Localizzazione fanmade. Quando l’ufficiale non c’è, i fan traducono (e bene)

La questione “traduzione” all’interno del mondo dei videogiochi fa sempre tanto discutere- figurarsi se fanmade.
Da una parte, quelli che “il gioco va giocato in lingua originale!”; dall’altra, persone che non masticano particolarmente bene il dialetto della cittadina sperduta di 1000 abitanti a est della Corea del Sud e apprezzerebbero una traduzione non dico in italiano, quantomeno in inglese.
C’è da dire che i nostri colleghi britannici e americani sono certamente più fortunati di noi: è davvero rarissimo che un videogame esterno non venga tradotto in lingua anglofona. Ma c’è anche da dire che fruire di un gioco (e vale quasi lo stesso per film, serie tv, anime, fumetti e altre forme di intrattenimento) nella propria lingua madre è un’esperienza completamente diversa.
Tuttavia, in questo articolo, affronteremo una questione forse ancora più spinosa di questa: le traduzioni fanmade. Perché si rendono necessarie? Forse perché le traduzioni italiane ufficiali dei giochi sono sempre meno? E perché è così? Cosa vuol dire adattare una lingua? Basta un giretto su google traduttore per saper tradurre?
Come un amorevole genitore che risponde ai perché interminabili del figlio di tre anni anche se vorrebbe solo andare a dormire, cercheremo di addentrarci in questa giungla di informazioni, rivelazioni e ipotesi.
Ma c’è bisogno di puntualizzare una questione e, per farlo, vi lascio un bellissimo video di Luciana Perrucci, meglio nota come Svet Krasna, in cui ci spiega come riconoscere una traduzione fatta male, citando come esempio opposto proprio la fanmade di Undertale, di cui parleremo tra poco.
«Quanto a te, quanto a quello che non puoi fare che tu…»
Se non avete riconosciuto la citazione del paragrafo, avete vissuto su Marte negli ultimi anni, ragazzi.
Ecco: quello del maestro delle supercazzole, Gualtiero Cannarsi, è probabilmente il miglior (o peggiore, dipende dai punti di vista) esempio di adattamento non riuscito- quasi inesistente. La citazione proviene direttamente da Neon Genesis Evangelion e attirò, al tempo, così tante critiche da costringere Netflix a toglierla dal catalogo e ridoppiarla con un nuovo adattamento.
Ma perché è successo? E perché quella frase ci suona così assurda in italiano?
Come ci spiega Svet nel suo podcast Piove a Cani e Gatti, traduttore e adattore non sono esattamente lo stesso mestiere. Se il primo si occupa di lavorare sul testo, cioè trasporre da due lingue diverse sullo stesso media, l’adattore si occupa invece di rendere comprensibile alla cultura di arrivo ciò che si sta dicendo nella cultura di partenza e riadattarlo, appunto, per media differenti (dallo scritto all’audiovisivo, per esempio).

La traduzione di Cannarsi non ha funzionato semplicemente perché non è stata adattata alla cultura di arrivo: chi è che in italiano userebbe espressioni come «decidi da te stesso quello che tu stesso debba fare»?
Il caso di Pokémon Rosso e Blu/Verde
Su Evangelion si potrebbe discutere fino a domani, ma Altea si occupa di videogame. E la prima cosa che mi è venuta in mente, pensandoci, è stata la traduzione errata di alcune parole in Pokémon Rosso e Blu/Verde.
Molto interessante a tal proposito è il video di Cydonia “La surreale storia della traduzione italiana di Pokémon!” in cui, riportando un’intervista del Dr. Lava a Elena Fogazzaro, ci si addentra nei meandri delle condizioni di lavoro dei primi localizzatori del franchise dei mostriciattoli tascabili.
La Fogazzaro, infatti, sottolinea più volte come, di fatto, il loro fu il primo lavoro di traduzione e localizzazione effettivo per Nintendo. Non stiamo parlando di un plotone di persone, in ogni caso. Erano in due: lei e Leonardo Pieri.
Durante l’intervista, è subito evidente come nessuno sapesse come muoversi: un solo pc per due traduttori, una lista di parole decontestualizzate probabilmente per evitare fughe di notizie, zero informazioni aggiuntive e una cartuccia di gioco normalissima senza possibilità di “cheat” per velocizzare il processo. Per capire ogni contesto delle parole, avrebbero dovuto completare Pokémon al 100% (cosa, come sappiamo, pressoché impossibile, soprattutto all’epoca) in poco più di due settimane.

Ecco spiegati i vari errori: “counter” che diventa “contatore” invece di contrattacco è stato verosimilmente un problema di contesto, non di traduzione effettiva. Anche perché, cosa assai importante, la traduzione è avvenuta dall’inglese e, quindi, in parte già rimaneggiata. In più, non esistevano di fatto dei “supervisori” a cui mostrare le bozze e quando Elena e Leonardo si resero conto degli errori, fu loro negata la possibilità di modifica, probabilmente per rispettare le scadenze di mercato.
È quindi abbastanza evidente come poco Nintendo puntasse, all’epoca, sull’Italia. Non si aspettavano certamente il successo che poi, di fatto, Pokémon ha avuto. Spesero il minimo per questa localizzazione, risparmiando e preoccupandosi davvero molto poco dell’impatto che quella traduzione avrebbe avuto sul mercato italiano. Creando così un precedente non indifferente che tutti i giocatori dell’epoca ancora si portano dentro.
Quando la traduzione ufficiale non c’è, i fan localizzano
All’epoca di rosso/blu/verde era impensabile una traduzione/localizzazione fanmade. Non solo perché non c’erano mezzi e modi e la programmazione per videogame in Italia era ancora semi-sconosciuta, ma anche perché non esisteva una fanbase pokémon, essendo il franchise ai suoi albori.
Diverso fu il caso di un altro gioco Nintendo, Mother 3 del 2006, in cui nonostante una forte richiesta, si decise di non lavorare a una localizzazione in Italia. Ne risultò che la traduzione non ufficiale divenne famosissima, con più di 100.000 download in una sola settimana.
La tecnica di invasione vera e propria per inserire la traduzione nella ROM era illegale, è vero.

A dire il vero, l’intero mondo delle traduzione fanmade è una violazione del copyright di una certa rilevanza. Ma la quasi totalità delle case di produzione preferisce ignorare o far finta di non vedere, perché se è vero che il copyright ha la sua importanza, è anche vero che una traduzione permette una maggiore fruizione del gioco– e scarica metà del lavoro su persone che lo fanno senza fini di lucro, costretti dalla legge, permettendo così alle grandi case di risparmiare.
Un po’ diversa è invece la questione delle traduzioni di giochi indie che, molto spesso, non vengono tradotti o localizzati per una semplice questione di budget limitato.
Certamente il caso emblematico degli ultimi anni resta la localizzazione di Undertale a cura della Spaghetti Project, un team di circa 20 ragazzi che hanno tradotto egregiamente un videogame basato su modi di dire e giochi di parole apparentemente intraducibili.
Un lavoro immenso, se si pensa a come siano stati resi bene in italiano personaggi come Papyrus o Flowey, fortemente radicati nella cultura americana e che in lingua originale utilizzano spesso parole davvero complicate da rendere.
La traduzione di Omori
Plauso di merito non poteva non andare ai ragazzi che stanno lavorando alla traduzione fanmade di Omori.
Mi sono già occupata di questo gioco in due articoli (che potete trovare qui e qui), ma non potevo non dedicare a questi ragazzi quantomeno un piccolo paragrafo per parlarvi dell’immensa fatica che stanno facendo.
Ho avuto modo di provare la traduzione- arrivata alla versione 12- in questi ultimi mesi. Con più di 1000 download, è stata molto apprezzata dalla gran parte dei fan: finalmente, fruire il gioco anche nella nostra lingua madre rende tutto più coinvolgente. Anche troppo, in alcune parti…

Omori non è di per sé un videogame semplice da tradurre, ancor meno da localizzare. La scelta di non tradurre direttamente, ma spesso di riadattare il senso della frase “senza passare dal via” risulta vincente: non si ha quasi mai la sensazione di una localizzazione forzata, quanto più di trovate geniali e divertenti per rendere il tutto più familiare e immerso nella cultura di arrivo. Proprio come dovrebbe essere.