Nuove frontiere: la Virtual Photography – Intervista a Francesco Favero

Nelle sue molteplici declinazioni, il digitale ha abbracciato – e non di rado stravolto – interi settori e tecnologie, applicandovi modelli di intermediazione inediti ed avviando così una sempre più tangibile convergenza tra diverse aree disciplinari, professioni e forme di espressione artistica. Un caso degno di nota nel panorama videoludico è senz’altro quello della Virtual Photography, che si potrebbe definire come lo “sconfinamento” della fotografia d’arte nei mondi virtuali dei videogiochi.
D’altronde, negli ultimi anni la presenza della photo mode ha assunto un’importanza cruciale nelle grandi produzioni, e non è un caso se i publisher vi ripongono un vero e proprio asset pubblicitario. Sarebbe tuttavia riduttivo inquadrare la fotografia virtuale solo da questa prospettiva, poiché rischieremmo di escluderne un significato più profondo: l’apertura del videogioco ad un nuovo linguaggio come ulteriore testimonianza del suo valore culturale.
A questo proposito abbiamo deciso di fare due chiacchiere con Francesco Favero, in arte VP Sharing Panda, il quale – come ben dimostra il suo profilo Instagram – può vantare un’esperienza piuttosto rilevante nel campo della Virtual Photography.
Iniziamo dall’inizio: come e quando ti sei avvicinato alla Virtual Photography?
Ciao Michelangelo, innanzitutto grazie per questa intervista, e soprattutto, grazie per dedicare dello spazio a questa nuova forma d’arte.
Il mio percorso con la Virtual Photography è iniziato 4 anni fa, a inizio 2018, attraverso la creazione del mio account Instagram, al tempo “Ps4SharingPanda”. All’inizio usavo il mio profilo per il repost di quelli che al tempo chiamavo semplicemente “screenshot di gioco” di altri giocatori, per poi immergermi all’interno di quel mondo e scoprire la Virtual Photography e iniziare a praticarla. Ad oggi ho rinominato il mio profilo in “VpSharingPanda” e comprende esclusivamente lavori creati da me.

È cambiato il tuo modo di videogiocare, o anche solo di acquistare videogiochi da quando ti dedichi alla Virtual Photography?
Entrambi questi aspetti sono cambiati da quando pratico la fotografia virtuale.
Il primo ha subìto un sostanziale incremento per quanto riguarda l’attenzione che dedico al mondo di gioco, non solo a livello paesaggistico [alla cui importanza noi di Altea abbiamo dedicato un intero progetto, ndr], ma anche di dettaglio dei vari personaggi e della trama in cui sono immersi per poter poi, tramite le foto, raccontarli al meglio.
Per quanto riguarda il secondo punto, da fotografo sono portato più ad acquistare videogiochi che comprendano all’interno una photo mode ben realizzata, contro videogiochi con modalità foto mal fatte o addirittura assenti. Plauso va a Sony per questo aspetto in quanto nelle proprie esclusive tende a inserire in modo sempre più coinvolto delle photo mode ben realizzate e interessanti.
Esistono dei percorsi di professionalizzazione per chi volesse intraprendere questa strada?
Al giorno d’oggi la Virtual Photography è una pratica ancora troppo di nicchia per poter aprire a delle vere e proprie professioni. La mia speranza è che un giorno le grandi case di sviluppo (ma anche quelle più indipendenti) diano delle opportunità di lavoro, anche su commissione, a fotografi virtuali per creare ad esempio immagini pubblicitarie che si discostino dalle classiche immagini stock che siamo abituati a vedere.
Purtroppo, sono delle speranze che hanno una scarsa probabilità di vedere la luce del sole, in quanto si tratta di operazioni che al giorno d’oggi vengono fatte gratuitamente “sfruttando” le svariate foto pubblicate sugli account social dei vari fotografi. Per questo definisco la modalità foto una manovra pubblicitaria tra le più riuscite, fatta da chi utilizza il videogioco e non da chi lo sviluppa.
Nonostante tu sia nato come VP, so che in seguito hai avuto modo di studiare un po’ anche la fotografia classica. Quanto effettivamente coincidono le due cose? Sono molti i punti in comune o ha più senso considerarle due discipline distinte?
La fotografia classica e la fotografia virtuale sono due discipline simili ma ognuna con le sue peculiarità.
La caratteristica primaria di uno scatto virtuale è quella di poter “congelare” il tempo, quindi si può considerare la VP più vicina ad una fotografia di studio, dove luce e pose sono definite prima di scattare una foto, permettendoti di immortalare una scena da più angolazioni, piuttosto che quella realizzata sul campo dove la maggior parte degli elementi sono dettati dal caso di un singolo istante e da una singola prospettiva.

Scattare fotografie in un videogioco narrativo non sembra tanto diverso dal farlo in un film, ma nel videogioco, si potrebbe dire, il fotografo è anche regista. Questa peculiarità rende possibile offrire nuove interpretazioni dei momenti immortalati secondo te?
Un videogioco narrativo non è molto dissimile da una produzione cinematografia ai fini della trama ma, come ben sappiamo, la differenza principale sta nel poter controllare il nostro protagonista e la telecamera che gira attorno ad esso. Questi fattori sono l’elemento essenziale della Virtual Photography, in quanto non si può definire fotografia la semplice pressione del tasto per ottenere uno screenshot in un qualsiasi fotogramma di un film a causa dell’inquadratura già studiata del direttore della fotografia. Nel videogioco i movimenti del soggetto e della camera sono decisi dal fotografo virtuale (o più comunemente da qualsiasi giocatore), e tramite questi strumenti può stravolgere la situazione a suo piacimento diventando lui stesso il regista di un determinato momento per far esprimere tramite il suo scatto un concetto che devii anche dalla storia stessa.
Prima hai voluto elogiare Sony; pensi ci sia un maggior investimento sulla photo mode da parte della casa di Tokyo, oppure è più una ricercatezza estetica che rende le esclusive dei PlayStation Studios così fotogeniche?
Come già affermato nella risposta precedente, la Virtual Photography per un’azienda del settore videoludico è un fortissimo mezzo di marketing.
Sony in questo “ci ha visto lungo” implementando photo mode sempre migliori all’interno dei propri titoli che permettono di incrementare il loro già buonissimo aspetto visivo.
Inoltre, per incentivare questa pratica, nei loro social danno visibilità ogni settimana ad artisti e alle loro fotografie con sempre più iniziative originali come la nuovissima “The gamers gallery” partita pochissimi giorni fa.
I tuoi scatti su Ghost of Tsushima ti sono valsi un’esposizione firmata Neoludica, con annesso reclutamento nel collettivo di artisti digitali italiano. Puoi dirci qualcosa riguardo a questa esperienza? E alla luce di ciò, riconosci nella Virtual Photography uno strumento efficace per la diffusione della cultura del gaming?
Neoludica è un collettivo di artisti italiani con la passione per il videogioco e dei suoi aspetti più artistici, fondato da Debora Ferrari e Luca Traini.
Entrare a far parte di questo gruppo al fianco di artisti noti tra i quali, per citarne alcuni, Emalord (Emanuele Bresciani) e Vertical Gaming Photography (Cristiano Bonora) è stato sicuramente il traguardo più importante che abbia raggiunto in quanto fotografo virtuale; è un’esperienza che mi ha portato e che mi porta tuttora a una continua crescita e che mi dà la carica per migliorare costantemente il mio lavoro.
Con loro ho esposto opere in varie zone d’Italia, tra le quali spuntano la bellissima cornice del setting romano all’interno di Cinecittà a Roma ed il museo archeologico di Olbia.
Credo che la VP sia un ottimo mezzo per far avvicinare le persone al mondo del gaming in quanto molte, osservando certi scatti, si meravigliano della loro provenienza videoludica e rimangono incuriosite da questo mondo che noi amiamo tanto.

In Italia soffriamo di un ritardo cronico su mode, tendenze, ecc. rispetto agli altri paesi, europei e non. Quanto si è sviluppata la scena italiana della Virtual Photography e come la paragoneresti alle altre?
Per quel che riguarda la Fotografia Virtuale in Italia abbiamo avuto un ottimo sviluppo, tanto che in vari concorsi, creati da case di sviluppo piuttosto che da iniziative personali di qualche utente, spuntano molto spesso nomi di artisti italiani tra i vari possibili vincitori.
Neoludica stessa con il loro progetto è stata una delle prime avanguardie in questo campo, con esposizioni riguardanti la game art già nel 2011 all’interno della biennale di Venezia.
Si parla sempre più di Web3 e di tutta la congerie di tecnologie che lo costituiscono. Penso in particolare al mercato degli NFT: credi possa accogliere e influenzare la Virtual Photography? Se sì, in che modo?
La connessione tra Virtual Photography e NFT è una cosa possibile ma molto difficile da realizzare.
Le foto che immortaliamo all’interno di un videogioco sono sempre e comunque di proprietà della casa di sviluppo del titolo in cui andiamo a scattare, per cui trasformare uno scatto in un Token per poi rivenderlo risulterebbe illegale.
L’unico modo in cui questo può avvenire sarebbe tramite accordi con la casa di sviluppo stessa, dove le varie parti interessate ricevono una percentuale dalla vendita così da rispettare tramite un contratto l’uso dei diritti d’autore di un determinato titolo.