Platform Indie 2D degli anni ’10 da non perdere
Con il termine platform, riferito al mondo videoludico, diciamo un po’ tutto e un po’ niente: traducibile, letteralmente, in piattaforme, si intende lo scorrimento, generalmente in livelli, della nostra avventura interagendo con, appunto, delle piattaforme.
Super Mario è probabilmente l’esempio lampante: senza alcun sostegno, per aria, troviamo dei blocchi su cui saltare o colpire con la testa, permettendoci di avanzare ed evitare gli ostacoli.
Riducendo all’osso un concetto certamente più ampio, potremmo dire che per platform si intende quel genere videoludico in cui l’interazione con delle piattaforme ci consente di superare proprio quegli ostacoli. La definizione è molto superficiale, ma rende l’idea dello scopo e della modalità per raggiungerlo e, evitando di far entrare i “cugini” platform 3D, quelli a due dimensioni sono definibili con maggiore facilità.
I platform hanno definito una generazione videoludica ben definita, quella a cavallo tra gli anni 80 e 90, da Super Mario a Rayman, da Tombi a Metroid, ma negli anni 2000 c’è stato un giusto e fisiologico calo a favore di altre esperienze e progetti, grazie ad un supporto tecnologico maturo ed un pubblico in crescendo che chiedeva qualcosa di diverso: gli open-world, pur non essendo un genere, ma una modalità espressiva, iniziano ad affacciarsi in maniera prepotente, con la saga di Grand Theft Auto ed un certo The Elder Scrolls: Morrowind che farà scuola per il futuro.
I ruggenti anni ‘10
È il decennio in cui gli open-world si consacrano definitivamente, quasi in maniera stucchevole in alcuni casi, ma è anche il decennio di moltissimi esperimenti innovativi e/o reinterpretazioni del passato. La ormai famosa pixel art da Minecraft in poi e il ritorno di grafiche ed audio 8-bit, che scaldano il cuore ai videogiocatori più anziani, si inseriscono in un mercato fatto di teraflops e pannelli 4K HDR.
Pensiamo a giochi come Terraria, Don’t Starve, The Binding Of Isaac, Retrocity Rampage, Castle Crashers, Bastion, To The Moon: sono tutti titoli indie, con forti richiami al passato pur sfruttando ed aggiungendo cose ormai imprescindibili per il gameplay moderno.
In questo contesto videoludico non potevano dunque non inserirsi i platform 2D: quale migliore occasione?
5 Platform Indie 2D degli anni ‘10 da non perdere
Quella che segue non è una classifica, ma il frutto di un decennio passato all’insegna della nostalgia. I cinque titoli scelti non sono casuali, ognuno rispetta una determinata caratteristica, e quando parlo di riferimento al passato non bisogna intenderli necessariamente con una grafica retrò.
Shovel Knight
Prendiamo quel portento di tecnologia degli anni 90, con i televisori a tubo catodico in grado di emanare le stesse radiazioni di una centrale termonucleare e telecomandi con pulsanti acuminati come aghi per cucire, ed uniamola ad una fluidità ed alcune meccaniche dei tempi odierni: in una parola (in realtà due) Shovel Knight.
La potenza, a cavallo tra gli 8 ed i 16 bit, si fa sentire, eppure il gioco riesce ad essere estremamente godibile. Non si ha l’impressione di giocare qualcosa di “vecchio”, e la scelta artistica appare dunque consapevole, voluta.
La pala sarà lo strumento che vi accompagnerà per tutto il gioco, quindi più Shovel-er che Knight, la userete per fare qualsiasi cosa, dal colpire i nemici, al rimbalzarci sopra per raggiungere vette più alte. Divertente, con numerosi DLC che aggiungono nuove storie, Shovel Knight è un titolo che va assolutamente giocato e che rientra in pieno in quel movimento di recupero della pixel art degli anni ‘10
Guacamelee
È il gioco che non vorrei mai recensire, perché non saprei neanche da dove iniziare. Perfetto da ogni punto di vista, impeccabile, tanto da ridurre ad una manciata di parole un suo eventuale articolo.
Un pizzico di esplorazione che fece urlare subito, erroneamente, al Metroidvania, tanta azione con numerosissime combo, dungeon improvvisi, trama ed ambientazione nel Mexiverso (si, pensate al Messico e a tutte le sue cose belle), protagonista luchador, una sorta di wrestler per semplificare, ed una grafica coloratissima e cartoonesca davvero curata.
Infine la possibilità di trasformarsi in un pollo, anche lui con combo ed attacchi-becco pazzeschi. C’è altro da aggiungere? Ah, si! Colonna sonora pazzesca che si sposa perfettamente con il ritmo incalzante del gioco. Salverete il mondo e la vostra Lupita?
Trine
Nel primo caso vi abbiamo parlato di un platform retrò e nel secondo di uno d’azione. Dimenticate tutto e tuffiamoci nella saga finlandese di Trine in grado di portarci in un mondo fantastico e medievale, con una grafica davvero ben curata (soprattutto nei capitoli successivi) e con grandi giochi di luce.
La colonna sonora calza a pennello con il mondo di gioco ed accompagnerà perfettamente i momenti puzzle/rompicapo che incontrerete. Trine è infatti un platform che fa proprio dei rompicapo la sua prerogativa e, per certi versi, lo rende unico nel suo genere. Da recuperare ad occhi chiusi, almeno il primo capitolo (così poi prenderete gli altri, lo so già)
Hollow Knight
Qui in realtà sarò un po’ bugiardo con voi. Hollow Knight non mi ha catturato quanto gli altri quattro titoli, ma il mio compito da giornalista non è dirvi soltanto ciò che mi è piaciuto in questo personalissimo florilegio videoludico (bastava dire raccolta), ma anche ciò che funziona davvero bene. Hollow Knight è curato nei minimi dettagli e prende tantissimo da diversi giochi, primo su tutti Dark Souls.
Quando From Software lanciò sul mercato la sua saga forse non si aspettava che qualsiasi cosa diventasse souls-like, ma in questo caso la struttura dei checkpoint, leggasi falò, e dei punti, leggasi anime, è stata recuperata.
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Hollow Knight è stato definito anche un metroidvania per la sua grande componente esplorativa, ed anche qui vien da sorridere, ma non è questo il luogo per discutere il significato delle etichette videoludiche: lo è il prossimo numero della rubrica Objection! del nostro Dario il 24 Febbraio (modalità spam: OFF. Scusate).
È un gioco complesso, con una curva d’apprendimento e la crescita del personaggio costante e coerente, in grado di garantire ore ed ore di gioco senza stancare mai. Perché in apertura ho detto che non è stato in grado di catturarmi quanto gli altri? Personalmente da questo genere preferisco maggiore immediatezza, ma Hollow Knight è davvero un titolo valido ed originale, nonostante i forti richiami al passato prossimo e remoto.
Cuphead
Sono più o meno nella stessa situazione di Guacamelee. Come parlare di Cuphead senza ripetere continuamente la parola “capolavoro”? I riferimenti al passato qui sono numerosi a partire dalla grafica e dalla colonna sonora che va a riallacciarsi ai film d’animazione degli anni ‘30. Cuphead è al livello delle grandissime produzioni non solo per l’ottimo lavoro fatto dal punto artistico, ma anche per la componente ludica vera e propria.
Il gioco ci pone davanti ad una sfida davvero difficile, ma anche qui la curva d’apprendimento, superato l’impatto devastante iniziale, è coerente e ci guiderà nei vari livelli senza troppi traumi. Proverete alcuni livelli più e più volte, vi verrà voglia di gettare la console dalla finestra, ma si tratterà soltanto di affinare le proprie abilità, perché Cuphead è equilibrato e fruibile con un pizzico di concentrazione in più.
Probabilmente uno dei migliori platform di tutti i tempi
Conclusioni
Come vi avevo già anticipato i cinque titoli proposti non fanno parte di una classifica, ma di una raccolta in cui ognuno possiede una caratteristica che l’altro non può avere. Ognuno possiede una struttura ed un’identità che non li mette in competizione, ma, anzi, in maniera complementare dovrebbero andare ad arricchire la vostra libreria.
Mancano alla lista tantissimi titoli indie come Limbo, Ori and the blind forest, Axiom Verge, Blasphemous, segno che il decennio appena trascorso è stato florido per il platform 2D e che, pur non essendo il genere di punta, è riuscito a ritagliarsi una fetta importante, innovandosi e senza mai ripetersi a distanza di quarant’anni.