Impostor Factory: To the Moon diventa (finalmente) una saga

Definire Impostor Factory “un videogame” sarebbe scorretto e anche abbastanza incoerente. Lo è ancor meno di quanto non lo fossero i precedenti capitoli della saga, To the Moon e Finding Paradise.
Non solo perché rivela subito di essere un walking simulator “story-drivenissimo”, ma anche perché non esistono enigmi ambientali, battle strane contro Eva-zombie o raccolta di oggetti per recuperare ricordi.
Che non vuol dire che non ce ne siano, anzi, sono il fulcro della storia come al solito. Ma il gameplay asciutto e semplice– quasi inesistente- se da una parte rende tutto molto lontano dal videogame classico, ha dalla sua un’incredibile flow narrativo che viene raramente spezzato.
Kan Gao ce la mette tutta e ci fa commuovere anche questa volta
La leggerezza non è di casa, in Impostor Factory. Al netto della solita ironia di cui Kan Gao si è fatto portavoce nei precedenti lavori e che nemmeno qui riesce, per fortuna, ad abbandonare, abbiamo fin da subito l’impressione prepotente di assistere ad una storia molto più complessa e matura.
Non che i primi due capitoli affrontassero temi più semplici, ma l’atmosfera nella quale i personaggi si muovono qui è molto più cupa, fin dal principio.
Anche la storia d’amore, raccontata in maniera egregia e dalle tinte commoventi all’inverosimile, ha echi lontani che ci richiamano alla mente qualcosa– quello stesso qualcosa che si chiarificherà sotto diversi fronti più o meno intorno a metà game e che ci permetterà link mentali altrettanto esplicativi e commoventi verso gli altri due giochi.

Con una capacità narrativa (e compositiva!) fuori dal comune, la FreeBird Games ci porta in un giallo a tinte comedy.
L’incipit è piuttosto semplice: veniamo invitati ad una festa, in una bellissima villa, e, poco dopo il nostro arrivo, i due padroni di casa verranno ripetutamente assassinati. In che senso ripetutamente? Tutto si basa su mondi e tempi paralleli, luoghi fisici e non e viaggi nel tempo, con l’unico scopo di scoprire chi sono i protagonisti e quale sia la loro vera storia.
Una storia più dark e quel legame incerto con la saga
Alla fine del videogame, la certezza che questo sia il vero terzo capitolo della saga viene subito meno: si parla di episodio X, che viene certamente dopo i precedenti lavori… ma quanto dopo?

Si nota subito la grande assenza nella OSt della voce di Laura Shigihara, che lo stesso Kan Gao ha definito sul suo canale Discord “come troppo dolce per i temi di questa storia”.
Ed è sicuramente indiscutibile il tenore molto più incerto e oscuro che permea un buon 90% di game.
Unica pecca, forse, è la tempistica scelta. In alcuni punti ben definiti, si ha la sensazione che, per mantenere lo standard di 4, 5 ore di gioco, si sia allungato il brodo, complicando ulteriormente dei passaggi chiari in realtà già da metà e che, proprio per questo, avrebbero potuto dare uno slancio emotivo ancora maggiore a determinate risoluzioni di trama.
A questo punto, non ci resta che aspettare il futuro di quella che, di fatto, stiamo riscoprendo essere una saga, nata dall’intento di raccontare in maniera intelligente e interattiva delle semplici storie, ma che si sta evolvendo in fretta verso terreni dal grande potenziale – se sfruttati nella maniera giusta.

Certo è che, anche questa volta, il team di sviluppo è stato estremamente ridotto. Il che spiega anche perché ne sia stata più volte rimandata l’uscita.
Se pensiamo che da To the Moon sono passati esattamente dieci anni, è abbastanza chiaro come la cura maniacale per i dettagli di trama porti spesso Kan Gao a dilungare i tempi di sviluppo e produzione, per rendere il tutto più coerente e preciso con la sua stessa idea di “saga”, direi, a questo punto.
Sicuramente, mi auguro che il prossimo capitolo non solo risolva alcune questioni che ci trasciniamo avanti già dai primi dlc ambientati alla Sigmund, ma che lo faccia anche in tempi più brevi rispetto a ciò che ci è toccato attendere per questo capitolo X.