Esperienza singleplayer – Obsoleta o ancora fondamentale?

Esperienza singleplayer – Obsoleta o ancora fondamentale?
Molti di voi, in passato, avranno sicuramente lottato per mantenere il vostro trono da “Giocatore 1” e sfidare i vostri “Giocatore 2” umiliandoli con punteggi altissimi. Infatti, in origine, il videogioco fu creato per essere principalmente una forma di intrattenimento social, partendo dalla possibilità di inserire molteplici controller per ogni console fino ad arrivare al Multiplayer tramite internet con cui siamo più abituati al giorno d’oggi. È anche vero, però, che sono stati fatti passi da gigante riguardante lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (e non solo) per uso videoludico, aprendo nuove possibilità agli sviluppatori, fino alla seconda metà degli anni 2000, quando il multiplayer diventò la parte più fondamentale in un gioco e il supporto ai bot nei giochi di vario genere venne sempre di più dimenticato.
In questo periodo, stiamo vivendo un altro boom della scena multiplayer grazie agli e-Sport e al successo che alcuni titoli stanno tutt’ora avendo (come PlayerUnknown’s Battlegrounds). Sarebbe veramente scontato dire che il multiplayer sia un genere molto divertente – ancora di più se giocato con amici – ma si può notare sempre di più che la comunità di videogiocatori si divide in due categorie.
La prima ritiene che il multiplayer sia il futuro e che l’esperienza offline sia ormai diventata un perditempo. La seconda, invece, ritiene che il singleplayer rimane ancora una parte fondamentale del mondo videoludico e che, per gusti personali, preferiscono puntare su quell’esperienza. Oltre ai pareri soggettivi che riguardano le preferenze di ognuno, in questo articolo risponderemo, in modo oggettivo, alla domanda: “perché il singleplayer non dovrebbe essere dimenticato?”.
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Vita eterna
Naturalmente, per “esperienza offline” non si intende solo giochi che rientrano nel genere story-driven narrativo (ancora oggi popolare), che, di solito, non possono essere definiti rigiocabili; si parla anche dell’esperienza in un gioco che va a coincidere con il multiplayer, ma giocabile offline con il supporto all’Intelligenza Artificiale e contenuti non ristretti. Potremmo ad esempio citare i leggendari Battlefield (pre-Bad Company), i classici Battlefront, persino la serie Call of Duty da Black Ops 2 in poi, passando poi agli indie quali Day of Infamy e Angels Fall First e ad altri generi di giochi come Age of Empires e rFactor 2.
Cos’hanno di speciale questi giochi rispetto ai titoli multiplayer-only? Non solo danno la possibilità anche ai giocatori offline e co-op di goderseli, ma offrono anche una rigiocabilità infinita. Mi spiego meglio: un gioco multiplayer può far divertire e portare ai giocatori momenti videoludici indimenticabili, ma, purtroppo, non dura per sempre.
Il playerbase si riduce gradualmente col tempo, a tal punto da rendere i server quasi vuoti, se non completamente deserti, rendendo il gioco ingiocabile appena viene dimenticato dalla sua community e/o dagli sviluppatori stessi; anche se i server rimanessero pieni dopo l’abbandono, sarà sempre più probabile la presenza di cheater che riescono ad aggirare gli anti-cheat ormai obsoleti. Un’esperienza offline che funziona da alternativa e non da puro e semplice ‘tutorial’ garantisce vita eterna ad un titolo, anche dopo la chiusura dei server e/o il trasferimento del playerbase verso altri giochi in uscita.
È vero che, se consideriamo le statistiche dei giochi attualmente più attivi, i titoli più giocati al momento sono giochi multiplayer. Il punto è che questi giochi primi in classifica fanno comunque parte di una piccolissima fetta del mondo multiplayer in generale (essendo tutti giochi non solo iconici, ma che sono ancora supportati al giorno d’oggi, come Team Fortress 2 e Counter-Strike).
Se andiamo a pescare tutto il resto, possiamo notare tanti giochi abbandonati, quali l’innovativo Driver: San Francisco, Kane & Lynch 2, Carmageddon: Max Damage o persino molti DLC dei Call of Duty, passando poi agli indie quali il divertentissimo (ma ora semi-ingiocabile) Iron Grip: Warlord e molti altri “usciti dal nulla” nel periodo Steam Greenlight che, divertenti o meno, pretendono una comunità multiplayer attiva nonostante il marketing scadente. Tutti giochi dimenticati, ma soprattutto privi di esperienze offline/supporto ai bot che avrebbero avuto il compito di riempire quel vuoto, o semplicemente non sviluppati in modo da assicurare il divertimento anche senza giocatori umani.
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Un pacchetto completo
Come già detto prima, il multiplayer è in buona parte un’esperienza divertente e innovativa che ha impressionato giocatori da tutto il mondo nel corso del tempo. Oltre al puro divertimento, esso ci offre la competitività assoluta, i momenti di tensione, quel rush adrenalinico come quando si è ultimi rimasti durante un round di Counter-Strike, e anche puro e semplice cazzeggio, dipendentemente dal tipo di gioco. Per questo ci tengo a precisare che il multiplayer è un’esperienza unica e anch’essa fondamentale, ma ciò non significa che dovrebbe essere considerata come l’assoluto rimpiazzo verso tutto ciò che concerne l’esperienza a singolo giocatore.
Non solo nel genere narrativo, ma anche nei giochi a schermaglia l’esperienza offline è di per se un’esperienza diversa dal multiplayer. Mentre il multiplayer incoraggia la competitività e altri elementi citati prima, il singleplayer offre, in generale, un’esperienza più personalizzabile, rilassante e immediata. Ovviamente senza la presenza di possibili cheater e griefer.
Il fatto che una modalità sia diversa rispetto all’altra implica che un titolo contenente entrambe può essere considerato come un pacchetto completo, pacchetto per cui vale la pena supportare. Proprio per questo motivo, i modder sulla piattaforma PC hanno fatto tutto il possibile per salvare la serie Battlefield – dopo che DICE/EA decisero di castrare l’esperienza offline su Battlefield 2 e Battlefield 2142 – grazie al pieno supporto alle mod, dando accesso ai giocatori offline e co-op di giocare tutte le mappe e usare tutte le armi disponibili. Parlando di supporto ufficiale, invece, sviluppatori di titoli come Team Fortress 2, Call of Duty e l’interessante indie The Mean Greens – Plastic Warfare su Steam decisero di implementare l’IA nei loro giochi tramite degli aggiornamenti post-lancio. E questi sono solo uno dei tanti (ma sottovalutati) esempi.
Inutile dire che questa regola può valere anche al contrario: i giochi singleplayer-only (che potrebbero avere modalità multiplayer per via del loro concept simile) non possono raggiungere appieno le loro potenzialità. Il nuovo gioco su Steam Early Access, Ravenfield, ne è un perfetto esempio.
Importante anche il collegamento tra i contenuti offline e online. Infatti, il supporto ai bot porta anche benefici nel multiplayer stesso. Molti giochi fanno fatica a mantenere i server pieni, ma i bot esistono anche per questo: aiutano a popolare le partite, rendendole sempre divertenti anche nei server mezzi-pieni. Un ottimo esempio recente è l’ultimo lavoro di Cliff Bleszinski, LawBreakers, che non è riuscito a raggiungere i risultati sperati e che, su Steam, registra risultati scarsissimi in termini di playerbase. Il supporto ai bot avrebbe sicuramente dato una possibilità in più al titolo.
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In sintesi
Siamo riusciti a rispondere alla domanda del perché il singleplayer non dovrebbe essere dimenticato, nonostante il boom della scena multiplayer in questi ultimi anni: per via dell’infinita rigiocabilità, della personalizzazione e dell’esperienza di gioco decisamente diversa (puntata a soddisfare una categoria di gamer) il singleplayer può essere importante quanto il multiplayer – non solo per il genere narrativo e sparatutto – e i giochi che puntano ad offrire il pacchetto completo hanno la possibilità di attirare più gamer possibili e di rimanere giocabili fino all’arrivo dell’Apocalisse.
Articolo di Manuel Leo