Il 2022 videoludico e il “more of the same” necessario

Il 2022 per il mondo videoludico è stato un anno diverso rispetto a quanto preventivato fino a metà 2021.
A causa della persistente crisi dei semiconduttori, e delle restrizioni dovute alla pandemia di COVID durate fino a un anno fa nella maggior parte dei paesi del mondo, la fornitura di console next gen è stata molto complicata, ritardando così lo sviluppo di molte produzioni videoludiche e cambiando i progetti iniziali.
Nell’anno che sta volgendo al termine è entrata in gioco anche la terribile situazione in Ucraina a peggiorare il tutto. Vedasi il rinvio di S.T.A.L.K.E.R. 2 a data da destinarsi, a causa delle condizioni precarie in cui è costretto a lavorare il team di sviluppo (alcuni di loro addirittura combattono con l’esercito ucraino, e uno di loro ha anche, purtroppo, perso la vita).
Nonostante ciò, il 2022 non è stato affatto un anno privo di grandi produzioni, anzi se ne sono viste molte di più rispetto al 2021, sebbene la maggior parte di queste siano state cross-gen.
Il gattopardismo di Elden Ring
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi ”. In questo momento delicato per l’industria videoludica era assolutamente necessaria una mossa del genere, ma vista in maniera positiva.
Elden Ring potrebbe essere considerato come il caso più eclatante di “more of the same” del 2022 che, paradossalmente, da l’idea di qualcosa di diverso.
Il primo impatto, riscontrato un po’ da tutti, è stato quello di un sequel spirituale di Dark Souls III. Dopo la sensazione di cambiamento, seppur evolvendo lo stile della FromSoftware di Miyazaki, avuta con Sekiro, si è passati all’impressione di star giocando, in fondo, un Dark Souls III open world.
Bellissimo, ma è davvero questo l’unico motivo per il quale Elden Ring ha intrattenuto e continuerà ad intrattenere tantissimi giocatori per centinaia di ore di gioco?
In verità, Elden Ring ha dato agli appassionati del genere quel tutto che hanno sempre desiderato da questo tipo di videogames.
Ad esempio, viene riproposta la celebre narrazione tramite la lore ma in un open world, quindi con tanto da scoprire, tanto da capire, e tanto da condividere con la community per aiutarsi a vicenda, anche tramite i particolari messaggi da poter scrivere in-game.
Sul lato gameplay, le piccole novità introdotte cambiano molto nella struttura tipica dei “Souls”. Il salto permette l’estensione in verticale di numerose aree, lo stealth permette di evitare folti gruppi di nemici (o di far fuori silenziosamente chi allarma tutto il gruppo), la cavalcatura permette boss fight spettacolari altrimenti complicate, e il corredo da creazione permette una continua fornitura di power-up e oggetti da lancio (grazie ai materiali da creazione onnipresenti nel mondo di gioco).
L’insieme di queste caratteristiche ha permesso anche la creazione di un “Souls” meno dedicato e più commerciale, pur mantenendo la sua espressione artistica.
Si è spaventati da una sfida in particolare? In un open world così grande ce ne sono tante, basta provarne un’altra. Potrebbe anche essere l’occasione per diventare più forti. Così facendo si prova anche il piacere della scoperta, ci si confronta con la community, e si potrebbe venire spinti verso quella lore che anch’essa un po’ spaventa, ma che per l’occasione è stata resa meno criptica rispetto agli ultimi lavori e forte del fascino dello stile politico di George R. R. Martin.
Elden Ring ha fornito un nuovo modo di immergersi in un universo fantasy.
Si tende a utilizzare il noto aforisma di Henry Ford sull’innovazione, ma in questo caso FromSoftware ha sfruttato i mezzi a sua disposizione per creare qualcosa che i giocatori, aspettandosi l’innovazione, non sapevano di volere.
In fin dei conti, cosa si intende davvero per “innovazione videoludica”?
FromSoftware cambiò tutto con Demon’s Souls e Dark Souls, eppure il genere Souls-like è nato dall’andare a proporre nuovamente elementi ludici del passato in una versione moderna.
Tali elementi videoludici erano proprio ciò che serviva in quel determinato periodo storico fatto di titoli sempre più cinematografici e sempre più facili.
Lo stesso Elden Ring prende spunto dallo stile open world di The Legend of Zelda: Breath of the Wild e dai meno noti titoli di Piranha Bytes.
A volte, se non è possibile offrire al cliente qualcosa di diverso, potrebbe bastare anche il cavallo più veloce. Il cavallo in questione (magari un destriero fantasma) potrebbe comunque essere in grado di cambiare l’esperienza e il mercato.
Quale innovazione si desidera?
Dovendo decidere chi tra Hidetaka Miyazaki e Hideo Kojima ha creato, negli ultimi anni, l’opera videoludica più originale, andrebbe sicuramente premiato il papà di Metal Gear.
Nonostante ciò, i titoli FromSoftware hanno contribuito a creare un nuovo genere videoludico e hanno influenzato diverse altre produzioni, mentre le novità proposte da Death Stranding sono rimaste circoscritte ad esso e, probabilmente, a quello che sarà il suo sequel.

Conseguenze dovute al fatto che “originale” non è per forza sinonimo di “migliore”.
Ad esempio, Death Stranding avrebbe potuto cambiare la gestione della fisica almeno tramite l’uso del motore di gioco Decima, quindi in Horizon Forbidden West, ma è sicuro che il concept di Horizon si presti a questa innovazione?
Questo pensiero nacque nel 2017, quando Horizon Zero Dawn dovette confrontarsi con il concept innovativo di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ma la storia di Aloy non è quella di Link né quella di Sam “Porter” Bridges.
Quanti giocatori, impersonando un’eroina allenata fin dall’infanzia ad essere perfetta nell’atletismo e nel combattimento, vorrebbero avere a che fare con stamina, equilibrio e terreni friabili?

Va anche detto che Horizon Forbidden West è uno di quei titoli programmato inizialmente come esclusiva PS5, per poi essere costretto a diventare un videogioco cross-gen. Per quanto migliorato in tutto rispetto al predecessore, la sua natura pone dei limiti.
Questo è un altro problema per l’innovazione: come si possono creare videogiochi next gen dati i problemi di fornitura delle medesime console avuti negli ultimi due anni?
Inoltre, con l’avanzare delle generazioni aumenta il costo dei videogiochi, per tanto andrebbero ponderati gli investimenti nelle produzioni, specialmente ora che l’utenza è allettata da servizi come il Game Pass.
Da valutare anche l’interesse dell’utenza verso le possibilità di giocare da tablet e su cellulare, grazie ai nuovi sistemi di cloud gaming ma anche a titoli online pensati sia per macchine casalinghe che per dispositivi mobile.
Vale la pena fare un investimento su attori di cinema e serie TV per interpretare i personaggi di un videogioco, come fatto da Death Stranding, quando i gamers vogliono giocare su un tablet?

Sta di fatto che investimenti del genere vanno messi in conto, perché l’utenza vuole la next-gen, si è lamentata della sua latitanza in questi primi due anni di PS5 e Xbox Series X, e in genere sono le produzioni Tripla A a far avanzare le generazioni videoludiche.
Ma cosa si desidera dalla next gen? Prendendo ad esempio due titoli molto attesi come Star Wars Jedi: Survivor e Marvel’s Spider-Man 2, i fan si aspettano per caso qualcosa di diverso da un “more of the same” che vada a correggere i difetti dei prequel e che esprima al meglio la loro essenza privo dei limiti della old gen?
Probabilmente così sarà e renderà comunque felice la maggior parte dei giocatori, perché una proposta del genere coglie un’esigenza dei fruitori di questi due titoli, ovvero non la volontà di trovare in essi un nuovo modo di giocare, bensì quella di avere la migliore esperienza videoludica possibile di Star Wars e di Spider-Man.
Un po’ come l’attesissimo Hogwarts Legacy, pur essendo cross-gen, al quale sicuramente verranno perdonate molte sbavature di gameplay in cambio di quella che promette di essere la miglior esperienza del mondo di Harry Potter che si sia mai vista in un videogioco.
Il “more of the same” non è una novità moderna
Non v’è dubbio che dalla next gen e dalla fine dell’ottava generazione videoludica, ci si dovrebbe aspettare qualcosa di concettualmente diverso rispetto al passato, specialmente in un 2022 dove la critica e l’utenza hanno segnalato numerosi titoli nettamente inferiori persino a opere di dieci e più anni fa.
Diverso è pensare che i videogiochi debbano necessariamente rinnovarsi ad ogni nuova opera, fosse anche un sequel come God of War Ragnarok che ha visto la serie a cui appartiene essere stata appena rinnovata dal predecessore.
Questo pensiero nasce dall’idea errata secondo la quale i videogiochi di un tempo cambiavano completamente la saga ad ogni nuovo capitolo.
Se è vero che l’avanzamento tecnologico dell’epoca e la minor difficoltà nello sviluppare un videogioco permettevano tutto ciò, è anche vero che sono state apprezzate moltissime serie che proponevano pressoché lo stesso titolo ogni anno sotto forme diverse.
Insomma, se sono bastati due remake a testa per riproporre le trilogie di Crash Bandicoot e Spyro, un motivo ci sarà.
Ma il passato è anche un esempio di come il “more of the same” può benissimo cambiare l’esperienza di gioco, vedasi la prima trilogia di Resident Evil o il passaggio da Tomb Raider a Tomb Raider II.

Cambiare tutto per non cambiare niente? In realtà, a volte basta cambiare poco per cambiare tutto. L’importante è capire quando è il momento di passare da un videogioco derivativo a uno stravolgimento totale.
Il 2022 avrebbe mai potuto essere l’anno giusto per questo? Dopo tutti i problemi causati alle produzioni di console e videogiochi dagli eventi degli ultimi due anni?
Sicuramente si sarebbe potuto far meglio in fase di comunicazione, fondamentale in un mondo social dove le prime impressioni, i moralismi e le reazioni d’istinto sono all’ordine del giorno, ma con un po’ di ragione si dovrebbe accettare abbastanza positivamente molte delle produzioni di quest’anno, dai Tripla A agli indie.