Dark Souls sotto l’ombrellone – Il piacere della scoperta

Qualche settimana fa, noi di Altea Gamer Squad, partecipando a un progetto social insieme alle altre sezione di 2duerighe, abbiamo pubblicato sulla pagina Instagram del giornale un post in cui vengono elencati “I cinque giochi da ombrellone“.
In maniera piuttosto insolita, al quinto posto abbiamo suggerito Dark Souls, ed essendo stato io ad aver fatto questo nome in redazione, sento di dover spiegare la motivazione di questa scelta.
La celebre opera (che compirà dieci anni proprio quest’anno) sviluppata da FromSoftware sotto la direzione di Hidetaka Miyazaki non è esattamente l’emblema del relax, ma superando l’ostacolo della sua famosa difficoltà, è possibile vedere Dark Souls da un altro punto di vista: quello della scoperta.
Il mare e il fascino della scoperta
“Non ci portare chiunque a vedere il mare, che è una cosa importante, mica una cosa da niente.“
Marzia Sicignano – “Io, te e il mare”
Il mare, quanti pensieri che smuove nella testa. Osservare la sua sconfinatezza, percepire quanto è profondo, ammirare gli elementi in lontananza: tratti di terra, barche, nuvole.
Guardare il mare può anche significare ammirazione per il fascino dell’ignoto, della scoperta, ed è una sensazione che può favorire, appunto, attività di scoperta, come può essere il semplice leggere un libro.
Cosa accade quando ci si lascia trasportare da queste sensazioni che trasmette il paesaggio marittimo, mentre si legge un racconto che tratta di ricerca e scoperta in un ambiente fantastico? È quello che accadde a me quattro anni fa, quando lessi, proprio sotto l’ombrellone, La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, romanzo breve di H.P. Lovecraft.
Una lettura della quale mi innamorai; rapito al punto da non volerne sapere di alzarmi dalla sdraia, nemmeno per rinfrescarsi in acqua, col caldo che faceva.
Ripensando a quel momento, e cercando un’analogia con i videogiochi sotto l’ombrellone, viene da chiedersi se possa esserci un’opera videoludica in grado di trasmettere un’esperienza simile a quella del viaggio di Randolph Carter nel mondo dei sogni.
La risposta l’ho trovata in Dark Souls.
The marvelous sunset city and the great Anor Londo
“Tre volte Randolph Carter sognò la città meravigliosa, e tre volte ne fu rapito mentre la ammirava dalla terrazza panoramica. Magnifica e splendente come oro ai raggi del tramonto, la città era ricca di mura, templi, colonne, ponti ricurvi di marmo venato, fontane d’argento che mandavano zampilli nelle grandi piazze, giardini profumati, larghe strade che si snodavano fra filari di alberi delicati, urne ornate di fiori e una teoria scintillante di statue d’oro.”

È risaputo ormai che Hidetaka Miyazaki si sia ispirato ai racconti di Lovecraft per la realizzazione di Bloodborne, ma un attento lettore del Solitario di Providence non può che notare altri riferimenti a questi racconti anche in Dark Souls.
Dopo aver letto La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath, salta all’occhio la somiglianza tra Anor Londo, la città degli dei, e la meravigliosa città del tramonto dalla quale è ossessionato Randolph Carter.
L’estetica di Anor Londo ricorda moltissimo quanto scritto nella citazione introduttiva di questo paragrafo; la città è persino illuminata dal sole al tramonto, così come il Non Morto Prescelto che vi accede scendendo una scalinata che parte da una sorta di terrazza panoramica.
La differenza è che Anor Londo non è affatto la destinazione finale in Dark Souls, anzi è un luogo raggiungibile quando si è a meno della metà del viaggio.
Inoltre, il tramonto su Anor Londo è una menzogna, come rivelato da un determinato evento opzionale; la vera città del tramonto da raggiungere in Dark Souls è il ritorno all’Era del Fuoco, tramite il sacrificio del Non-Morto prescelto per ravvivare la Prima Fiamma.
Ma è questa la verità? Come viene detto a Randolph Carter da Re Kuranes, sovrano di Celephais, la città del tramonto potrebbe anche non essere ciò che sembra. Scoprire tutta la verità in Dark Souls è sicuramente più complicato che leggerla in un racconto, ma l’appagamento può risultare anche superiore.
Luce e oscurità
“Poi vide intorno a sé una specie di grigia fosforescenza e immaginò di essere arrivato nel sotterraneo mondo d’orrore di cui parlano le leggende, illuminato soltanto dai fuochi fatui di cui abbonda quell’atmosfera sepolcrale e dalle nebbie primitive che si sprigionano dal centro della terra.”

La ricerca onirica dello sconosciuto Kadath è un racconto fantasy che non disdegna il genere horror, proprio di Lovecraft, in diversi tratti dell’intreccio narrativo.
Dark Souls è un dark fantasy medievale con paesaggi che, similmente alla più grande avventura del ciclo di Randolph Carter, attraversano una linea di temi che va dalla meraviglia di antichi luoghi in rovina fino ad aree tetre vittime di peccati innominabili.
Un’altra similitudine tra queste due opere è l’incredibile capacità di racchiudere e collegare tanti scenari così diversi tra loro in un unico mondo coerente.
Infine, altra caratteristica simile che forse sorprende più nella letteratura che in un videogioco, la narrativa del “non-detto”: la lore.
Lungo il suo viaggio alla ricerca dello sconosciuto monte Kadath, Randolph Carter viene scosso da scenari e situazioni che il racconto non spiega del tutto: l’antica città sommersa, gli esseri dai piedi palmati delle città morte, il bhole, la parete di lava e spuntoni del monte Ngranek, la colossale miniera d’onice, ecc.
Tanti elementi simili sono presenti in Dark Souls, ormai noto per la necessità di un vero e proprio studio dei dettagli per capire il corso degli eventi che ha reso la terra di Lordran nel modo in cui appare nel gioco, ma la lore può andare oltre il chiedere al giocatore di ricomporre il puzzle, se vengono poste domande più profonde: perché il personaggio giocante è il Non Morto Prescelto? Perché, a differenza degli altri non morti, non può perdere il senno? Perché il suo pellegrinaggio è ricco di insidie? E cos’è davvero giusto tra luce e oscurità?
Il piacere della scoperta
“Non è al di là di mari sconosciuti che devi cercarla, ma negli anni ben noti del tuo passato; nel passato a cui appartengono le misteriose intuizioni dell’infanzia e le improvvise rivelazioni di magia che gli occhi della gioventù sanno cogliere negli scenari familiari, frammiste alla luce del sole.”
La sensazione di scoperta trasmessa da Dark Souls va oltre il semplice piacere di conoscere qualcosa di nuovo e inaspettato. A fare la differenza è il modo in cui si scoprono determinate cose; un modo che risale agli anni ‘90 e ai primi anni 2000, prima dell’era digitale, quando si usava il passaparola e si acquistavano le riviste videoludiche (ed era facilitata la nascita di leggende metropolitane).
Tramite un’impostazione da vero GDR, più di tanti altri videogiochi di ruolo definiti come tali, Dark Souls svelta molti dei suoi segreti grazie a delle scelte istintive del giocatore: di fronte a un bivio, anche un semplice “sì o no” nei confronti di un NPC, scegliere l’opposto di ciò che sembra essere la risposta ovvia potrebbe cambiare tutto.
Questo genere di scelta può essere applicata, in un certo senso, anche tramite la componente action del gioco. Ad esempio, contro un boss può venire istintivo cercare di aggirarlo e colpirlo alle spalle, magari alla sua coda, in modo da tenersi a debita distanza, e in questo caso si scopre che la coda può essere tagliata e dona addirittura un’arma unica. A questo punto viene da chiedersi se tutte le code dei boss possono essere tagliate, provando così a tagliarle ogni volta.
Non solo i nemici, poi: tutti gli NPC del gioco possono venire uccisi, ma cosa accade davvero se si sceglie di compiere questo delitto? Provare, se si ha il coraggio di farlo. Mal che vada c’è sempre il New Game +.

Sarà che Dark Souls è un videogioco pubblicato ormai dieci anni fa, sequel spirituale di quel Demon’s Souls che divenne famoso ben oltre le aspettative, dando vita al genere Souls-like e cambiando in generale i videogiochi degli anni 2010, ma la celebre opera di Hidetaka Miyazaki sembrerebbe avere una parte del suo tocco autoriale venuta a mancare persino nei suoi sequel.
L’idea di svelare segreti tentando gesti apparentemente assurdi viene vista come artificiosa nella struttura di un videogioco, ma nel primo Dark Souls si nota l’innocenza dell’autore nella realizzazione di questa caratteristica, in contrasto con lo stile tipico di questi elementi presenti nei JRPG volto quasi a voler vendere le guide ufficiali (presente invece in alcuni tratti di Dark Souls II, soprattutto, e Dark Souls III).
Sicuramente le opere successive di FromSoftware hanno migliorato diverse caratteristiche di Dark Souls, ma per avere quel preciso senso di scoperta bisognerebbe tornare indietro di dieci anni. Magari con la remastered rilasciata nel 2018; la versione per Nintendo Switch, nel caso si voglia effettivamente giocare Dark Souls sotto l’ombrellone.