Super Smash Bros., Nintendo e gli eSports: una storia travagliata
In un’epoca in cui gli eSports – o più in generale le dirette streaming di competizioni videoludiche – sono tra gli spettacoli più seguiti su scala globale, diventa difficile comprendere come mai un gioco che si presti particolarmente bene alla competizioni online non venga coinvolto in eventi ufficiali.
È questo il caso di Super Smash Bros., la serie videoludica composta da cinque titoli il più recente dei quali, Ultimate, è disponibile su Nintendo Switch e presenta una modalità di gioco online tramite abbonamento al servizio Nintendo Switch Online. Curiosamente, anche Super Smash Bros. Melee, la seconda iterazione del franchise uscita nel 2001, dispone di una community tuttora molto attiva e che si è più volte organizzata in competizioni “artigianali”, dunque non organizzate ufficialmente dalla Grande N. Ma andiamo con ordine.
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Smash, Big House e Splatoon
Lo scenario competitivo di Super Smash Bros. Melee è in assoluto il più longevo della serie, essendo iniziato nel lontano 2002 e mai più fermatosi da allora. La community e i giocatori professionisti di questo titolo si sono tenuti in costante allenamento e sono riusciti a mantenere in vita una tradizione di partite, competizioni e divertimento intorno a un titolo che sembra non essere invecchiato di un giorno.
Tradizione poi allargata ai successivi titoli, ma che ha incontrato non pochi ostacoli lungo la vita, principalmente dovuti alla mancanza di una partnership ufficiale con Nintendo per la maggior parte delle competizioni.
Ci sono stati infatti numerosi tentativi da parte di organizzazioni esterne per realizzare competizioni ufficiali di Smash in collaborazione con Nintendo; tra queste figurano alcuni specializzati in eSports quali Eleague, HTC, ESL e MLG, ma anche nomi del calibro di Redbull e Twitch. La questione si può ridurre, in pochi termini, ad una mancanza di interesse da parte di Nintendo di sponsorizzare l’aspetto competitivo di Smash Bros., pur supportando una qualche forma di partite online. Il motivo ufficiale di tale scelta è dato dalla volontà della Grande N di mantenere lo status di gioco family friendly, da giocare in compagnia di amici e non a scopi puramente competitivi.
L’avvenimento più recente riguarda la cancellazione dell’evento di The Big House, l’evento più importante negli States che coinvolge le competizioni di Smash.
Questa scelta è stata dovuta all’invio di un Cease and Desist da parte di Nintendo, in virtù dell’utilizzo da parte di TBH di un software creato da un fan dal nome Slippi – software che supporterebbe un file ROM di Super Smash Bros. Melee, e non il gioco su cartuccia ufficiale, realizzato per risolvere i problemi di connessione e input lag dovuti al servizio Online di Nintendo. Ciò rappresenta un problema per quest’ultima in quanto non accetta l’utilizzo di rom estratte dai giochi ufficiali, sotto nessuna circostanza.
Questi avvenimenti, che hanno portato a una ribellione da parte della community di Smash la quale ha iniziato a usare l’hashtag #SaveSmash per riavere una qualche forma di competizione, hanno peraltro influito su un altro gioco di punta della compagnia nipponica, ovvero Splatoon 2; in particolare, alcuni team che avrebbero dovuto competere ai North America Open December Finals avevano inserito nei loro nomi di squadra dei riferimenti a Super Smash Bros Melee (ad esempio gli FTWin si erano soprannominati FTWaveDash, a ricordare una tecnica tipica di Melee). Questa mossa non è piaciuta a Nintendo, che in tutta risposta ha cancellato lo streaming dell’evento. La community di Splatoon, ovviamente contrariata dalla decisione della compagnia, ha organizzato autonomamente un evento sostitutivo (The Squid House).
Perché non seguire un esempio già esistente?
L’atteggiamento di Nintendo nei confronti di Smash lascia ancor più stupefatti se si pensa alle competizioni che ogni anno The Pokémon Company International (TPCI) organizza:
tra campionati dei videogiochi “canonici” (VGC), del Gioco di Carte Collezionabili e di Pokkén Tournament, Play! Pokémon ha realizzato in passato (nell’era pre COVID-19) veri e propri eventi in grande stile per ospitare i campionati mondiali nelle varie categorie sopra citate, apice di una serie di competizioni su scala minore in Paesi di tutto il mondo, tra cui il nostro Stivale. Il tutto è ufficiale, e di conseguenza Nintendo permette che questi eventi abbiano luogo. Ma allora perché non fare lo stesso con Smash? Perché trattare le due realtà in modo differente?
Si possono individuare diverse spiegazioni per questa scelta.
In prima battuta, Pokémon è il franchise che frutta di più in assoluto alla grande N, avendo un valore stimato di circa 75 miliardi di dollari, ed ha quindi senso che la compagnia permetta un ulteriore introito attraverso Play! Pokémon. Si è poi creata una rete importante di giocatori che sfrutta piattaforme di video o live stream e pubblicizza ancor di più le modalità competitive del franchise; senza contare gli eventi stessi, nei quali è possibile tra le altre cose procurarsi merchandise ufficiale Pokémon (quest’ultimo è il guadagno maggiore che TPCI trae).
Se è poi vero che alcuni Pokémon sono presenti all’interno dell’universo Super Smash Bros., è altrettanto corretto ricordare che questi non rappresentano la componente predominante del picchiaduro; in Smash convergono una miriade di personaggi dai franchise e universi videoludici più disparati. Questa potrebbe essere un’altra complicazione nella gestione di Smash da parte di Nintendo – ma non ci sono prove a supporto di questa tesi, che rimane dunque una pura speculazione.
Si può invece ribadire con certezza la refrattarietà di Nintendo ad ammettere l’esistenza di emulatori e software “correttivi” da applicare ai giochi ufficiali realizzati da terze parti. E in effetti, molto probabilmente, il problema sta tutto lì: la compagnia nipponica non accetta di buon grado prodotti realizzati da persone esterne ad essa utilizzati per usufruire dei giochi originali in modo differente. Questo si applica alle banali rom ed emulatori utilizzati per riprodurre giochi, originariamente pensati per console, su PC, e vale allo stesso modo per software correttivi come Slippi, o per competizioni che incentivano l’utilizzo di versioni differenti da quelle canoniche.
Conclusioni
Se da un lato è semplice comprendere l’impossibilità di Nintendo di accettare l’utilizzo di prodotti che non richiedono l’acquisto di un titolo, utilizzo che quindi andrebbe ad influire direttamente sulle vendite riducendole considerevolmente, dall’altro è molto complesso accettare di buon grado la scure che la grande N costantemente cala sui tentativi di rendere sempre più attiva e coinvolgente una community. The Big House è un esempio di organizzazione autonoma che ha portato molta più gente ad appassionarsi e divertirsi coi titoli di Super Smash Bros., arrivando perfino ad apprezzare un titolo del 2001, il quale sarebbe oggi impossibile acquistare normalmente.
Quest’ultimo aspetto è spesso ignorato da Nintendo, che raramente facilita il reperimento di titoli ormai datati – lo ha fatto con la Virtual Console ai tempi della famiglia 3ds e successivamente con il servizio Nintendo Switch Online e il parco titoli per NES e Super NES, ma è tuttora difficile, quando non impossibile, acquisire legalmente quelli che potremmo definire titoli della “Terra di Mezzo”, che includono tra gli altri prodotti compatibili con N64, GameBoy, GameCube e Nintendo DS.
Forse un modo per risolvere questa controversia, in ultima analisi, potrebbe essere quello di rendere più facilmente accessibili questi titoli, tra cui Super Smash Bros. Melee, magari con un supporto su Nintendo Switch.
In ogni caso, staremo a vedere se ci saranno ulteriori sviluppi sui rapporti tra Nintendo e community di Smash, nella speranza che si trovi un compromesso accettabile per tutti, e che questa storia rappresenti un precedente per il futuro e per altre compagnie che vorranno cimentarsi nel mondo degli eSports.