La sospensione dell’incredulità è sempre necessaria?

Durante la fase di brainstorming per il nostro progetto che analizza i videogiochi attraverso il paesaggio (e che state leggendo da diversi venerdì sempre qui su 2duerighe.com), mi è sorta una domanda. Se il paesaggio è cosi fondamentale all’interno della narrazione di un videogioco, come mai alcuni personaggi si comportano come se non facessero, per esempio, parte di un mondo post apocalittico?
Quando ci abbandoniamo ad un videogioco spesso scegliamo di farci trasportare attraverso i suoi paesaggi ed il suo mondo di gioco decidendo di stare alle sue regole ed anzi, plasmiamo queste ultime a favore del nostro divertimento personale. Talvolta la differenza tra gioco e film non è nemmeno così marcata, ponendo il videogiocatore nel mezzo tra una buona narrazione visiva ed un gameplay appagante, stimolante e divertente.
Questo processo porta inevitabilmente a scontrarsi con un mondo oscuro e misterioso che sta dietro le quinte dei videogiochi, ovvero la loro programmazione. Pagine di codice che racchiudono, attraverso scritte quasi indecifrabili, tutto quello che è previsto dal videogioco. Le mosse di un nemico, i danni subiti, la vittoria o la sconfitta in una partita, ma anche i dialoghi e le scelte morale dei suoi protagonisti.
E sempre più spesso non ci rendiamo conto di quanto queste siano “sbagliate” per il contesto nel quale vengono raccontate, prendendo letteralmente per mano il videogiocatore nel processo che lo porta, inconsciamente, a sospendere le proprie facoltà critiche allo scopo di ignorare le incongruenze secondarie e godere di un’opera di fantasia.
Ma questa cosiddetta sospensione dell’incredulità è fondamentale per la buona riuscita di un videogioco?
Partiamo con una semplice domanda. Quand’è stata l’ultima volta in cui, vista un’azione di un personaggio o letta una riga di dialogo vi siete risposti “ah già, siamo in un videogioco”?

Il “Regno dei Funghi” esiste realmente?
Per rendere più chiaro il concetto di sospensione di incredulità vorrei fare un esempio decisamente banale ma molto semplificativo. Se vi chiedessi qual è il regno di cui è sovrana la Principessa Peach, di sicuro sapreste rispondermi con il Regno dei Funghi, celebre luogo inventato della serie di Super Mario.
L’idraulico italiano più famoso del mondo è pioniere di una miriade di azioni sfavillanti e degne di un superuomo con i baffoni: rompe i cubi di mattoni saltandoci sotto, si trasforma raccogliendo un fiore, una campanella od una foglia. Azioni che tutti conosciamo, che sappiamo essere nel repertorio dei fratelli Bros ma che sappiamo anche non essere veritiere o fattibili nella vita reale.
Nessuno di noi raccogliendo un fiore inizierà a lanciare sfere di fuoco, così come nessuno (o quasi) riesce a rompere blocchi di mattoni con la testa o è mai stato al Regno dei Funghi. Tutte nozioni che il nostro cervello accetta per darci la possibilità di apprezzare e divertirci maggiormente con i giochi della serie di Super Mario, creando la cosiddetta sospensione di incredulità.
Decidiamo di accettare queste cose in favore del divertimento e del nostro passatempo e, con la diffusione sempre maggiore del media, questo ha portato a creare una serie di azioni e comportamenti che inconsciamente accettiamo nel media, portando a creare dissapori quando queste vengono messe in secondo piano per creare una storia con un impatto morale maggiore.
Prendiamo ad esempio la saga di Fallout, come una qualunque altra storia di sopravvivenza post apocalittica. I videogiochi ci hanno abituati ad un tutorial iniziale, chi attraverso note scritte qui e là, chi attraverso altri personaggi che introducono il mondo e la lore di gioco, accompagnando sempre il giocatore per i primi passi nel gioco.
Ma obiettivamente, una volta usciti dal nostro rifugio atomico, perché mai dovrebbe esserci qualcuno disposto a fermarsi a parlare con noi in tono amichevole?
Quando ci avviciniamo armati e con lo zaino pieno di materiali, da soli in mezzo ad un deserto od ad un campo sterminato dopo aver vagato per ore o giorni, ci aspettiamo che qualcuno ci offra riparo per la notte e ci saluti caldamente. Questo, nella vita reale, probabilmente non avverrebbe mai, ed anzi dovremmo guadagnarci la fiducia del nostro eventuale buon samaritano prima di poterlo avvicinare pacificamente.

Moralmente giusto, o sbagliato?
Ci sono casi in cui, tuttavia, il background di un personaggio non giocante viene scritto in maniera ottimale e quindi questo processo di sospensione dell’incredulità non è più necessario da parte del giocatore, che si troverà coinvolto (anche emotivamente) nelle scelte morali di quest’ultimo.
Un caso molto recente è quello di Abby, la ragazza di TLOU 2 che ad inizio gioco farà scontrare il giocatore con quello che è il muro eretto dal suo forte carisma e della sua scelta morale. Abby vuole vendetta per il suo passato e la otterrà, anche se questa porterà inevitabilmente ad uno scontro morale con il giocatore, il quale si troverà di fronte alla perdita di un personaggio che ha imparato ad amare a scapito di uno che ha appena conosciuto.
Una scelta cruda, decisa e violenta che viene fatta nel posto giusto ed al momento giusto, immergendo il giocatore all’interno di un flusso narrativo dirompente anche contro la sua volontà e senza che quest’ultimo abbia il tempo di valutare, inconsciamente, se è d’accordo o no con quello a cui ha appena assistito.
Una mossa da parte degli sviluppatori che farà odiare Abby, ma che farà si che le sue azioni e il personaggio rimangano impressi nella mente anche per via di quel gesto tanto folle quanto umano, che sembra essere messo li per caso, in un contesto come quello del videogioco in cui siamo abituati a scelte moralmente accettabili, anche se non reali.
Se ci pensate, spesso i personaggi agiscono e pensano in modo prevedibile, restando in bilico su quella linea sottile tra il moralmente giusto ed il moralmente accettabile. Questo non è un sinonimo di una scarsa caratterizzazione del personaggio, quanto piuttosto della scelta da parte degli sviluppatori di mettere a suo agio il giocatore in un mondo che sta diventando piano piano sempre più accogliente e famigliare.

La sospensione dell’incredulità è questi sempre necessaria?
Probabilmente nessuno chiederebbe mai ad un giovane avventuriero di portare un preziosissimo manufatto al mercante nella vita reale. C’è bisogno di fiducia per lasciarsi andare con il prossimo.
Allo stesso modo però, il giocatore ha bisogno di fiducia per lasciarsi andare al videogioco, ha bisogno di sentirsi parte di un ambiente, di un’avventura, per trascorrere molte ore e trarne divertimento.
Una fiducia che difficilmente troverebbe se davanti a lui si presentassero molte Abby e pochi Super Mario, rendendo il processo di sospensione dell’incredulità quasi obbligatorio per poter arrivare ad un pubblico di videogiocatori sempre maggiore.
Il non doversi più soffermare a riflettere se ci si trova di fronte ad un videogioco per poter accettare quello che vediamo su schermo, è frutto di tanti anni di esperimenti videoludici riusciti e non, di personaggi fin troppo banali ed esagerati che facevano perdere il contatto con lo strumento di intrattenimento per via dell’eccessiva semplicità e personaggi troppo duri che mettevano timore di avvicinarsi.
Inoltre la forte diffusione nella cultura pop attuale ha fatto sì che il fenomeno videogiochi (e tutti gli stereotipi che lo accompagnano) siano diventati di uso comune, portando ad accettare sempre più atteggiamenti e scelte morali perché già viste in passato.
E’ chiaro quindi che la sospensione dell’incredulità sia un processo quasi indispensabile per apprezzare il media ma che forse, con lo sviluppo massiccio di quest’ultimo e la sua diffusione nella cultura moderna, si arriverà sempre più ad assottigliare, avendo sempre più bisogno di personaggi più veri e crudi per trovare un suo equilibrio.