La sfida tra Oriente e Occidente nel governare il caos economico mondiale

Il caos, sinonimo di stato di completo disordine e confusione per le antiche credenze greche, è un elemento che difficilmente può essere sottoposto ad una regolamentazione, proprio a causa della sua natura etimologicamente indomabile. Tuttavia, se si guarda a un senso lato e più moderno di tale concetto, è comprensibile come, nel corso dei secoli, ci sono stati dei corsi e ricorsi ed un modus operandi che hanno inevitabilmente condotto al caos.
Dunque è interessante e utile cogliere le sfumature e le interconnessioni di tali processi in modelli differenti – Oriente e Occidente, ad esempio – , anche al fine di imparare a governare il caos, evitando di esserne travolti.
Giorgio Arfaras, autore di Le regole del caos edito per Paesi Edizioni, attuale presidente del comitato investimenti della società di consulenza e di intermediazione mobiliare SCM SIM S.p.A., collaboratore di Linkiesta e Limes, economista del Centro Einaudi, ha intenzione di fornire ai suoi lettori una “big picture” in merito all’attuale scenario geopolitico globale, concentrandosi sulle tappe cruciali dei processi storici, politici, commerciali e relazionali di varie potenze economiche. Si nota come, nonostante la politicità dei temi, a parlare al lettore è un economista: il pensiero critico dell’autore riecheggia nel corso della trattazione. Quest’ultima non sembra adattarsi sempre ai rigorosi standard letterari della saggistica, piuttosto segue uno stile analogo allo stream of consciousness, in cui gli eventi storici e politici non sono necessariamente posti in sequenza, ma sono scanditi dalla divisione in capitoli e presentano, comunque, un alto grado di specificazione storica ed economica.
Il fulcro del saggio è la sfida tra Occidente e Oriente per aggiudicarsi il primato di potenza migliore nella corsa al futuro.
Arfaras analizza le due potenze orientali per eccellenza, Russia e Cina, enfatizzandone differenze e aspetti comuni. Se l’economia russa è entrata in una fase di forte recessione anche a causa del conflitto con l’Ucraina, la Cina, invece, subisce le difficoltà del grande peso degli scambi sul mercato globale e si trova anch’essa in una fase di decrescita rispetto al “boom” dello scorso ventennio, a causa di una dipendenza troppo accentuata dall’export verso l’Occidente. L’aspetto in comune per i due colossi è proprio l’export. Tuttavia, se la Russia esporta esclusivamente materie prime e semilavorati, mantenendo una grossa fetta delle materie prime e della ricchezza della sua élite “oligarchica” in Occidente, la Cina, invece, esporta anche beni industriali e tecnologicamente più sofisticati, per cui la ricchezza della sua élite non è all’estero. Il grande freno alla crescita cinese, secondo Arfaras, risiede in una mancanza di investimenti domestici e di politiche di welfare adeguate per i cittadini cinesi.
In Occidente, invece, si assiste ad un fenomeno che si manifesta da un paio di secoli ma che, dopo la Seconda Guerra mondiale a grazie al suffragio universale, ha accelerato dal secolo scorso: il ritorno dello Stato direzionale nel mercato e non solo.
In conclusione, per Arfaras è chiaro che il libero mercato in Oriente, così come in Occidente, non ha portato gli effetti sperati in termini di sviluppo economico interno e modelli politici.
“Per quanto attraente possa essere una rivoluzione, alla fine porta al disastro. E la rivoluzione va governata evitando che prendano il sopravvento i rivoluzionari. La sfida odierna consiste quindi nel navigare scongiurando la regressione conservatrice e il rovesciamento rivoluzionario”.