Meccaniche e Narrazione un intreccio necessario?

MECCANICHE E NARRAZIONE, UN INTRECCIO NECESSARIO?
Si dice che un’azione valga più di mille parole. Si dice anche che i videogiochi abbiano il vantaggio di essere un mezzo interattivo, cioè che dipende dalle azioni che il giocatore compie all’interno del gioco. Saltare, correre, scalare, sparare…ognuna di queste azioni può comporre il nucleo base delle meccaniche di un gioco.
Queste ultime assumono un valore ulteriore nel momento in cui sottendono ad una storia, la quale dovrebbe essere amplificata e trasmessa tramite esse. Storia e narrazione, infatti, non dovrebbero basarsi unicamente sul vincolo della parola, scritta o parlata che sia, ma giungere al giocatore da ogni elemento che compone il videogioco. Per spiegare questo concetto, ricorrerò all’esempio di Brothers: A Tale of Two Sons. La terza parte dell’articolo conterrà spoiler sul finale di questo gioco!
MECCANICA COME METAFORA
Il concetto di meccanica come metafora viene spiegato perfettamente da un video di Extra Credits, un canale Youtube che tratta di game design e videogiochi con un approccio analitico.
In “Mechanics as Metaphor” parte 1 e “Mechanics as Metaphor” parte 2, viene spiegato come le meccaniche dovrebbero essere tenute in conto come un elemento fondamentale per convogliare significato all’esperienza di gioco. Fondamentale nella creazione delle meccaniche è l’intenzione comunicativa, strettamente connessa con la finalità narrativa. Le azioni che compiamo, insomma, devono avere un senso, sia a livello narrativo sia a livello di design.
Un soldato in uno scenario di guerra sparerà, correrà, prenderà copertura…è ciò che fa un soldato, dopotutto. È dunque sensato che il gioco abbia questo nucleo di meccaniche e che avanzi a suon di spari, corse e coperture. Immaginiamo ora di compiere una scelta di character design: il personaggio giocante è un soldato che si rifiuta di uccidere (forse ossimorico, ma è pur sempre un esempio). Come posso comunicare questa caratteristica a livello di meccaniche, oltre che con elementi prettamente narrativi come i dialoghi? Sostituiamo una delle meccaniche sopra citate: il pg sarà un soldato che corre e prende copertura, ma non spara, bensì tramortisce soltanto i nemici. Questa è un esempio di meccanica come metafora: tramite una delle azioni fornite al pg, abbiamo anche comunicato una scelta narrativa che lo riguarda, con lo stesso meccanismo di traslazione tipico della metafora.
L’ESEMPIO DI BROTHERS: A TALE OF TWO SONS
Brothers: A tale of two sons è un ottimo esempio del potere espressivo delle meccaniche. Uscito nel 2013, Brothers racconta il viaggio di due fratelli alla ricerca dell’Acqua della Vita, un elisir in grado di salvare il loro padre da morte certa. I personaggi parlano una lingua incomprensibile, quindi i due fratelli non hanno dei nomi certi; per facilitare il discorso, darò dei nomi arbitrari in modo da non dovermi riferire a loro solo come “fratellino” e “fratellone” (che fa molto anime). Il fratello più grande lo chiamerò Luca, quello più piccolo Filippo.
L’antefatto, che viene mostrato prima ancora che la storia si metta in moto, mostra la morte della madre dei due ragazzini, annegata durante una tempesta, mentre era in barca con Filippo; a seguito dell’incidente, quest’ultimo ha sviluppato una forte paura dell’acqua. Dopo la veloce sequenza introduttiva, ci viene spiegato che i tasti da usare sono quattro in totale (si parla della versione col controller): tasto dorsale e levetta sinistre per Luca, destre per Filippo.
Il gioco procede come un normale gioco di avventura, la cui caratteristica fondamentale è di poter avanzare attraverso la collaborazione dei due ragazzi. È qui che le meccaniche intervengono per convogliare elementi di narrazione: i due fratelli devono aiutarsi costantemente per oltrepassare gli ostacoli che li separano dalla cura, ad esempio facendo scaletta o spostando oggetti insieme. In mancanza dei genitori, infatti, Filippo e Luca possono contare solo l’uno sull’altro per arrivare alla fine della loro avventura.
I due non mancano di avere delle abilità proprie: Luca è più forte e può muovere leve o oggetti pesanti, mentre Filippo passa attraverso sbarre e passaggi stretti. Queste abilità sono però inutili quando i fratelli sono separati: è la collaborazione, l’unione delle abilità di ciascuno, a permettere loro di superare qualsiasi ostacolo. È questo che ci comunicano le meccaniche, per come sono state realizzate.
Il finale, invece, dà un’ottima lezione su come vadano sfruttate le meccaniche per narrare: verso la fine della storia, Luca viene deviato dal suo cammino dalla malìa di una ragazza, che i fratelli salvano da una tribù di selvaggi; con un richiamo di campbelliana memoria alla figura della Tentatrice, la ragazza si rivela essere una mostruosa donna-ragno. Luca viene ferito e muore tra le braccia del fratellino. Rimasto solo, Filippo può ora contare solo sulle sue forze per tornare dal padre con la cura.
In quest’ultima parte, il gioco si supera: per raggiungere la sua casa, Filippo deve ora saltare, arrampicarsi, spostare leve da solo. Non finisce qui: ad un certo punto, deve attraversare un tratto di mare nuotando senza l’appoggio del fratello, che prima fungeva “da salvagente” per un Filippo troppo traumatizzato dall’acqua per nuotare autonomamente. In quell’istante, cambia sì la meccanica, ma anche i tasti del controller: per far compiere a Filippo l’azione di nuotare, si dovrà ora usare la levetta sinistra, quella associata ai movimenti di Luca, di cui Filippo sente la voce dentro di sé. Solo premendo quel tasto il ragazzino riuscirà a superare le sue paure e maturare, prendendo il posto del fratello maggiore. Si tratta di un meraviglioso momento di sinergia tra narrazione, meccaniche e per estensione, giocatore come entità fisica.
CONCLUSIONE
Come dimostrato dal caso di Brothers, il valore delle meccaniche come strumento di comunicazione dell’anima di un videogioco è fondamentale. Alla luce di questo, la domanda che ogni game designer dovrebbe porsi è: cosa sto facendo fare ai miei giocatori e perché? Una risposta meditata a questa domanda, e la sua conseguente applicazione, risulta in ciò per cui ogni giocatore deve essere grato: un’esperienza di gioco significativa, coerente, completa, ma soprattutto, indimenticabile.
Articolo di Martina Raico