Ecco cosa resta di Edith Finch, 5 anni dopo

Una delle frasi più straordinarie di “What remains of Edith Finch” si trova alla fine del gioco e dice più o meno così:
“Se potessimo vivere per sempre, magari avremmo il tempo di comprendere le cose.”
Non appena l’ho letta, però, mi sono immaginata Edith nello stesso tipo di limbo in cui si trovano i personaggi di Pirandello in “All’uscita” (1916), anime costrette a restare nel limbo tra la vita e la morte finché non vedranno realizzato il loro ultimo desiderio.
Tra queste, spicca la figura del Filosofo che, in un magico crossover con il gioco, potrebbe risponderle con un secco no, non basterebbe nemmeno tutto il tempo del mondo per comprendere, davvero, le cose.
E se è vero che nello stesso limbo vive anche Olivia e parte della sua famiglia da “The Haunting of Hill House”, in via metaforica, ecco spiegata la necessità di questo articolo per analizzare eventuali punti di contatto tra tre opere diverse, media diversi in contesti storici e sociali abbastanza diversi, ma in realtà accomunate da due temi in particolare: i ricordi e le storie di chi li abita.
What remains of Edith Finch: tra maledizioni, superstizioni e memoria
Se anche sembra essere la morte la vera protagonista del gioco della Giant Sparrow , è immediatamente evidente che in realtà non sia assolutamente la parte più importante.
Nessuno dei Finch viene mostrato nel momento esatto in cui perde la vita, ma dal primo momento in cui mettiamo piede in casa, ne respiriamo la presenza attraverso oggetti, memorie, momenti.
Nelle loro stanze, spesso attraverso i diari o altri piccoli gingilli, Edith ne ripercorre le storie a ritroso, componendo un quadro che sua madre, probabilmente per proteggerla da quella maledizione che pensava appartenere a tutto l’albero genealogico, non le aveva mai permesso di scoprire davvero.
Ci si concentra piuttosto sull’intrinseca tragicità dell’evento, sugli errori commessi, su come il personaggio abbia agito prima di morire, quando era in vita.
Ciò che ci viene raccontato tra le righe è che la famiglia Finch era molto superstiziosa e che fu, nella maggioranza dei casi, questa superstizione a portarli a compiere il destino che si aspettavano di avere.
Anche Edith stessa, che in un primo momento sembra molto razionale sulla questione – o forse semplicemente speranzosa?-, ammette di aspettare la sua morte e di star scrivendo quel diario proprio perché, probabilmente, sarà l’ultimo oggetto in sua memoria.

The Haunting of Hill House: superstizione o soprannaturale?
Allo stesso modo di come Edith viene magnetizzata dalla sua vecchia casa, nonostante le dia ancora i brividi, Eleanor Vance, una delle protagoniste di Hill House, ritorna nel maniero protagonista della sua infanzia, e di quella dei suoi fratelli, in cui sua madre ha perso la vita.
Tratta dal libro di Shirley Jackson del 1959, la serie guida molto verso una risoluzione soprannaturale.
Ma il libro non era così.
L’opera originale, molto più raffinata, pianta nel finale il seme del dubbio della razionalità: l’atmosfera cupa, misteriosa e, di certo, sinistra della casa, potrebbe effettivamente aver favorito non solo una serie di allucinazioni collettive, ma anche il deterioramento progressivo della sanità psicologica di Eleonor, portandola al suicidio.
Nella serie tv, invece, è palesemente la casa a essere viva, ad avere sue regole temporali specifiche che non rispondono a quelle del mondo esterno, a voler mangiare e digerire la famiglia Vance, membro dopo membro, per inglobarla in sé e farla “rivivere” per sempre, in chissà quale limbo spazio-temporale, al suo interno.
All’uscita: Pirandello e il concetto di limbo post-morte
È in questo limbo di morte-non morte (o in uno molto simile), che si trovano i personaggi di Pirandello nella commedia breve “All’uscita”.
Di una potenza sconcertante, è ambientata in un cimitero, dove un’apparenza sembra riflettere senza rimedio: è il Filosofo.
Assieme a un Uomo Grasso, si interroga su tutti quei concetti che Pirandello esprimerà e aveva già espresso più volte in molte opere diverse, da Sei Personaggi a Il Fu Mattia Pascal: senso della vita, vacuità del materialismo umano, identità personale.
Le “apparenze” sono morte, o meglio, si trovano in un limbo sospeso tra la vita e la morte, ancorati ancora a questa terra da un ultimo desiderio. In questa sospensione, quindi, ha importanza ancora una volta non la loro morte, bensì il loro pensiero da vivi, il loro ultimo desiderio.
Edith Finch, Olivia Vance e il Filosofo…
È quindi abbastanza chiaro come le tre opere abbiano in comune questo concetto di morte-non morte, questo “limbo” di sospensione in cui le cose scorrono con tempi diversi in spazi diversi. Che sia, infatti, nella vecchia casa abbandonata dei Finch, nel terrificante maniero di Hill House o all’uscita di un cimitero, ci ritroviamo comunque in un mondo sospeso, che gioca con le nostre regole, scardinandole e facendole proprie in maniera del tutto diversa.

Ciò che è, forse, ancor più interessante da notare è come anche tre dei personaggi più importanti siano legati a doppio filo da qualcosa di profondo. Proviamo a conoscerli meglio.
Edith Finch è l’unica rimasta della famiglia Finch, dopo un lungo albero genealogico di sinistre morti precoci. Nel momento in cui giochiamo, è incinta di 22 settimane e sta scrivendo le sue memorie e quelle della sua famiglia come dono per il suo bambino, convinta che non riuscirà mai a conoscerlo.
Edith torna nella sua casa d’infanzia, abbandonata dopo la morte di suo fratello, per scoprire tutte le storie del suo albero genealogico, così da scrollarsi di dosso la maledizione di cui tutti i suoi familiari erano convinti fossero vittime. A quanto pare, però, non ci riuscirà mai del tutto.
Olivia Vance è la moglie di Hugh Vance, con il quale ha riscattato Hill House per poter ristrutturarla, sistemarla e rivenderla a prezzo pieno. Qualcosa va storto, però, perché Hill House non sembra minimamente voler essere rimessa a nuovo.
Olivia è una donna estremamente sensibile, con un sesto senso tremendamente vigile, che farebbe di tutto per i suoi figli. Si convince (o meglio, la casa la convince) ben presto che l’unico posto sicuro per loro sia all’interno di Hill House stessa, perché il mondo fuori non è assolutamente in grado di accoglierli senza dolore.
Il Filosofo di Pirandello, infine, è un uomo estremamente perspicace. Non sappiamo molto della sua storia pregressa, se non che sembra aspettare lì da molto più tempo di tutti gli altri, compreso l’Uomo Grasso, seconda apparenza a comparire.
Osserva le altre apparenze comparire e scomparire: il bambino con la melagrana, la moglie adultera dell’uomo grasso. Le analizza, cerca di comprenderle, non si stupisce quando, esaudito il loro ultimo desiderio, tutti scompaiono. Tutti tranne lui che, come ultima battuta, declama: ”ho paura ch’io solo resterò qua, seguitando a ragionare”.

… tre personaggi in cerca di pace
È la condanna, il vero grande punto d’incontro tra queste tre opere, così diverse, eppure così affini.
La condanna della famiglia Finch, su cui pende apparentemente una maledizione e un’infinita sequela di morti precoci.
La condanna della famiglia Vance, cui li costringe Hill House e la stessa Olivia, a dover essere digeriti dalla casa, a dover pagare per la loro instabilità emotiva e la loro sensibilità profonda.
E la condanna del Filosofo -e quindi di Pirandello stesso-, destinato per sempre a quel limbo di non morto, perché il suo ultimo desiderio è probabilmente comprendere come funzionano tutte le cose e, di conseguenza, irrealizzabile.
È davvero strabiliante come What remains of Edith Finch sembri essere un giochino molto semplice, ma non lo sia. Mette su un piatto un gameplay relativamente scarno, per quanto particolare e memorabile, e una storia raccontata egregiamente.
E forse è questo, che resta dei Finch: un’eredità fatta di rami che si districano in riflessioni tra media diversi, in contesti diversi, ma con la stessa capacità di fondo di regalarti uno schiaffo e una carezza, quasi contemporaneamente.