The Last of Us e… Misery – L’accanimento sull’autorialità

Di qualunque genere sia, una buona storia dovrebbe risultare credibile. Un po’ come avviene con la bibliografia nella saggistica, l’autore di un buon romanzo potrebbe ritrovarsi a dover fare delle ricerche per rendere credibile la propria opera.
Consapevoli di ciò, cosa accade quando un personaggio di un romanzo è egli stesso uno scrittore? Un caso che si ripete nei romanzi di Stephen King.
Più volte il “Re del brivido” ha raccontato storie di personaggi che svolgono il suo stesso mestiere, ed è impensabile che un autore nient’affatto restio nell’introdurre i suoi libri con dediche, citazioni di fonti, se non addirittura prefazioni che spiegano il lavoro svolto, non abbia utilizzato tali personaggi come escamotage per esternare la propria visione del mestiere di scrittore.
Bill Denbrough di It, Scott Landon de La storia di Lisey, finanche Jack Torrance di Shining, ma il più celebre è sicuramente Paul Sheldon, protagonista di Misery.
La storia di un celebre scrittore soccorso in un incidente stradale da una sua grande fan, Annie Wilkes, la quale si rivela essere una pazza pericolosa che decide di tenerlo in ostaggio per costringerlo a scrivere un nuovo libro della serie Misery, essendo infuriata per il finale di quello che sarebbe dovuto essere il capitolo conclusivo.

Una storia del genere potrebbe, addirittura, essere letta come una critica di Stephen King all’ostracismo nei confronti dell’opera d’autore?
Se tale riflessione sembra esagerata, forse è il caso di rinfrescare la memoria con alcuni fatti degli ultimi anni riguardanti il mondo videoludico.
The golf club treatment
Era il maggio del 2020 quando il mercato videoludico attendeva uno dei titoli di punta di quel periodo: The Last of Us Parte II.
All’epoca, purtroppo, si era già diffuso il brutto vizio dei leak, i quali anticiparono in maniera enfatizzata quello che a molti non è piaciuto una volta provato il videogioco in questione, ovvero l’inizio e la fine della storia che, nonostante siano fortemente logici ai fini narrativi e coraggiosi secondo una visione critica, non vanno come i fan avrebbero voluto.
Soprattutto in quel periodo c’è stata un’aspra diatriba tra critica positiva e negativa, e sebbene la prima non sia condivisibili in maniera assoluta, l’enorme qualità di The Last of Us Parte II è oggettiva, mentre le reazioni negative sono spesso sfociate in delirio.

Laura Bailey, attrice che ha interpretato Abby in The Last of Us Parte II, condivise su Twitter (l’odierno X) screenshot di minacce di morte e altre frasi di pessimo gusto.
Un’altra vittima fu Alanah Pearce, content creator videoludica, che decise di interrompere immediatamente la sua blind run di The Last of Us Parte II in programma su Twitch, anche lei per via di insulti e minacce, testimoniati da screenshot pubblicati sui suoi profili social.
L’anno seguente, la stessa Alanah Pearce fu vittima di un’altra brutta vicenda, stavolta legata a God of War Ragnarok per il quale ha direttamente lavorato allo sviluppo. Anche in questo caso, ella pubblicò uno screenshot sui social a testimonianza di pesanti insulti ricevuti, abbinati all’accusa infondata di essere la causa del rinvio dell’ultima opera di Santa Monica Studio e di averla resa un videogioco cross gen.
Fortunatamente, con l’arrivo della seconda stagione della serie TV di The Last of Us, l’attrice Kaitlyn Dever che interpreta Abby nella trasposizione televisiva non sembrerebbe aver subito lo stesso trattamento della collega Laura Bailey, sebbene non siano mancate le critiche eccessive all’episodio in cui avviene il fatto contestato nel videogioco.

Nessuna di queste persone ha subito qualcosa come un rapimento o un’aggressione fisica, ma atteggiamenti del genere vanno ben oltre il concetto di critica, sfociando nel baratro dell’impulsività, dell’ignoranza e della presunzione.
Review bombing
Un’altra pratica che ha preso piede in questi anni è quella del review bombing, ovvero l’andare in massa, organizzati o meno, sugli agglomerati di recensioni quali Metacritic o la sezione dedicata di Steam, per rilasciare giudizi negativi al punto da fare abbassare la media voto dell’utenza per il videogioco preso di mira.
Non che non ci siano casi dove la rabbia degli utenti è comprensibile, come quelli di videogiochi lanciati sul mercato con grossi problemi di ottimizzazione, al punto da risultare ingiocabili o quasi, ma in troppe situazioni tale pratica è ingiustificata e potenzialmente dannosa.
Un interessato che va a leggere le recensioni di un videogioco, magari limitandosi alla media voto, senza essere ferrato in questioni come quella del review bombing, rischia di rinunciare a un’esperienza videoludica a causa dei capricci di qualcuno.

The Last of Us Parte II è stato vittima di review bombing prima ancora dell’arrivo sul mercato, a causa del leak che anticipava uno degli eventi causa di discordia tra i fan. La trasposizione televisiva ha ricevuto lo stesso trattamento dopo il secondo episodio della seconda stagione, sia da parte di chi sta scoprendo The Last of Us per la prima volta tramite la TV, sia da chi già conosceva la saga originale dei due videogiochi e addirittura si sarebbe aspettato un cambiamento netto della storia.
Puoi?
La storia di The Last of Us Parte II avrebbe potuto essere cambiata drasticamente nella serie TV?
Persino una fuori di testa come Annie Wilkes sa che una storia deve risultare credibile. Lo dimostra nel momento in cui non ritiene leale il primissimo tentativo di Paul Sheldon per proseguire la saga di Misery, tramite il nuovo romanzo che lei stessa ha obbligato a scrivere.
In quel momento, Paul rammenta un gioco di gruppo chiamato “Puoi?” a cui partecipava da bambino, consistente nel far proseguire, a turno, un racconto in maniera credibile. Essendo Paul Sheldon un celebre scrittore, è ovviamente diventato un campione in questo gioco, al punto da riuscire persino a proseguire una serie letteraria che sembrava palesemente conclusa.
Chi si accanisce contro la serie TV di The Last of Us dovrebbe sapere, in cuor suo, che gli sceneggiatori non potevano fare un adattamento in cui viene cambiata la colonna portante della storia originale. Avrebbero accontentato gli atteggiamenti infantili di chi dimostra persino meno sensibilità alla narrativa rispetto a Annie Wilkes, ma ai più, e dal punto di vista critico, sarebbe apparso come una ridicola passata di spugna.

Atteggiamenti del genere esistono da sempre, l’era dei social network ha solo permesso loro di incontrarsi e di fare tanto rumore. Stephen King pubblicò Misery nel lontano 1987, e testimonianze di tali atteggiamenti risalgono anche a dieci anni più tardi, proprio nel mondo videoludico con l’arrivo di Final Fantasy VII.
Si vocifera che anche all’epoca siano state fatte petizioni per cambiare un determinato evento della storia di uno dei più celebri capitoli di Final Fantasy, e di leggende metropolitane che narravano di una possibilità per rimediarvi presente nel gioco.

Eppure, quando Square Enix ha dato l’impressione di voler cambiare eventi tristi ma importanti della storia in Final Fantasy VII Remake, la maggior parte dei fan ha reagito malissimo.
La situazione non è particolarmente migliorata con Final Fantasy VII Rebirth, dove gli autori si sono “salvati in corner” spiegando il tutto con linee temporali alternative alla storia originale, la quale invece prosegue come dovrebbe. Il risultato è un racconto che cerca di accontentare tutti e sa tanto di fan service.
Una storia può essere valida a prescindere che l’intreccio narrativo accontenti o meno chi ne fruisce.
Il ritorno di Misery e la donna che rise di Dio
Il paradosso nella storia di Misery è che nonostante la situazione si faccia sempre più pericolosa per il protagonista, egli intende salvare sé stesso ma anche il nuovo romanzo che è stato obbligato a scrivere.
Paul Sheldon è consapevole di aver avuto successo grazie a una saga letteraria, quella di Misery, tanto apprezzata quanto poco profonda narrativamente, e nonostante non volesse scrivere un nuovo capitolo, si è reso conto che Il ritorno di Misery è un’opera di ben altra qualità.
Non solo la risata di Sara è inscritta nel disegno divino, ma è previsto che anche chiunque altro ascolti (o legga) la vicenda sia mosso al riso per il comportamento bizzarro di Dio. Quella risata non è semplicemente l’effetto della nascita di Isacco, bensì la causa (o parte di essa): è almeno la goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’ultimo strattone che spezza la corda, la scintilla che scatena l’esplosione.
La visione di Roberto Mercadini, riportata nel suo libro La donna che rise di Dio e altre storie della Bibbia, in riferimento al racconto della nascita di Isacco è azzeccata anche per il romanzo di Stephen King in questione, dove il “dio” creatore di Misery viene addirittura minacciato da una sua fedele, al fine di compiere un miracolo.
Ci sono diverse storie di grandi opere realizzate da artisti senza che avessero appieno le migliori intenzioni, comprese opere videoludiche. Naughty Dog avrebbe potuto scrivere un secondo capitolo di The Last of Us in maniera diversa e altrettanto potente? Probabilmente sì, come avrebbe potuto fare anche Squaresoft nel 1997, ma sia la storia di Final Fantasy VII che quella di The Last of Us Parte II sono leali alle regole della narrativa, cosa che non sarebbero il remake del primo e la trasposizione televisiva del secondo se mai dovessero cambiare i pilastri di queste storie.

Come detto più volte dal nostro autore Michelangelo Casto, se i videogiochi vogliono essere considerati anche come un’opera, bisognerebbe smetterla di trattarli troppo spesso come un prodotto, anche per il fatto che troppe volte questo atteggiamento, da parte delle aziende, ha causato e continua a causare danni ingenti a produzioni importanti.
Annie Wilkes avrà anche spinto Paul Sheldon a scrivere il migliore romanzo della serie Misery, a costo di dover arrivare a possedere l’unica copia rilegata, per via del metodo illecito che ha scelto di adoperare, ma questo è stata anche la sua rovina.
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