The Game Awards hanno ancora senso?
The Game Awards sono nati come celebrazione dell’industria videoludica, un momento per la community di videogiocatori di tutto il mondo per apprezzare le opere che durante l’anno hanno scaldato i cuori di tutti gli appassionati.
All’interno della conferenza sono anche presenti dei premi, e come ogni premiazione che si rispetti non mancano le critiche e le discussioni sui risultati e sui parametri utilizzati per dichiarare i vincitori: com’è possibile paragonare giochi di genere e con argomenti così completamente diversi l’uno dall’altro? Quanto è giusto che la scelta della critica sia predominante rispetto alla scelta del pubblico? Che senso ha inserire nella stessa categoria giochi sportivi come FIFA e simulatori di guida come Gran Turismo? Perché giochi come Sifu, Transistor o Undertale non hanno mai vinto nemmeno un premio allo show di Geoff Keighley?
Molti di questi quesiti non avranno mai una risposta chiara, altri possono semplicemente essere reindirizzati al gusto soggettivo di ogni individuo, o al successo mediatico di un titolo che gli permette di ottenere un vantaggio su un altro gioco che a livello artistico meriterebbe di più.
Lamentele e Paragoni
Alcune domande invece meriterebbero una discussione più approfondita, più nello specifico quelle che hanno a che fare con la struttura stessa dello show e quest’anno sono più numerose che mai. Una fra tutte ha risuonato dopo la conclusione delle premiazioni, mettendo in discussione la logica stessa della vittoria del premio più ambito: com’è possibile che God of War Ragnarök, che ha ottenuto sia il maggior numero di nomination che il maggior numero di premi, abbia perso contro Elden Ring come “Game of the Year”? Non dovrebbe essere scontata la vittoria di un gioco che risulta, almeno sulla carta, qualitativamente superiore sotto numerosi punti di vista? Sembra quasi lapalissiano, specialmente considerando che l’unico indie nominato per il premio “Game of the Year”, ovvero Stray, ha vinto entrambi i premi dedicati ai giochi indipendenti, ovvero “Best Indie Game” e “Best Indie Debut”.
Eppure una risposta, semplice ma efficace, esiste: per quanto un titolo possa avere una qualità maggiore a livello di produzione, con una grafica spacca-mascella e una narrativa meravigliosa, quello che davvero conta in ultima analisi è quanto il gioco sia divertente ed apprezzato.
I giocatori di tutto il mondo hanno adorato Elden Ring, elevandolo a qualcosa di più di un bel gioco uscito durante l’anno: alla sua uscita pressoché chiunque non faceva altro che parlare di lui, lodandone i numerosi punti di forza (ma anche criticandone alcuni aspetti) e dichiarando a gran voce già da marzo che il titolo di FromSoftware avrebbe tranquillamente potuto ambire al premio che ha ottenuto la notte dell’8 dicembre.
A nulla valgono i milioni di budget, l’incredibile grafica e le performance da Oscar di Christopher Judge e Sunny Suljic se poi, pad alla mano, i giocatori esclamano “Bellissimo, maestoso, incredibile! Però Elden Ring mi ha divertito di più!”
Non è fra l’altro la prima volta che un gioco guadagna il titolo di “Game of the Year” nonostante non sia il più premiato in assoluto: il 2018 è stata forse l’edizione più controversa di sempre, quando il pubblico di tutto il mondo si è schierato ai due poli opposti della guerra fra il primo reboot di God of War e Red Dead Redemption II. A parità di candidature (8 per entrambi i giochi) il titolo di Rockstar ha guadagnato ben 4 premi mentre quello di Santa Monica solo 3, venendo però eletto Gioco dell’Anno.
Ancora più strana fu l’edizione dell’anno successivo, in cui i vincitori dei due premi più ambiti (Death Stranding per “Best Game Direction” e Sekiro: Shadows Die Twice per “Game of the Year”) hanno totalizzato rispettivamente 3 e 2 premi totali, mentre un certo Disco Elysium ha superato entrambi con un totale di 4 premi.
Ma allora perché seguire The Game Awards?
Appurato quindi che il numero di premi non indica necessariamente un maggior apprezzamento da parte della community, rimane comunque l’argomento principe da snocciolare: considerando come sia impossibile dare un giudizio oggettivo quando si parla di titoli così diversi e variegati, i The Game Awards hanno ancora senso? La risposta a questa domanda è “sì”, ma questa risposta non ha nulla a che vedere con le premiazioni.
Guardando lo show da un punto di vista puramente super partes e ignorando quindi i premi conferiti, i The Game Awards hanno lentamente soppiantato l’E3, che per anni ha indossato la corona di evento più importante dell’anno. Questo rende quindi lo show di Geoff Keighley il momento migliore per scoprire nuovi titoli: i candidati ai premi rappresentano la creme de la creme dell’anno corrente e sono perfetti da aggiungere al proprio backlog, mentre le innumerevoli “World Premiere” offrono apprezzabilissime sorprese e una panoramica molto interessante dei titoli che verranno pubblicati nei mesi successivi.
Insomma, se si riesce a ignorare il bisogno viscerale di schierarsi a favore del proprio videogioco preferito, i The Game Awards rimangono una chicca importantissima per qualsiasi videogiocatore sia interessato ad approfondire e ampliare i propri orizzonti e sia felice di farsi stupire dagli imprevedibili annunci che costellano ogni anno la serata.