24 su un palco: le scalate “Dolo-Mitiche” e gli interpreti trentini e altoatesini delle loro linee
Il Trentofilm Festival apre quest’anno all’insegna dell’innovazione.
Inaspettatamente la prima serata del Festival di Trento sulla Montagna ed i suoi interpreti, riuscitissima, decolla con una proposta nuova, frutto delle nuove energie dell’avanguardia alpinistica trentina.
Una giovane guida alpina, Alessandro Beber, 26 anni, racconta la storia delle scalate sulle Dolomiti attraverso i protagonisti che ne hanno scritto le pagine alpinistiche più importanti. Le prime ascensioni, le ripetizioni, l’innovazione dei giovani, le nuove interpretazioni del passato si intrecciano insieme sul palcoscenico del Teatro Santa Chiara che ospita 24 tra i più importanti interpreti del “dolomitismo”.
Seppure un po’ partigiana (mancavano, ahimè, doloMITICI nomi illustri non trentini, Pietro Dal Prà per citarne uno soltanto), la serata ha segnato la fine delle serate alpinistiche come esibizione di eroi e di superuomini.
L’aver messo su uno stesso palco 24 alpinisti delle Dolomiti, di tante generazioni diverse, di tanti stili e opinioni, è stato un evento. Unico per la presenza di tali nomi, ma ripetibile per il format inaugurato stavolta al Trentofilm Festival. La formula nuova varata ieri sera propone l’avvenimento mondano con il sapore del legame virtuoso tra incontro e scambio.
La nostra società è passata dal desiderio dell’incontro, realizzabile anticamente negli antichi mercati, dove era possibile incontrare “gli altri”, i diversi da noi che proprio per questo avevano qualcosa da insegnarci, al bisogno odierno della merce, della mercificazione di un personaggio. Un mercificato bisogno di esibizione per ottenere il maggior numero di sponsor e, forse, anche di gloria personale.
Le serate del Festival (61 anni di edizioni) avevano perso la freschezza originaria di un tempo, smarrito la funzione di ponte tra montagna immaginata e personaggi alpinistici, che si ritrovavano spesso al Festival di Trento dopo le loro imprese. Oggi molti di loro, come Sergio Martini, sono all’estero, impegnati in spedizioni nepalesi, o passano fugacemente al Festival per esibirsi sul palco e incontrare qualche giornalista.
Piace invece questo riproporre gli alpinisti non solo come eroi, capaci di grandi performance sportive, ma anche e soprattutto come uomini veri, contraddistinti da valori umani forti e imprescindibili, in cui il rispetto, per la propria famiglia prima di tutto, è il valore primario.
Ciascuno esprime grazie alle sollecitazioni di Beber, giustamente paziente con tutti in una lentezza ritrovata tipica del montanaro, la propria ipotesi di ascensione ideale.
Emerge così che il futuro dello scalare, sempre inaspettatamente diverso dalle previsioni, porterà verso una fusione di stili, di pratiche vecchie e nuove che si intersecheranno secondo le necessità.
Come avrei voluto che questa diventasse una tavola rotonda. Avranno saputo poi questi alpinisti, dopo aver risposto alle domande del bravo Beber, fermarsi per concretizzare lo scambio? Rivitalizzare una progettualità promettente, una condivisione continua?
Solo queste sono le possibilità sulle quali l’alpinismo ha bisogno di tornare a confrontarsi. Un applauso!
Valentina Musmeci
29 aprile 2013