Objection! Il problema delle “etichette videoludiche”
C’è troppa superficialità nel mondo videoludico.
Stiamo vivendo un periodo dove gli utenti si chiedono perché piacciono tanto “giochi noiosi” come The Last of Us o Red Dead Redemption II, o perché la trama di The Last of Us Parte II non va come avrebbero voluto loro. Vedono la libertà di guida in Cyberpunk 2077 e YouTube si riempie di video che fanno il paragone con la serie di GTA, oppure ci si domanda perché in un videogioco d’azione “si fanno sempre le stesse cose”.
Potremmo definire l’argomento di questo nuovo numero di “Objection!” come il problema delle etichette videoludiche, sia quando ci si limita a queste “etichette”, sia quando queste vengono ignorate.
“Elementi RPG” – Dannate etichette!
Discutendo qualche tempo fa con il nostro caporedattore Marco Piacentini, mi è stato ricordato che le etichette servono a indirizzare il cliente nell’acquisto di un prodotto, di conseguenza non entrano molto nello specifico. Il problema è che nel mondo videoludico questo può causare disinformazione e confusione tra l’utenza, per poi contribuire a diffondere opinioni errate che rischiano di intaccare l’immagine del videogioco in questione.
Ricordo ancora quando una scheda del prodotto Dragon Ball Z: Budokai Tenkaichi 2 recitava “picchiaduro/sparatutto”. Perché “sparatutto”? Perché parliamo di un picchiaduro dove si effettuano molti attacchi energetici a distanza.
Questo può essere visto come un tentativo di precisare le caratteristiche del videogioco in questione, ma il termine “sparatutto” in quel contesto da l’impressione di essere comunque fuoriluogo.
La situazione più comune in questi casi è quando si usa il termine GDR (o RPG, dall’inglese “role playing game”) o “elementi GDR”.
Come già detto nel sedicesimo episodio di Altea Gamer Podcast, riguardante i GDR, oggi va di moda inserire caratteristiche GDR in ogni videogioco, ma basta la possibilità di aumentare le statistiche, sbloccare abilità, o modificare le armi, e subito viene aggiunto il termine “GDR” nel genere videoludico.
Prendiamo ad esempio gli ultimi tre capitoli di Assassin’s Creed, una saga che, almeno prima dell’ultimo capitolo, era stata accusata anche di essere diventata GDR.
Assassin’s Creed: Origins possiamo definirlo un action con elementi GDR, in quanto caratteristiche quali l’aumento di livello e l’equipaggiamento hanno una notevole importanza nel gioco, specialmente nelle fasi più avanzate e nell’endgame.
Assassin’s Creed: Odyssey, invece, è assolutamente un action-RPG, dato che la componente ruolistica è sia più marcata che più influente sul gioco: le abilità sono fondamentali per vincere in combattimento, lo stealth richiede le giuste abilità e statistiche, il combattimento a distanza è impossibile senza una build dedicata, e poi il potenziamento delle navi, il sistema di taglie, ecc.
Al contrario, Assassin’s Creed: Valhalla è assolutamente un action, e non saranno statistiche e abilità molto meno influenti rispetto al predecessore a cambiare le cose. Assassin’s Creed: Valhalla è, per molti versi, un ritorno al passato per la saga, nonostante la nuova struttura del combat system (certamente migliorato rispetto ai primi capitoli) e la storia che narra più di vichinghi che di assassini.
Tre videogiochi che vengono almeno etichettati come “con elementi RPG“, eppure, andando ad analizzare, si scopre che si tratta di tre giochi differenti.
Persino tra videogiochi dove è indubbiamente presente la componente GDR può esserci differenza, anche nelle situazioni più impensabili.
Prendiamo ad esempio la trilogia di Dark Souls: parliamo indubbiamente di action/RPG, ma in Dark Souls II la componente ruolistica è molto più influente, andando proprio a rinnegare un po’ quelle che sono le basi della serie.
Potremmo anche chiederci, ad esempio, quanto sia effettivamente action/RPG The Witcher 3, piuttosto che un GDR puro, considerando quanto è basico il suo sistema di combattimento.
Un altro esempio sono i JRPG (japan role playing game), i videogiochi di ruolo giapponesi, i quali hanno delle caratteristiche ben definite. L’errore più comune in questo caso è pensare che un JRPG, per essere considerato tale, debba avere necessariamente il sistema di combattimento a turni. In realtà il combattimento a turni è solo una delle caratteristiche tipiche dei JRPG, ma esistono anche saghe decennali JRPG di stampo action, come Ys o Tales of.
Per tanto, non è che Final Fantasy VII Remake non sia un JPRG solo per il fatto di non presentare il sistema di combattimento a turni come nel Final Fantasy VII originale, anche perché un’eventuale componente action dei JRPG non è proprio la stessa dei videogiochi del genere action.
“In Resident Evil si spara agli zombie”
La confusione riguardante la componente GDR è solo il più famoso dei problemi causati dalle etichette videoludiche, in quanto esse possono generalizzare qualsiasi altra categoria di videogioco.
Prendiamo ad esempio due saghe action/adventure molto popolari: Tomb Raider e Uncharted, spesso messe in paragone ma totalmente diverse tra loro. Il ciclo originale di Tomb Raider sviluppato da Core Design, è una serie di videogiochi che necessitano un minimo di manualità del giocatore con tanta osservazione e pazienza. I nemici? Solo un ostacolo in più (tranne in Tomb Raider II, dove la maggior parte dei nemici sono umani). In seguito Tomb Raider, prima con Crystal Dynamics e soprattutto poi con Square Enix, è diventato qualcosa di diverso, ma rimane comunque diverso da Uncharted.
La saga di Nathan Drake, invece, è prevalentemente una serie di videogiochi sparatutto, dove fin dal primo capitolo persino le fasi shooting avvengono in aree “casualmente” sfruttabili come trincee. Non sarà qualche arrampicata di troppo a cambiare le cose né qualche raro enigma mai troppo complesso, e non è un caso che il capitolo ritenuto oggettivamente il migliore sia Uncharted 2, dove storia e ambientazioni favoriscono le sparatorie.
Non è un caso che l’allora attesissimo Uncharted 4, nonostante sia oggettivamente il migliore per comparto tecnico (e ci mancherebbe) e narrativa, abbia un po’ deluso i fans, per via del semplice allargamento delle aree che non ha funzionato a dovere, segno che in questa serie non c’è mai stata una vera componente esplorativa.
Questo caso potrebbe essere un esempio per insegnare due cose: “originalità” non è per forza sinonimo di “migliore”, e che nel mondo videoludico ci sono troppe opinioni per sentito dire. Prendiamo ad esempio, come da titolo, Resident Evil: “un gioco dove si spara agli zombie”, ma allora perché Resident Evil 6 è stata una delusione?
Se si parte dal primo capitolo di Resident Evil, ci si rende conto che, un po’ come nei primi Tomb Raider, i nemici sono prevalentemente un ostacolo in più, ma l’obiettivo del gioco è sopravvivere a quella villa in cui è ambientato. Nel passaggio a Resident Evil 2, invece, troviamo un esempio simile all’evoluzione del gameplay in Uncharted: il gameplay fondamentalmente è lo stesso del primo capitolo, ma basta vedere il maggior numero e la maggiore pericolosità dei nemici, i quali spesso richiedono la fuga, unita all’ambientazione metropolitana, per capire come il gioco sia in realtà più survivor rispetto al predecessore.
Dedicarsi al retrogaming fa scoprire molte verità sui videogiochi di una volta, andando a smentire diversi luoghi comuni. Ad esempio, scoprire che in Resident Evil lo zombie è solo il nemico più comune, ma fin dall’inizio sono sempre stati presenti diversi tipi di nemici (caratteristica che a molti è sembrata strana in Resident Evil VII e nell’imminente Resident Evil VIIIage).
Una saga videoludica può essere più o meno modificata, a volte anche rivoluzionata, l’importante è che gli sviluppatori capiscano quando e se è il caso di farlo. I fans potrebbero tranquillamente non apprezzare il cambiamento, ma questo diventa ingiustificato quando la critica va a toccare elementi che, in realtà, sono sempre stati abbastanza presenti nella saga in questione.
Una cosa che mi è sempre piaciuta fare è confermare o smentire opinioni nette su determinate opere, soprattutto opere videoludico. Troppe volte, invece, sono stato preso dal sentito dire o proprio dall’hype per poi ritrovarmi ad avere a che fare con un’opera che non era quello che mi sarei aspettato, o che non soddisfaceva i miei gusti. Il consiglio che do sempre è che per farsi un’opinione su un videogioco è, prima di tutto, provarlo, e in seguito domandarsi in maniera oggettiva perché potrebbe piacere o non piacere.
Io vi do appuntamento al prossimo numero della rubrica, e vi lascio come sempre con i link agli articoli precedenti: cliccate qui per raggiungerli tutti