Objection! The Last of Us Parte I – Un remake che sa di dietrofront…

The Last of Us Parte I in arrivo il 2 settembre su PC e PS5. Un remake tanto atteso quanto ritenuto poco sensato: cosa potrebbe effettivamente cambiare dal gioco originale?
Il nuovo numero della rubrica “Objection!” non vuole essere tanto una critica al remake “non necessario”, quanto alla possibile natura del fanservice che motiva questa operazione.
Un fanservice che potrebbe essere letto come un dietrofront di Naughty Dog, dopo tutte le lotte contro le critiche di due anni fa.
The Last of Us Parte II – Una volta per tutte…
Le critiche contro le quali ha dovuto lottare Naughty Dog due anni fa, sono ovviamente quelle subite da The Last of Us Parte II.
Critiche mosse inizialmente da motivi omofobi, visto il bacio tra Ellie e Dina mostrato fin nel primo trailer di gameplay (ancor più assurdi per il fatto che l’omosessualità di Ellie fu rivelata già nel DLC del primo capitolo), si sono intensificate a causa di alcuni leak, confermati poi, in parte, dal gioco completo.
In poche parole, si potrebbe dire che la storia di The Last of Us Parte II non è piaciuta a molti perché non inizia e non finisce come avrebbero voluto.

Si è discusso a lungo e si continuerà a discutere di questi giudizi, ma si potrebbe affermare che, soggettivamente parlando, si può preferire il viaggio di Ellie e Joel in The Last of Us, ma da un punto di vista oggettivo, The Last of Us Parte II è tranquillamente considerabile superiore in tutto, anche nella storia.
Una storia umana anziché hollywoodiana, composta da un intreccio narrativo che la rende diversa e coraggiosa anche rispetto a tante opere cinematografiche.
Nulla vieta a un giocatore di non voler approfondire troppo la narrazione e giocare in scioltezza (ma perché scegliere The Last of Us in tal caso?), ma bisogna rendersi conto che esistono appassionati, sia giocatori che sviluppatori, che da tempo puntano ad elevare il videogioco a qualcosa in più di un semplice medium di intrattenimento, come avviene con altri media.
Il videogioco è già di suo un medium che si presta più degli altri a manovre commerciali, si dovrebbero evitare i tentativi di affossare le sue forme artistiche per motivi infantili e stupidi.
Dopotutto, il vantaggio del medium videoludico sta proprio nel riuscire a proporre autorialità anche in prodotti mainstream: videogiochi come, appunto, The Last of Us Parte II, o Elden Ring, per fare un altro esempio, non sono adatti a tutti i gamers, ma risultano comunque i più venduti nel loro periodo di lancio.
Lo stesso non si può dire del cinema, ad esempio, dove i film in corsa per gli Oscar spesso non sono gli stessi campioni d’incassi al botteghino.

Paradossalmente, non capire gli elogi alla narrazione di The Last of Us Parte II, significa non aver ben compreso la storia del primo The Last of Us, per il quale, effettivamente, si legge di molta empatia dei giocatori con i protagonisti che tende a coprire i lati oscuri di essi, nonché la stessa empatia che sembrerebbe non far notare a molti la controversia del finale.
Non c’è bisogno di trovare giustificazioni per l’intreccio di The Last of Us Parte II: le risposte sono già presenti nel prequel.
Un remake che sa di dietrofront…
Se la componente narrativa dei due capitoli di The Last of Us è facilmente esposta ad opinioni soggettive, diversa è la questione del gameplay.
Ecco allora che il miglior modo per proporre The Last of Us Parte I è quello di riproporre fedelmente il gioco originale con la grafica ed il gameplay di The Last of Us Parte II.
Non un’operazione semplicissima, dato che la differenza nella giocabilità di The Last of Us Parte II non si limita a un diverso bilanciamento della difficoltà, del PNG di supporto, e dalla qualità delle animazioni facciali, ma è basato anche e soprattutto sull’ampiezza degli scenari, sulla presenza di due personaggi giocanti, e in minor parte sulla presenza di alcuni nemici nuovi: tutte caratteristiche assenti nel primo capitolo.
Nonostante il dubbio sull’utilità di un’opera del genere, si tratta probabilmente del miglior modo di realizzare un remake di The Last of Us in questo periodo.
Tuttavia, tale dubbio permane: qual è il motivo di questa mossa storicamente non da Naughty Dog?

Inoppugnabile l’etichetta di fanservice affibbiata ad operazioni del genere, nelle quali rientrano le numerose remastered per PS5 che Sony sta incredibilmente affiancando all’upgrade dei titoli giocati in retrocompatibilità (emblematico l’upgrade di Marvel’s Spider-Man che resta inferiore alla remastered per PS5).
Al di là dell’occasione per vendere qualche copia in più di vecchi titoli (e per spingere l’utenza PC a comprare i sequel su PS5), in The Last of Us Parte I si potrebbe leggere un tipo di fanservice davvero brutto per questa situazione: una strizzata d’occhio ai detrattori di The Last of Us Parte II.
Il secondo capitolo ha fatto storcere il naso a molti per la storia, ma è innegabile la sua superiorità tecnica e di gameplay, ed ecco allora che viene riproposta la storia del primo capitolo all’incirca con la grafica e il gameplay del secondo.
Non c’è nulla di male in una versione migliorata di The Last of Us che lo renda all’altezza del secondo capitolo per comparto tecnico e gameplay, ma essendo approvata all’unanimità la “dubbia utilità” di un remake in questo momento, l’operazione commerciale puzza un po’.
Due anni fa Neil Druckmann, director dei due The Last of Us, difendeva a spada tratta il suo operato con The Last of Us Parte II, ironizzando sulle minacce ricevute e dicendo apertamente di non comprare il gioco a chi era contrario alle sue idee.
Se questo remake dovesse significare davvero un dietrofront del suo pensiero, sarebbe grave non per una questione di coerenza, ma per il fatto che significherebbe andare contro l’autorialità dell’opera: un danno per qualsiasi forma d’espressione artistica.

Sony è cambiata sotto diversi aspetti in questi due anni, sia per fattori terzi che per scelta propria.
Se di recente ha dovuto rassicurare l’utenza sul continuare a produrre videogiochi single player, viste le numerose volte che si è espressa sullo sviluppo futuro di live-service, sarebbe bene non insinuare timori sul rischio di perdere un altro suo marchio di fabbrica.