Sonority: un nuovo modo di intendere la musica in game

Il mondo degli indie è sempre più grande, sempre più interessante, sempre più incredibile. Ci ha proposto, nel corso degli anni, giochi del calibro di “Hellblade: Senua’s Sacrifice”, lo stesso Undertale, Omori; videogame che, molto spesso, fanno le pulci ad alcuni dei più blasonati triplaA.
Questo, immagino, porta le richieste molto più in alto rispetto a prima, quando bastava un “ah ma è un indie” per lasciar passare sbavature, incongruenze e bug di sorta.
Da sviluppatore, sopravvivere nel reparto “indie” di Steam deve essere faticoso. Ad esempio, può voler dire ottimizzare l’ottimizzabile con budget spesso ridicoli (o quasi nulli) e tentare in ogni modo di scalare la vetta con concept quanto più originali possibili.
In redazione, ci è arrivata la key di una demo che sembrava promettere esattamente questo: un nuovo modo di usare la musica nei puzzle game.
Il ruolo della musica ribaltato (e una possibile applicazione nell’educazione musicale)
Voglio iniziare questa piccola analisi con una considerazione da musicista: era ora. Era ora che il comparto sonoro non rimanesse relegato sullo sfondo, che la OSt non fosse solamente un “soundscape” per dare -certamente- credibilità all’ambiente, ma diventasse vera meccanica di gioco, con regole e logiche musicali quanto più vicine alla realtà possibile.
Sonority ci viene presentato come un “music-based puzzle game” e da questo punto di vista rispetta perfettamente le aspettative: ci sono i puzzle e, nella maggior parte dei casi, sono davvero basati sulla musica.

In basso, troviamo la “barra di acquisizione” delle nuove note imparate per apprendimento diretto (in aula diremmo “a orecchio”), che ci vengono cantate nelle varie zone da alcuni simpatici totem canterini.
Per replicarle, siamo muniti di un flauto di pan, che utilizziamo per – letteralmente- suonare ad alcune pietre che si caricheranno magicamente della stessa nota da noi scelta. I massi sono collegati tra di loro, ma funzionano in maniera diversa in base alle note che scegliamo di utilizzare: con un movimento discendente, passando, ad esempio, da re (D in notazione internazionale) a do ( C ) otterremo uno spostamento delle piattaforme verso il basso e, viceversa, con movimenti ascendenti, le vedremo innalzarsi.
La situazione si fa assai interessante quando troviamo il primo intervallo “importante” della scala, o almeno quello che ci permette di spostare le piattaforme due volte senza dover impazzire: la nota mi (E). Anche se musicalmente non è del tutto corretto, visto che do-mi viene identificato come intervallo di terza mentre qui lo spostamento avviene solo di “due”, ho trovato questa rudimentale forma di spiegazione degli intervalli molto interessante anche per una possibile applicazione in campo educativo.

La sensazione generale, tuttavia, è che questa demo non sia così estesa come ci avevano scritto. Ed è un peccato, perché in questa foto, palesemente di una fase molto più avanzata del gioco, si può intuire come la situazione diventi estremamente interessante con l’acquisizione di più strumenti e la possibilità di switchare la scala inserendo quindi, verosimilmente, una nuova ottava e, magari?, nuovi modi.
Nel complesso è, quindi, un gioco con delle potenzialità e con una buona percentuale di applicazione educativa. Non credo che sia un gioco nato con scopi di gamefication, ma quest’idea di spostare oggetti in base agli intervalli in un mondo colorato in cui la musica diventa veicolo per esplorarne gli angoli, ha qualcosa di davvero interessante per l’insegnamento musicale – un qualcosa che però non riesco ancora a decifrare del tutto, essendo solo l’incipit e poco più.
Il problema principale di questa demo, tuttavia, è un grosso “ma” di cui non sono riuscita a liberarmi nemmeno dopo averla conclusa.
Tra bug e compenetrazioni…
La prima volta che ho aperto questa demo, ho avuto la sfortunata idea di non finirla tutta d’un fiato, ma di spezzarla in due round. Non sapendo quanto durasse, effettivamente, ho interrotto il gameplay dopo aver risolto un puzzle e aver sbloccato l’accesso alla nuova area, ma prima di esserci effettivamente entrata.
Quando l’ho riaperto, ho scoperto che il puzzle era risolto, l’accesso però era bloccato e l’unica interazione che mi avrebbe permesso di sbloccare la nuova area (ovvero parlare con un totem) non era possibile.
Ho premuto “F”, come consiglia la schermata iniziale in caso di problemi (che essendo una demo è quantomeno probabile che ci siano…), ma senza successo. Unica soluzione? Ricominciare da capo e finirlo tutto d’un fiato, scoprendone così la reale durata di venti minuti o poco più.

Non fraintendiamoci: è una primissima demo e sono cose che possono succedere. Quello che mi preoccupa è che la Hanging Gardens Interactive pretende di rilasciarlo sul mercato per il primo trimestre del nuovo anno. Mi chiedo se riusciranno a risolvere tutto ciò in così poco tempo. Perché non è, di fatto, l’unico problema.
Parliamo di altri bug di poco conto, come quello in foto, in cui entrando in un’area specifica si triggera un dialogo con Raccoon (personaggio che ho adorato dal primo istante, lo ammetto) che se ne va indignato subito dopo. Ma uscendo e rientrando immediatamente, il procione sarà ancora lì, immobile, senza dirci una parola, da semplice NPC.
O, ancora, le svariate passeggiate sopra il forziere dal quale scopriamo nuove melodie, che evidentemente, una volta aperto, il gioco non legge più come oggetto, ma come semplice parte del pavimento.
Insomma, di parti di programmazione da sistemare ce ne sono ancora un po’, temo.
… e una colonna sonora un po’ troppo poco ispirata
Ma aldilà di queste cose, che sono finezze tecniche completamente riparabili in programmazione, è il reparto artistico che mi ha fatto un po’ storcere il naso.
Graficamente non si presenta nemmeno male: il colpo d’occhio è carino, con qualche forzatura qua e là, ma con dei colori davvero accattivanti e dei fondali notevoli. Non è artisticamente incredibile– ma c’è da dire che io vengo da una partita di completismo a Gris, quindi anche se trovassi un gioco disegnato, per assurdo, da Monet non mi sembrerebbe artisticamente incredibile.

Il problema più grande è che un gioco basato sulla musica non può non avere una splendida colonna sonora. E soprattutto, scelte sonore curate fin nei minimi dettagli.
Il fatto che Unity permetta di utilizzare una fonte audio dinamica (più ti avvicini alla fonte, più il suono sarà forte e nitido), è una delle parti più interessanti della piattaforma. Il problema è che in questo gioco, in cui i puzzle e le mappe sono tutti piuttosto vicini, ti trovi a volte in una situazione di mezzo per cui ascolti due fonti differenti con sequenze di note differenti che ti creano una strana sensazione di confusione in game.
Per non parlare del momento in cui viene svelata una nuova melodia dai forzieri: è come essere sotto fuoco incrociato. È davvero faticoso per il cervello districarsi in mezzo a tutti questi input sonori che, di fatto, servono a poco se dati in maniera così confusionaria. Basterebbe aggiungere un trigger conclusivo, qualcosa che dica al programma: “ehi, puzzle risolto, basta suonare”

Anche le melodie liberate dai forzieri non sono particolarmente impattanti. Sicuramente carine, sicuramente ben studiate, ma poco sensate nel contesto. Sono rimasta, ad esempio, piacevolmente colpita solamente dal brano che ci viene presentato proprio alla fine della demo, che sembra provenire da un altro tempo e da un altro spazio.
E che mi ha lasciato ancor di più con l’amaro in bocca per ciò che avevo sentito prima, ma anche con un’estrema curiosità per gli sviluppi di questo gioco.
Certamente ne giocherò la versione definitiva -che spero non esca a breve, che si prendano del tempo per lavorarci- anche solo per curiosità verso una storia che qui è stata solamente accennata.
E sicuramente perché almeno la Hanging Gardens Interactive ci sta provando a trasformare l’idea di musica “per videogame” in “in videogame”. E questo è certamente da premiare!