Gris: un videogame che ha del miracoloso

Ho immaginato di scrivere questa introduzione in molte maniere diverse, ma girare intorno al tema di Gris non ne avrebbe reso l’analisi più semplice.
Questo videogame parla di perdite, di dolore e accettazione, parla di arrivare sul fondo del mare per ritrovare i pezzi che ci mancano. Narra di costruzione, di castelli in aria e viaggi fino alle stelle per poi ricadere ancora in più in basso, imparando a risalire con calma. Di distruggere i demoni, di far pace con le mancanze, di lutto.
E lo fa con una poesia, una dolcezza e una delicatezza raramente viste in un videogame.
E con una colonna sonora che ha del miracoloso.
Una storia che va cercata, capita, vissuta
Niente parole, mai, nemmeno una. Solo un canto spezzato nella prima cutscene. La nostra protagonista, infatti, si ritrova all’improvviso senza voce sul palmo di mano di una gigantesca statua, che viene a sua volta distrutta, lasciandola cadere nel vuoto.
Da qui, ci aspetta un platform-viaggio alla ricerca dei nostri colori, dalla durata reale di tre ore che, per emotività e profondità, sembrano cinquanta.
La storyline intrinseca si basa al 90% sulla teoria dell’elaborazione del lutto della psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross.

Nonostante la Ross parli di persone cui sia stata diagnosticata una malattia terminale e che, quindi,sono di fatto consapevoli di quanto tempo rimanga loro da vivere, negli ultimi anni la tendenza da parte della comunità psichiatrica/psicoterapica è stata di estendere anche alle persone che restano l’attraversamento delle stesse fasi.
Le 5 fasi (negazione, rabbia, patteggiamento, depressione, accettazione) non sono sempre sequenziali, ma possono oscillare nel tempo e nella durata in base a gravità del lutto, modalità della perdita e, sicuramente, carattere e propensioni di chi è coinvolto.
Il buon Conrad Roset (directors del gioco e pittore) ci racconta tutto ciò senza raccontarcelo. O meglio, aspetta che il giocatore sia pronto per comprendere che Gris è molto più di un platform artisticamente ispirato e lo fa in due modi particolarmente impattanti: la colonna sonora, a firma Berlinist, e la sua grafica, poetica e commovente.

Una storia nascosta tra i colori perduti
“Gris”.
Per me che conosco due sole lingue, l’italiano e l’inglese, poteva essere solo una cosa: il nome della protagonista. Non mi ha nemmeno sfiorato l’idea che potesse riferirsi semplicemente ad altro. Come il colore.
Ma dal momento in cui sono entrata nella primissima schermata di gioco, ho realizzato: l’intero primo “capitolo” (o meglio, la prima fase) è interamente grigio. L’unica nota di colore è data dai capelli della ragazza, di un blu profondo, che a voler dare un significato anche a loro potrebbero essere l’allegoria di uno stato depressivo.

Da quel momento, il nostro viaggio sarà una ricerca dei colori per ritrovare l’equilibrio. Arriverà il rosso della rabbia, il nero del dolore, il verde della speranza, poi il blu, il giallo, il viola. L’intero mondo si popolerà di nuove forme e nuove meccaniche platform – e qualche curiosa e adorabile creaturina ci guiderà dolcemente in foreste dagli alberi squadrati che scompaiono a tempo.
Ma ci sarà anche il momento di sfuggire a un’entità oscura che di tanto in tanto, proprio quando ci sembrerà di stare un po’ meglio e di riuscire a riprendere confidenza con il mondo, ci ricorderà che il dolore si deve, prima o poi, affrontare.
Una OSt commovente e evocativa
Al pari, se non di più, della poesia grafica, troviamo quella sonora: una soundtrack perfettamente bilanciata, che alterna brani eterei a brani incalzanti e rabbiosi con una grande malleabilità e uno stile unico.
Berlinist: questo è il nome della band che si è occupata di dare suono, spazio e vita al mondo di Gris. Un luogo apparentemente enorme popolato da pensieri intrusivi e necessità di superare il dolore.
La stessa accettazione di Gris gira attorno al recupero della sua voce.
La vediamo, infatti, perderla all’inizio del gioco: il suo meraviglioso canto viene spezzato da un gemito di tristezza e sarà solo dopo tanto tempo che riuscirà a recuperare davvero la sua canzone e far sbocciare i fiori della speranza.
È un’immagine di una poesia disarmante, ma anche di un impatto fortissimo: la perdita di voce a causa di un trauma non è un’invenzione, ma si tratta di un particolare tipo di disfonia funzionale chiamato “afonia isterica”, dove il termine isterico è in revisione ormai da anni e in sostituzione con quello più neutrale di “psicosomatico”.
Gris non è solo un platform ispirato, è la prova provata che si può raccontare anche senza parole.
A pensarci, sarebbe stato bene tra le fila dei nostri articoli a proposito di narrazione e paesaggio (di cui trovate l’ultimo qui a cura di Marco): tre ore in cui il senso di tutto è racchiuso in un mondo simbolico e in paesaggi e colori profondamente allegorici e in cui le parole vengono sempre sostituite da una colonna sonora che ha quasi del miracoloso.
Soprattutto un gioco che, senza dire una parola, diventa una catarsi per chiunque abbia perso qualcuno nel corso della propria vita.
Mi auguro che in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, questo gioco possa in qualche modo farvi sentire meno dolore.
Per tutte quelle persone che durante questa pandemia hanno perso nonni, genitori, amici.