Assassin’s Creed: Valhalla – La saga di Eivor o degli assassini?

La saga di Assassin’s Creed prosegue: purtroppo o per fortuna?
Dopo un 2019 sabbatico, come lo fu il 2016, Ubisoft propone un nuovo capitolo di una saga che è stata quasi sempre annuale, spostandosi stavolta nell’epoca dei vichinghi con Assassin’s Creed: Valhalla.
Un’idea affascinante, ma che ha fatto storcere il naso a più di qualcuno. Difatti, se Assassin’s Creed: Origins ripercorre, come da titolo, le origini degli assassini, con Assassin’s Creed: Odyssey sono andati incredibilmente molto più indietro nel tempo, creando un capitolo che si allontana molto dai canoni della serie sia per ovvi motivi di trama che per scelte degli sviluppatori. I fans vorrebbero più fedeltà alla saga, ma un vichingo come protagonista non da proprio l’idea di “agire nell’ombra”.
Eppure, numeri alla mano, il lancio sul mercato di Assassin’s Creed: Valhalla è stato il migliore di sempre della serie.
Questa analisi punta a spiegare pregi e difetti del nuovo Assassin’s Creed per cercare di dare una risposta concreta a una domanda che molti si pongono da tempo: che senso ha andare avanti con questa saga?
E in aggiunta: perché agli open world di Ubisoft manca sempre un soldo per fare una lira?
Like a (Assassin) Viking
Gli ultimi capitoli di Assassin’s Creed si sono concentrati molto sul raccontare le origini della storia, finendo per il discostarsi dai temi classici della saga, ma non solo per colpa della struttura della trama e del gameplay.
Togliamo subito il dente: Eivor, il protagonista di Assassin’s Creed: Valhalla, è un vichingo a tutti gli effetti: amante della battaglia, delle razzie, ma anche sostenitore dell’espansione territoriale tramite la diplomazia (altra caratteristica tipica dei vichinghi che viene erroneamente ignorata).
Tuttavia Eivor entrerà fin da subito in contatto con Basim e il suo allievo Hathym, due uomini portati in Norvegia da Sigurd, amico d’infanzia di Eivor nonché fratello acquisito (Eivor da giovane ha visto i suoi genitori venire uccisi, ed è stato adottato da Styrbjorn, re del clan del Corvo e padre di Sigurd), dopo un viaggio di due anni in giro per il mondo. Basim e Hathym vengono dal Medio Oriente e sono membri dell’Ordine degli Occulti (come rivelato in Assassin’s Creed: Origins, così si chiamavano in origine gli assassini. Giustamente, dato che il termine “assassino” nacque solo dopo l’anno 1000).
Eivor apprende dagli assassini le loro tecniche, quali l’uso della lama celata, la mimetizzazione con cappuccio e mantello, e il balzo della fede. Inoltre scoprirà di avere nemici in comune con loro, essendo i suoi nemici membri segreti dell’Ordine degli Antichi (gli antenati dei templari). Per tanto, i due assassini seguiranno Eivor e Sigurd anche nelle loro mire espansionistiche in Inghilterra, con i due fratelli che scopriranno di essere legati da un doppio filo a un destino inaspettato.

Un prologo, questo, che sembrerebbe avere la struttura di uno spin-off di Assassin’s Creed, ma che riassume più o meno tutti gli elementi della trama in un insieme concreto. Il problema è quando, dopo l’arrivo del clan del Corvo in Inghilterra, questo insieme si sfalda e ognuno dei suoi elementi va a dilagare, rendendo il tutto meno efficace.
Ad esempio, la parte di trama riguardante il clan del Corvo, ovvero le missioni di Eivor per ottenere alleanze con i vari territori dell’Inghilterra, è una storia ben narrata: non è eccezionale, non ha particolari picchi narrativi, se non qualche acuto, e non ha personaggi particolarmente carismatici, a parte qualche piccola eccezione, ma è oggettivamente una storia ben narrata, e non è poco considerando che non parliamo di una trama complessa. Tuttavia è chiaramente una storia vichinga, e diverse volte ci si chiede che fine abbiano fatto gli assassini, o come prosegua l’intreccio narrativo riguardante Sigurd, mentre le vicende del clan del Corvo sono sempre in primo piano, messe in risalto per via della longevità molto elevata di questo titolo.
In altre parole, più che un Assassin’s Creed ambientato in epoca vichinga, abbiamo una storia vichinga ambientata nell’universo narrativo di Assassin’s Creed.
Infine, non va dimenticata la storia del tempo presente, che in realtà dovrebbe essere quella principale. Le vicende del presente riguardano ancora una volta Layla Hassan, introdotta per la prima volta in Assassin’s Creed: Origins, e riprendono più o meno da dove si erano interrotte in Assassin’s Creed: Odyssey. Layla ha ritrovato il bastone di Ermete Trismegisto, un potentissimo manufatto Isu che sembrerebbe causare problemi in tutto il mondo (per la gioia dei complottisti, anche il COVID-19 sembrerebbe essere una conseguenza di questi eventi).
La soluzione per evitare il rischio di una nuova catastrofe planetaria, a pochi anni dalla tempesta solare fermata da Desmond Miles in Assassin’s Creed III, sembrerebbe essere lo scheletro di un vichingo misteriosamente ritrovato sepolto in Nord America: i resti di Eivor.
Grazie all’Animus, Layla riesce a impersonare Eivor fin dalla giovane età, quando Kjotve attaccò il clan del Corvo e uccise i suoi genitori, ed egli fuggì finendo morso al collo da un lupo. Ma l’Animus ha un problema con quel determinato evento, al punto tale da non riuscire a capire se Eivor fosse in realtà un maschio o una femmina, per questo il gioco permette non solo di poter scegliere il sesso di Eivor, ma anche di cambiarlo ogni volta che si vuole. Layla deve quindi rivivere la vita di Eivor a partire dall’età adulta, ripercorrendo i passi del vichingo conosciuto appunto come Eivor “Morso di Lupo”, a causa della cicatrice lasciata dalla belva, per scoprire di più sulle sue visioni di Odino e sull’evidente legame con la civiltà degli Isu.

Il problema principale della storia del presente è un elemento negativo trascinato dal capitolo precedente della serie: in Assassin’s Creed: Odyssey, giustamente, la trama del tempo presente viene introdotta come l’inizio della main quest, ma incredibilmente diventa in seguito una missione secondaria. Il gioco considera completata la main quest al termine della storia di Alexios o Kassandra, e se qualcuno non dovesse completare alcune side quest (magari perché non ha voglia di star a salire troppo di livello con il protagonista) potrebbe non capire gli eventi del presente in Assassin’s Creed: Valhalla.
Gli open world di Ubisoft e i loro difetti
Assassin’s Creed è sempre stato un videogioco open world, sebbene è solo negli ultimi tre anni che ha guadagnato lo stile open world che viene subito in mente quando si legge questo termine.
Dopotutto Ubisoft negli ultimi anni ha sempre sviluppato videogiochi open world. Basti pensare che il prossimo 3 dicembre pubblicherà il terzo videogioco di questo genere in soli tre mesi (Immortals Fenyx Rising).
Il genere open world è molto popolare (e allo stesso tempo impopolare, dato che le software house spesso ne abusano) al giorno d’oggi, ma l’open world è anche difficile da strutturare, venendo spesso realizzato in maniera banale se non addirittura in malo modo. Gli open world di Ubisoft non sono mai produzioni particolarmente studiate, e per quanto possano essere ben realizzati, presentano difetti evidenti: Assassin’s Creed non fa eccezione.
Se in Assassin’s Creed: Origins capita spesso che l’open world sovrasti la main quest, soprattutto nella parte centrale della storia, in Assassin’s Creed: Odyssey storia ed esplorazione vanno incredibilmente di pari passo, nonostante l’immensità della mappa e delle cose da fare, salvo poi mandare clamorosamente tutto a monte proprio nel finale della main quest.
Assassin’s Creed: Valhalla risolve questo problema tornando un po’ al passato, perché per quanto belli possano essere i mondi dei capitoli precedenti, Assassin’s Creed non è un GDR, caratteristica che invece è stata molto marcata in Assassin’s Creed: Odyssey.
Assassin’s Creed: Valhalla, invece, è molto più story-driven, la mappa presenta molte meno attività secondarie da svolgere, con ogni indicatore più chiaro rispetto ai punti interrogativi degli ultimi due capitoli (viene subito specificato se si tratta di una side quest, di un tesoro, o di un mistero, per quanto questi ultimi due possano avere delle varianti), ma il suo più grande pregio è anche la causa del suo più grande difetto: come fa la main quest a integrarsi bene con l’open world? Praticamente, tutto l’open world è la main quest!
Come detto in precedenza, la main quest riguarda l’espansione del clan del Corvo in Inghilterra, con Eivor in missione per alleanze con i vari territori, ma in questo modo la storia vichinga si dilunga troppo, togliendo spazio alla storia di Assassin’s Creed. Alcune missioni per l’alleanza con un territorio avrebbero dovuto essere secondarie, soprattutto quando gli eventi di assassini, templari, e Isu si svolgono nell’intermezzo di un’alleanza e l’altra: non si ha tanta voglia di spodestare re Rhodri quando è in atto un determinato evento che riguarda Sigurd; non si ha interesse nel cercare un’alleanza con l’Essex quando c’è una situazione particolare al villaggio.
Assassin’s Creed: Valhalla risulta così un videogioco lento, e forse questo sarebbe potuto essere un difetto anche se si fosse trattata davvero di una semplice storia vichinga.
E’ abbastanza evidente come Ubisoft si sia ispirata a Red Dead Redemption II (persino la sessione in Vinlandia ricorda molto la sessione di Guarma nel titolo di Rockstar Games, nonostante un diverso intreccio narrativo), ma l’opera di Rockstar Games è volutamente lenta per via di una ricerca del realismo, mentre Assassin’s Creed: Valhalla ha ancora volutamente delle caratteristiche arcade, come il sistema di cavalcatura, il viaggio rapido, e alcuni tratti della fisica di gioco.
Inoltre, nonostante un numero decisamente ridotto di missioni secondarie e obiettivi sulla mappa, tutte le side quest sono da considerare fetch quest. Anche questo è un deciso ritorno al passato, ma in negativo e non più tollerabile al giorno d’oggi.

Per quanto riguarda invece l’estetica dell’open world, senza offesa per gli inglesi, bisogna ammettere che l’Inghilterra dell’873 d.C. non offre paesaggi affascinanti rispetto a quanto ammirato in altri capitoli della serie, se non per alcuni tratti, come alcune fortezze, specialmente se edificate su un’altura o una scogliera, oppure alcuni edifici in rovina, e soprattutto (guarda caso) le rovine romane.
Comunque sia, è migliorata molto l’illuminazione e le animazioni dei personaggi, e il gioco viaggia a 60 fps stabili su next gen (provato su Xbox Series X).
La patch 1.0.4 ha migliorato molto un fastidioso problema di screen tearing abbastanza evidente, e anche di pop-in delle texture sui fondali, visibile in campo aperto.
A livello poligonale non è l’eccellenza del suo genere, come non lo è mai stato nessun titolo Ubisoft negli ultimi anni, che dal canto suo vuole anche un software non troppo esigente nelle richieste hardware, in particolare per chi gioca su PC, ma bisogna anche dire che questo titolo ha presentato molti più bug al day-one rispetto ad Assassin’s Creed: Odyssey. La patch 1.0.4 dovrebbe aver messo mano anche a questo.

Vola come un assassino, pungi come un vichingo
Checché ne dicano i fans, il sistema di combattimento e di arrampicata degli ultimi tre capitoli di Assassin’s Creed è stata una svolta nella saga. In Assassin’s Creed: Valhalla, anche il gameplay riprende qualcosa dal passato, ma in positivo.
Come detto in precedenza, la prima richiesta dei fans, giustamente, era quella di avere molte meno meccaniche GDR rispetto ad Assassin’s Creed: Odyssey, perché la saga di Assassin’s Creed non appartiene ai giochi di ruolo.
Così è stato, a partire dell’equipaggiamento: armi e armature rilasciate in ogni dove in Assassin’s Creed: Odyssey, piene zeppe di proprietà che influiscono su statistiche e abilità, sono state enormemente ridotte di numero e di proprietà. In questo gioco l’equipaggiamento è qualcosa di raro: i mercanti non vendono molto; per il resto può essere trovato solo come tesoro in scrigni appositi.
L’equipaggiamento nei tesori sono per lo più parti di armatura appartenenti a un determinato set, e gli effetti donati dall’insieme di più componenti sono gli unici che si possono ottenere dall’armatura. Le armi, invece, possono presentare una sola caratteristica unica.
Armi e armature si possono potenziare tramite l’uso di risorse o tramite il fabbro, mentre l’inserimento delle rune è l’unico modo per aggiungere una miglioria alle statistiche.

Un’altra richiesta dei fans era quella di rimuovere l’importanza del livello del personaggio per affrontare determinate aree del gioco, e anche questa richiesta è stata accolta.
In Assassin’s Creed: Valhalla la forza di Eivor e dei nemici è misurata nel livello di Potenza, il quale aumenta ogni volta che si assegna un punto nell’albero dei Talenti. Ogni volta che si sale di livello si guadagnano due punti Talenti, e salire di livello richiede molti meno punti esperienza.
I Talenti comprendono l’aumento di statistiche, un bonus in base al set dell’equipaggiamento, e le abilità. Di queste ultime ne esiste anche una tipologia differente, con un sistema come quello presente in Assassin’s Creed: Odyssey, ma si trovano anch’esse come tesori, in forma di libri del sapere.
Tuttavia, la cosa fondamentale di tutta la componente GDR di Assassin’s Creed: Valhalla è che non è essenziale come in Assassin’s Creed: Odyssey, dove i livelli sono determinanti per resistere e far male ai nemici più forti, e dove le abilità sono la base per la fluidità del combattimento e anche la chiave di vittoria. In Assassin’s Creed Valhalla si può benissimo vincere con un livello di Potenza 20 contro un nemico di Potenza 90, seppur con difficoltà (testato giocando in modalità Difficile), o meglio ancora in una razzia, dove grazie al combattimento in gruppo mi è stato possibile razziare un’abbazia in un’area di Potenza 220 quando il mio Eivor era solo di Potenza 60.
Tutto ciò è possibile anche grazie a una difficoltà più bilanciata rispetto ai capitoli precedenti. Difatti, selezionando una difficoltà più elevata si subiscono più danni, ma rimane comunque molto facile far male al nemico.

Oltre alla notevole riduzione della componente GDR, anche il sistema di combattimento è stato reso più fluido, con gli attacchi leggeri e pesanti che infliggono un bel danno (al contrario di Assassin’s Creed: Odyssey dove servono più a caricare la barra delle abilità), la presenza massiccia di combattimenti in gruppo che velocizzano la battaglia, e l’uso delle abilità dei Talenti o dei libri del sapere per sferrare colpi micidiali.
Le novità del combat system prendono chiaramente spunto dalle influenze di FromSoftware, con l’inserimento della barra della stamina, che si consuma attaccando, correndo, e schivando, e della barra della resistenza dei nemici. Quest’ultima si può ridurre anche attaccando, ma si riduce soprattutto deviando i colpi con una parata al momento giusto, oppure colpendo con le frecce i punti deboli dei nemici. Se la barra della resistenza di un nemico dovesse azzerarsi, Eivor potrà ucciderlo con un colpo mortale, o infliggere un danno elevato nel caso si tratti di un boss o mid-boss.
Ma il vero ritorno al passato sta nelle tecniche da assassino. Innanzitutto, il protagonista possiede nuovamente la lama celata (sebbene il funzionamento della lancia spezzata di Leonida in Assassin’s Creed: Odyssey fosse lo stesso), ma è l’uso del cappuccio e del mantello che, come da me sperato qualche settimana fa, guadagna per la prima volta nelle serie un senso logico.
Gli assassini indossano il cappuccio perché “agiscono nell’ombra”, ma com’è possibile non riconoscere un assassino quando questo è l’unico che gira incappucciato in mezzo alla folla? Persino sugli avvisi dei ricercati veniva raffigurato incappucciato! Ebbene, Eivor combatte a viso scoperto, e indossa cappuccio e mantello solo quando non vuole farsi notare. Il comando può essere impartito in ogni momento, a meno che non si è ricercati dalle guardie, ma in alcuni casi Eivor indosserà cappuccio e mantello in automatico.
Quando è incappucciato, Eivor NON è invisibile alle guardie, ma il loro livello di allerta salirà molto più lentamente. In questi panni Eivor può anche mimetizzarsi come nei vecchi Assassin’s Creed, passando tra la folla, sedendosi ai tavoli o sulle panchine, fingendosi interessato ad altro, ecc.
Inoltre, a proposito di agire in incognito, i colpi alla testa con le frecce tornano a essere micidiali, ancor più rispetto ad Assassin’s Creed: Origins, dove già ai livelli più alti comincia a notarsi la componente GDR in questo caso, e soprattutto rispetto ad Assassin’s Creed: Odyssey, dove invece è necessaria una vera build da cacciatore per essere micidiali con arco e frecce.

Non è tutto oro quel che luccica, e nel caso di Assassin’s Creed: Valhalla è impossibile non notare l’orientamento verso lo stile vichingo anche nel gameplay.
Se i vecchi Assassin’s Creed puntano più sullo stealth, più che altro a causa di un sistema di combattimento corpo a corpo che lascia molto a desiderare, in Assassin’s Creed: Valhalla l’uso di cappuccio e mantello è utile soprattutto quando si vuole raggiungere un obiettivo il più velocemente possibile, o quando è il caso di indebolire un po’ le forze nemiche prima di lanciarsi alla carica; per il resto, combattere a viso aperto rimane la soluzione più efficace, soprattutto se si può combattere in gruppo. Difficilmente si troveranno situazioni impossibili, e non sono presenti missioni in cui è obbligatorio non farsi scoprire.
Ha senso continuare la saga di Assassin’s Creed?
Assassin’s Creed: Valhalla è un po’ come Eivor: vorrebbe scrivere la sua saga vichinga, ma si ritrova ad avere a che fare con assassini, templari, e con la prima civilizzazione.
Dopo un buonissimo e, nonostante i difetti, a tratti ottimo Assassin’s Creed: Odyssey, il quale però si distacca troppo dallo stile tipico della serie, Ubisoft propone quello che sembrerebbe proporsi come uno spin-off di Assassin’s Creed, salvo poi andare a separare troppo la storia vichinga con le componenti tipiche della saga a causa dell’eccessiva longevità della main quest.
A questo punto c’è da chiedersi con quale criterio Ubisoft scelga l’ambientazione dei capitoli di Assassin’s Creed, perché l’ambientazione norrena grida “fanservice”: va di moda Vikings, va di moda Thor della Marvel, e poi anche God of War è passato alla mitologia norrena… ed ecco dunque Assassin’s Creed: Valhalla?

La domanda che tutti si pongono sorge spontanea: perché proseguire obbligatoriamente con questa saga? Come fatto notare da Corrado Cozza (Dadobax), un tempo Ubisoft creava più serie videoludiche di diverso genere, e funzionavano tutte: perché fossilizzarsi solo sugli open world e stravolgere le saghe videoludiche per tentare di accontentare i fan? Perché provare ad accontentare i fan di Assassin’s Creed facendoli sognare con l’ambientazione storica, e tentare di renderli felici con i gameplay che vanno per la maggiore nel mondo videoludico, anche se questi non sempre sono adatti per questa serie? Se questi ultimi due capitoli di Assassin’s Creed fossero stati semplicemente due videogiochi intitolati “Odessey” e “Valhalla”, non avrebbero funzionato lo stesso e forse anche meglio? Domande da porsi nonostante le buonissime vendite della serie, segno che i gamers, pur avendo sempre da ridire, continuano a comprare.
Proprio per quest’ultimo motivo sono curiosissimo di provare l’imminente Immortals Fenyx Rising, un videogioco sviluppato da Ubisoft Quebec, lo stesso team di Assassin’s Creed: Odyssey che stavolta ha avuto la libertà di creare un open world ambientato nella mitologia greca senza sottostare a nessun canone.