Videogiochi e libri – Il paragone (azzeccato) inaspettato

“Se siete videogiocatori, se amate i videogiochi, iniziate a tenere un bel libro sul comodino, e se amate la letteratura, provate un videogioco. Le emozioni che proverete saranno le stesse e avrete la stessa bellezza.”
Con queste parole Francesco Toniolo, professore universitario e saggista, concluse il suo monologo intitolato “I videogiochi sono cultura?” al TEDxReggioEmilia, il 6 aprile 2019.
Nei mesi precedenti i videogiochi si sono confrontati (nuovamente) con il medium televisivo, per via della serie TV di The Last of Us.
Questa serie risulta essere una delle migliori trasposizioni televisive di un’opera videoludica, nonostante le preventivabili differenze con l’opera originale.
Eppure alcune scelte di regia per la serie in questione, riescono a mettere in luce una differenza tra i media persino nella trasposizione di un videogioco da sempre definito “cinematografico”.
Alcuni momenti di The Last of Us sono stati resi più hollywoodiani nella serie rispetto agli originali del videogioco, i quali, onestamente parlando, risultano più sottili e raffinati.
Sembra come se si voglia dare per scontato che gli spettatori televisivi non siano in grado di prestare troppa attenzione ai dettagli, andando così a enfatizzare determinati momenti tramite scene d’effetto.
Da sempre si tende a paragonare il medium videoludico a quello cinematografico e televisivo, e se invece avesse ragione il professor Toniolo nel paragonare i videogiochi ai libri?
Cinema e TV con la “sindrome di Voldemort”
Il grande successo di Hogwarts Legacy ha portato sui social diversi video brevi nei quali viene fatta ironia sul poter utilizzare liberamente le maledizioni senza perdono della saga di Harry Potter.
Reels, TikTok, Shorts e storie di Instagram che mostrano sequenze che racchiudono tutte le volte in cui nei film viene lanciata Avada Kedavra, l’anatema che uccide.
Tralasciando gli urlacci un po’ imbarazzanti di Ralph Fiennes nell’interpretazione di Lord Voldemort, un lettore dei romanzi di J.K. Rowling potrebbe trovare strano questo continuo pronunciare il nome dell’incantesimo, considerando che nei libri viene fatto notare ad Harry Potter stesso quanto possa essere problematico non saper lanciare incantesimi senza parlare.
Non che nei romanzi non venga mai fatto esclamare il nome delle maledizioni ai maghi oscuri più potenti, ma ai fini della comprensione del lettore basta descrivere il dettaglio.
Ad esempio, Avada Kedavra viene descritta come un lampo di luce verde; una descrizione alla quale i lettori sono stati abituati prima ancora che gli venisse spiegato l’anatema che uccide.
Per quale motivo, invece, sembra che gli spettatori televisivi non vengano ritenuti in grado di riconoscere Avada Kedavra semplicemente dalla sua estetica?
I videogiochi sono più simili ai libri?
Sembrerebbero lontani i tempi in cui Steven Spielberg rifiutava di fare esplodere il camion antagonista di Duel, motivando la scelta dicendo che gli spettatori devono vedere il camion “sanguinare”.
Eppure The Last of Us è un videogioco del 2013, non un’opera degli anni ’60 o ’70. Com’è possibile che un videogioco moderno, un prodotto che dovrebbe essere ancor più mainstream di film e serie TV, riesca ancora a raccontare tramite questi dettagli, mentre il medium cinematografico e televisivo sembrerebbero avervi in gran parte rinunciato?
Qui iniziano le prime similitudini tra videogiochi e libri.
Innanzitutto, il tempo necessario per fruire di un’opera.
Lo fece notare Amy Hennig, autrice dei primi tre capitoli di Uncharted: un videogioco dalla durata media di undici ore è considerato breve, mentre un film che dura tre ore (equivalente alla durata approssimativa di un DLC videoludico) è considerato lungo.
Va da sé che il maggior tempo a disposizione nei videogiochi, così come nei libri, viene sfruttato in modo diverso.
Ad esempio, tornando al paragone tra il videogioco e la serie di The Last of Us, la prima differenza sta nei momenti d’azione, presenti nella trasposizione televisiva in numero decisamente minore rispetto al videogioco.

Al di là dell’intrattenimento, le fasi d’azione permettono di raccontare l’esperienza in maniera diversa tramite l’interazione.
Le difficoltà provate dai protagonisti nella serie TV vengono trasmesse al giocatore facendole provare con mano, tant’è che alcuni gamers hanno avuto l’impressione che il viaggio di Joel ed Ellie raccontato in televisione sia stato più semplice rispetto a quello del videogioco.
Inoltre, come insegnano i “Souls”, il gameplay può essere utilizzato anche per raccontare una storia. Questo non significa per forza che la narrazione debba essere tramite la lore, tuttavia si tratta di una scelta stilistica abbinata spesso alla narrazione classica.
Ad esempio, nella quarta e quinta puntata della serie di The Last of Us viene mostrata la ZQ presa dai ribelli, divenuti poi banditi, e viene posta enfasi sui protagonisti, sui loro nuovi alleati, e su antagonisti inediti.
Nella serie TV la zona di quarantena è caduta da poco, mentre nel videogioco è caduta da tempo e i nemici sono generici. A raccontare il peso della situazione ci pensano le sessioni d’azione tra le più disperate dell’avventura, mentre la storia del luogo viene narrata dai segni lasciati dalla ribellione e dalle attività dei banditi: documenti, oggetti, scritte sui muri, corpi delle vittime, ecc.

Sembrerebbe essere ormai conclamata la preferenza delle serie TV rispetto ai film per le trasposizioni letterarie (emblematico l’annuncio delle serie di Harry Potter come nuova trasposizione) eppure il maggior tempo a disposizione potrebbe non bastare per riprodurre metodi narrativi che, invece, si adatterebbero meglio a un videogioco.
Non è solo questione di tempo ma anche e soprattutto del metodo di interazione con il medium.
Come un libro spinge a concentrarsi sui dettagli per via del suo metodo narrativo, allo stesso modo può farlo un videogioco grazie alla possibilità offerta al giocatore di interagire con il mondo in cui viene proiettato.
Ovviamente, il fruitore può anche non essere catturato dal medium, qualunque esso sia, nel modo giusto, ma ciò non cambia la base del medium in questione. Ad esempio, più di qualcuno non è interessato alle opere esposte nei musei, ma questo fattore non cambia la loro funzione.
Videogiochi come serie a fumetti
Se al medium letterario si aggiunge quello visivo, non si sta forse parlando di albi a fumetti? Dunque i videogiochi potrebbero essere paragonati ai fumetti?
Non nella forma, perché i fumetti non trattano i dettagli come i libri, essendo basati più sui dialoghi abbinati alle immagini, con queste ultime che hanno un ruolo sì illustrativo ma più estetico. Tuttavia alcuni videogiochi potrebbero essere paragonabili ai fumetti per la serialità.
Non che nei film e nelle serie TV non esista la serialità, ma quante volte si cade nell’eccesso e di conseguenza nella perdita di qualità?
Nel mondo videoludico, invece, esistono moltissime serie, alcune persino trentennali, dove pochissimi capitoli, se non addirittura nessuno, falliscono davvero.
Il segreto potrebbe essere il maggior tempo dedicato allo sviluppo di ogni singolo titolo. Basti pensare che The Legend of Zelda, celebre serie videoludica di Nintendo nel 1986, sta per ricevere quello che tra capitoli principali e spin-off, è il suo ventesimo videogioco. Facendo un paragone con altri media, il Marvel Cinematic Universe ha sfornato trentuno film in quindici anni, per non parlare della sfilza di serie TV che si collegano ad essi.
Tuttavia, mentre c’è grande attesa per The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, l’interesse per l’MCU tende a scemare, a causa di troppe produzioni discutibili che non si reggono più in piedi nemmeno con il loro punto forte che è l’universo condiviso.
Guarda caso serie videoludiche con titoli rilasciati a cadenza troppo breve tra l’uno e l’altro, per esempio Assassin’s Creed, sono quelle che hanno avuto più opere dal risultato discutibile.

La serialità dei videogiochi mostra il suo paragone con i fumetti anche nella struttura narrativa. Una serie di avventure epiche collegate tra di loro come fossero eventi di una vita qualsiasi, andando a creare l’idea di più di un viaggio dell’eroe posti uno dopo l’altro.
Ad esempio, Kratos negli ultimi due episodi di God of War vive due epiche avventure, strettamente collegate tra loro, nella terra dei miti norreni, proveniente però da un passato altrettanto epico che sarebbe un’esagerazione in tanti altri ambiti.
Insomma, quest’uomo burbero e robusto, capace di combattere e armato di un’ascia magica, che vorrebbe farsi la sua vita solitaria tranquilla e si ritrova invece a dover affrontare un’avventura incredibile, proviene in realtà da altre avventure altrettanto incredibili che lo hanno visto addirittura morire e risorgere due volte!
Nella letteratura difficilmente avviene tutto ciò, mentre nei fumetti è all’ordine del giorno. È in ogni serie Marvel e DC, in ogni serie manga decennale, e persino nei sequel di lunghe serie complete, come il manga Boruto dopo ben diciassette anni di Naruto.

La serialità più adatta al mondo videoludico fa sì che mentre nel cinema tendiamo a domandarci quanto ancora avrebbe da dire l’ennesima apparizione di Leatherface, Michael Myers o Ghostface, nei videogiochi c’è curiosità nello scoprire che ruolo avrà Chris Redfield stavolta.
Infine, esistono opere come la serie di Persona che sembrerebbero delle vere e proprie serie shonen giocabili in un unico titolo, per via della longevità e della struttura degli eventi.
Non a casa, il celebre Persona 5 ha ricevuto persino un adattamento manga in più volumi.