitenziaria e lavoro.
Interviene finalmente con nuove disposizioni nell’ordinamento penitenziario e nell’esecuzione penale nei confronti dei condannati minorenni.
Assistenza sanitaria (qui il testo)
Il decreto riordina la medicina penitenziaria, confermando il servizio sanitario nazionale come primo operatore all’interno delle strutture detentive. Modifica la disciplina della visita medica generale di ingresso: il medico ha l’obbligo di annotare nella cartella clinica tutte le informazioni riguardo a eventuali maltrattamenti o a violenze subite, “anche mediante documentazione fotografica”.
Vengono aggiunti trattamenti sanitari che i reclusi possono richiedere in carcere a proprie spese, nominando “un esercente di una professione sanitaria di loro fiducia” e in particolare includendo gli interventi chirurgici nei reparti clinici interni al carcere, con il consenso della Asl competente. Il decreto prevede controlli sanitari in carcere da parte della Asl anche a seguito di segnalazioni ricevute.
Lavoro (qui il testo)
La riforma penitenziaria approvata interviene sul rafforzamento del ruolo del lavoro considerato strumento essenziale nel trattamento rieducativo dei detenuti.
Il lavoro deve essere remunerato e non afflittivo: non può costituire un obbligo, ma può essere incentivato ai fini di prospettive risocializzanti. Il decreto aumenta la liberazione anticipata per chi partecipa gratuitamente a progetti di utilità sociale: un giorno di libertà per cinque di lavoro.
I lavori di pubblica utilità continuano ad essere inaccessibili per i condannati rientranti nei reati dell’articolo 4 bis.
Qualora i posti di lavoro in carcere non fossero sufficienti a soddisfare le richieste della popolazione detenuta, la riforma prevede la rotazione tra i detenuti. La retribuzione viene adeguata ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi.
Promuove l’attività di ‘autoconsumo’, in conformità all’utilizzo degli spazi agricoli a disposizione, sfruttabili per produrre generi alimentari per il consumo o per la vendita, negli spacci aziendali dell’amministrazione penitenziaria.
«Gli organi centrali e territoriali dell’amministrazione penitenziaria stipulano apposite convenzioni di inserimento lavorativo con soggetti pubblici o privati o cooperative sociali interessati a fornire opportunità di lavoro a detenuti o internati».
Reclusione dei minori (qui il testo)
Per quanto riguarda la riforma dell’ordinamento penitenziario nei confronti dei minorenni e dei giovani adulti (al di sotto dei 25 anni), la riforma penitenziaria fa esplicito riferimento ai bisogni educativi dei minori.
Stabilisce che «L’esecuzione della pena detentiva e delle misure penali di comunità deve favorire percorsi di giustizia riparativa e di mediazione con le vittime di reato», ai fini di una più adeguata e soddisfacente responsabilizzazione. Il decreto si orienta infatti verso percorsi di trattamento rieducativo individualizzati.
Applica la sorveglianza dinamica, un più ampio accesso alle misure alternative e di comunità, per escludendo i reclusi secondo l’articolo 4bis, e un minore ricorso all’isolamento.
L’intervento legislativo nei confronti di condannati minorenni ha l’obiettivo di inserirsi entro il quadro normativo ampiamente richiesto dalla Corte costituzionale e di onorare gli impegni assunti dall’Italia con la sottoscrizione di svariati atti internazionali ed europei.
Le misure alternative vengono sostituite da “misure penali di comunità”, ossia misure alternative specifiche e destinate esclusivamente ai condannati minorenni e giovani adulti. Si tratta di affidamento in prova al servizio sociale, affidamento in prova con detenzione domiciliare, detenzione domiciliare, semilibertà e affidamento in prova terapeutico.
L’ammissione alle ‘misure di comunità’, così come la revoca, appartengono alla competenza del tribunale di sorveglianza per i minorenni, mentre l’applicazione in via provvisoria è demandata al magistrato di sorveglianza.
Quanto alla concessione la riforma prevede che il provvedimento possa essere adottato su richiesta dell’interessato, del difensore e dell’esercente la potestà genitoriale se il condannato è minorenne o su proposta del Pm o dell’ufficio di servizio sociale per i minorenni.
Mancanze e criticità della riforma penitenziaria
Dalla relazione del governo Conte emerge la «mancata attuazione della delega nella parte complessivamente volta alla facilitazione dell’accesso alle misure alternative e alla eliminazione di automatismi preclusivi».
Non solo, come precisa Mauro Palma, l’attuale riforma non ripensa minimamente i temi caldi e centrali dell’esecuzione penale, come la «valorizzazione del volontariato, il riconoscimento del diritto all’affettività, nonché di revisione delle misure alternative finalizzate alla tutela del rapporto tra detenute e figli minori».
L’urgenza di rivedere la questione dei bambini in carcere è stata tragicamente dimostrata circa due settimane fa nel carcere femminile di Rebibbia, dove una detenuta, che stava scontando la sua condanna in carcere insieme ai suoi due figli, li ha uccisi gettandoli dalle scale.
Nel decreto, inoltre, continua a mancare l’equiparazione tra detenuti affetti da patologie fisiche e quelli che riportano malattie psichiatriche, rimarcando ancora l’impossibilità, per i secondi, di ottenere i benefici previsti per i primi.
L’attuale riforma penitenziaria ha mantenuto comunque diverse parti del testo originale, quelle volte a migliorare la qualità della vita intramuraria, ma Palma sottolinea che «alcune delle norme, con qualche piccola correzione, purtroppo finiscono per avere una accezione minimale. Se nel testo originale era indicato un dovere, adesso in alcuni passaggi risulta una possibilità».
Carceri, l’urgenza dell’umanizzazione della pena (parte 1)
Carceri, il senso della pena: la testimonianza di un detnuto a Rebibbia (parte 2)
Carcere, il punto su sovraffollamento, Opg e Rems (parte 3)
Carceri, figli detenuti insieme alle madri: i primi passi in prigione (parte 4)
Pelican Bay e Dylann Roof: due esempi di ingiusta giustizia
Notizie dal carcere: morire d’estate insieme alla riforma penitenziaria