The Last of Us pt. II: politically correct… dove?

A distanza di ben 7 anni, finalmente, il 19 giugno la Naughty Dog rilascia “The Last of Us, pt. II”, secondo capitolo di quel survival horror che nel 2013 ci aveva tenuti col fiato sospeso fino all’ultimo ed era stato un faro nella notte buia dei videogiochi horror, spesso tutti uguali e ripetitivi.
Non so se bastino due parti per poter definire The Last of Us una “saga videoludica”, ma credo che col tempo la sua leggenda non potrà che amplificarsi. Non solo per la trama, anello debole o mancante in molti videogames, ma anche per come ci viene raccontata, unendo dolcezza e tenerezza dei personaggi alla crudeltà e alla violenza di un mondo post-apocalittico.
La capacità di empatizzare con i protagonisti (e non solo…), la possibilità di immedesimarsi di più nel gameplay è data anche da un realismo dei modelli che ha dell’incredibile, sia nelle espressioni facciali sia nelle reazioni, sempre plausibili e calibrate.
Alla luce di tutto ciò, uno si aspetterebbe una pioggia di stelle cadenti nelle recensioni- e in parte è così: la media di voti per The Last of Us pt. II è praticamente un giustificatissimo 9,5 più o meno ovunque. Tuttavia, come già affrontato in The Last of Us 2 e Metacritic: L’Omofobia è un problema anche nei videogames, al day one la media di voti dell’utenza era di 3,4.
‹‹Com’è possibile leggere oltre 30.000 recensioni degli utenti al day-one? Lo hanno giocato e terminato in meno di 24 ore? È evidente che si tratti di un caso di “bombing review”, ovvero quando una grossa fetta d’utenza, probabilmente organizzata, decide di andare in massa a rilasciare recensioni negative.›› scrive Dario Casale, riassumendo in poche righe uno dei fenomeni più largamente diffusi degli ultimi tempi.
TLOUS 2 – Le accuse alla produzione
La modalità scelta (certamente discutibile) da questa fetta di utenza per far sentire il proprio scontento verso un gioco che, evidentemente, non rispetta le loro aspettative, va di pari passo con i commenti che sono stati fatti sia direttamente ai produttori e ai game designer della Naughty Dog, sia indirettamente contro i personaggi stessi del gioco.
Minacce di morte, auguri di stupro. Tutto perché il gioco non è come loro vorrebbero fosse. Certo, 30.000 persone per un titolo che ha venduto più di quattro milioni di copie nei primi 3 giorni dal rilascio (dati Sony alla mano) non sono tante e sarebbe anche semplice, e forse opportuno, passarci sopra e considerare queste critiche per quello che sono. Il punto è che quasi la metà di queste 30.000 persone (che tra l’altro è un dato indicativo, perché temo siano molte, molte di più) ha avuto il coraggio di tacciare The Last of Us pt. II come un gioco politically correct.
Sì, avete letto bene. The Last of Us pt. II, gioco in cui –e scusate la crudezza-, per andare avanti e uscirne vivo, in alcuni punti devi dare fuoco ai cani o sgozzare persone, è stato tacciato di essere “politicamente corretto”. La sentite la puzza di assurdità nell’aria?
Tutto questo, perché? Le motivazioni sono diverse, una meno valida dell’altra, ma tutte incredibilmente fuori luogo.
Ellie e Abby nel mirino delle critiche – politically correct o semplice normalità?
Dario, nell’articolo menzionato poco sopra, affronta nel dettaglio il tema “scottante” dell’omosessualità di Ellie, protagonista indiscussa di questo capitolo, e della sua relazione con Dina, che molti utenti hanno definito “inadeguata”. Chissà perché, ma credo che se Dina si fosse chiamata Dino e fosse stata un ragazzo, la loro storia sarebbe piaciuta molto. Questa critica oltre ad essere omofoba, è anche sintomo di non aver compreso il gioco.
La Naughty Dog racconta –e a giudicare dai tempi che corrono, direi anche con una visione troppo positiva- di una società giovane, che ha dovuto reinventarsi a seguito di una pandemia. Nessuno nel videogame si sconvolge per la relazione tra Ellie e Dina, perché hanno imparato tutti che si sopravvive stando uniti e che i sentimenti che legano gli esseri umani vanno oltre l’identità di genere o la sessualità.
Mi spiace Naughty Dog: nonostante la pandemia, noi siamo ancora lontani da questa società che ci hai portato a esempio – e ancora ti diamo voto 3 perché, scandalo!, due ragazze si amano, si baciano e fanno sesso.
Molti utenti si sono anche lamentati dei modelli femminili perché, secondo i loro canoni, non lo sono abbastanza. Tra questi, alcune donne, confermando il detto “il peggior nemico di una donna è un’altra donna” e, indirettamente, supportando le parole dello psichiatra Morelli, secondo il quale una donna deve preoccuparsi di essere femminile, prima che di tutto il resto.

Certo, se come riferimento avete le bocce a punta di Tomb Raider o lo stacco di coscia di Yennefer, no, Ellie non corrisponde al canone di “femminile”. Tantomeno Abby. Ma il loro punto di forza è proprio questo: sono ragazze normali, con lineamenti normali, un fisico asciutto, nel caso di Ellie e Dina, o muscoloso nel caso di Abby. Ma abbiate pazienza: sono donne abituate a combattere e a muoversi, a spostarsi di frequente.
Si scontrano con umani, infetti, animali, vanno a cavallo, vivono per sopravvivere e proteggere i propri compagni e amici. Ce le vedete a portarsi in giro una sesta di seno o a correre elegantemente su tacchi a trampolo? Sono personaggi funzionali alla trama. E se questo vi disturba, se questo vi sembra “politically correct” e femminista, di nuovo, no. È reale, umano. Normale.
E il fatto che vediate politicamente corretto ciò che è realistico fa di voi persone senza senso della realtà.
La bellezza di questo gioco è che riesce a fare ciò che molte associazioni sociali da anni non riescono a causa di approcci sbagliati: normalizzare ciò che normale dovrebbe già esserlo, senza inutili lotte intestine, senza supremazia, senza giri di parole.
Ellie è lesbica e lo scopriamo (se non abbiamo giocato Left Behind) perché si innamora di Dina e non si nasconde. Abby è una donna forte, ha i muscoli, è al pari degli uomini, ma non porta avanti lo stendardo di un certo tipo di femminismo che inneggia alla supremazia delle donne: lei è forte. Non ha bisogno di dimostrarlo a nessuno.
Questo non è essere politicamente corretti, è attestare che le cose possono cambiare se si riparte tutti nella stessa direzione. Noi una pandemia già ce l’abbiamo, ma non siamo in grado di accettare una ragazza che non sia strafiga in un gioco, figuriamoci nella realtà.
Il caso “Little Devil Inside”
Le voglio vedere, queste 30.000 persone, tutte insieme ad indignarsi per la scelta, quella sì, politically correct, degli sviluppatori di Little Devil Inside di modificare alcuni tratti di certi personaggi del gioco, come il colore della pelle o la capigliatura, dopo essere stati tacciati di razzismo. Perché? Perché i cattivi appartenevano a una tribù africana. Con il caso George Floyd, sembra che le persone si siano rese conto all’improvviso dell’esistenza del razzismo. Il problema di questo genere di meccanismo è che togliere dal gioco un nemico di colore non aiuta la lotta, anzi la ridicolizza.
Se una persona, per capire che chiunque è diverso da sé merita rispetto, ha bisogno che esplicitamente in un gioco, in un film, in un libro, gli si dica che è sbagliato comportarsi così, c’è qualcosa che non va. E non è il nemico di colore, non è la ragazza lesbica, non è quella etero ma muscolosa.

È la persona, la sua mentalità, il suo modo di approcciarsi alle cose, al mondo e agli altri, che si eredita nel DNA da secoli, millenni, di insegnamento indiretto della filosofia del Marchese del Grillo: “Io so’ io, e voi nun siete un cazzo.”
Ripartiamo dalla scuola, dalle famiglie, dal piccolo paesino di provincia che ghettizza gli immigrati; ripartiamo da un certo modo di fare politica. Ripartiamo da noi e insegniamo il modo giusto di vedere gli altri ai nostri figli, prima di puntare il dito contro i videogames, i film, le serie tv.
Non siamo tutti uguali, è una frase che dico spesso e che le persone non capiscono. Quella negazione all’inizio è ciò che di più positivo possa esistere in natura. Il fatto che io sia bianca, etero e possa avere un’amica nera, gialla, blu, lesbica, trans, mi permette di aprire la mente, di conoscere, capire, completare la mia esperienza in quanto essere umano sulla Terra. Non m’importa se in un gioco qualsiasi il nemico è nero, perché nella realtà, può essere pure color cane-che-fugge.
Essere belle persone è indipendente da ogni cosa. Ugualmente, lo è essere stronzi.
L’uguaglianza dovremmo avercela di fronte alla legge, nella retribuzione lavorativa, nei diritti e nei doveri, e in tutto ciò che sia legalmente e istituzionalmente riconosciuto, garantendo alla persona dignità e umanità.
Confondere ciò che è politically correct con ciò che è normale è più grave di quello che sembra.
Avremmo potuto tutti ignorare le critiche di quelle 30.000 persone contro The Last of Us pt. II: alla fine, non ci riguardano direttamente, e poi è solo un gioco. Il punto è che se non lo capisci, quel gioco, se scambi i suoi punti di forza per “politicamente corretti”, non stai facendo solo un danno alla casa produttrice nel tentativo di fare il Bastian Contrario.
Ti stai anche dimostrando una persona vittima di quella filosofia sordiana del Marchese del Grillo, degno erede di una mentalità che se non iniziamo a scardinare adesso, ci ritroveremo a dover affrontare in futuro con il doppio della forza, con il triplo della potenza e senza, probabilmente, sentirci adeguatamente pronti. Costruiamo piano, ma costantemente.
E giocatevi The Last of Us pt. II, che magari imparate qualcosa.