Reinhold Messner celebra i 60 anni di Filmfestival della montagna
“L’arte dell’alpinismo sta nel tentare di realizzare e rendere possibile quello che ieri era considerato impossibile”. Esordisce così Reinhold Messner, leggenda vivente dell’alpinismo italiano, alla serata clou di venerdì, che celebra i sessant’anni di Filmfestival della Montagna.
La storia è sorprendente: è il 1952 quando prende il via la prima edizione di un Concorso di film dedicati al tema della montagna. Si ripercorrono i punti salienti della storia trentina, talvolta in maniera autocelebrativa, accanto alle evocazioni in video di personaggi che non ci sono, come Cesare Maestri o Joe Brown, o che non ci sono più, come Walter Bonatti.
Dopo Rolly Marchi, grande amico del Festival, salgono in successione sul palcoscenico gli ospiti, i migliori esponenti dei sei decenni di Festival: Armando Aste apre la carrellata affermando che le imprese nell’alpinismo non sono più possibili, mentre oggi si possono soltanto fare solo degli exploit. Seguono Albert Precht, Cristophe Profit, Christine Destivelle, Alexander Huber e, l’ultimo e più giovane, Hervè Barmasse. Ciascuno di loro, per motivi diversi, ha dominato il decennio che rappresenta, ciascuno viene valorizzato dalle parole di Messner, le cui doti di narratore sono ben note al pubblico di Trento. Messner non nomina mai se stesso. Chapeau.
“Qui entriamo nella discussione di Ulisse”, ci aveva detto nel pomeriggio. “Molti sono andati alla guerra di Troia, ma solo lui è diventato un pezzo di letteratura. L’alpinismo è sempre stato story-telling. Negli anni ’80 si comincia a vendere le fotografie e le storie delle avventure vissute per autofinanziarsi. E quindi gli alpinisti diventano auto-rappresentativi. Oggi i giovani producono un filmato su una parete di 5 metri e lo pubblicano subito su internet o face-book. Con queste cose estemporanee c’è il pericolo che le imprese siano presto dimenticate”.
Certo è che i nuovi mezzi di comunicazione non piacciono agli alpinisti del suo calibro, ma c’è da precisare che il popolo degli arrampicatori e degli appassionati che seguono la montagna, al di sotto dei 40 anni, ama continuare a sbirciare su twitter, a chattare o seguire i blog degli alpinisti moderni, che tengono i loro diari direttamente sul web.
“Il Festival, come lei ha detto più volte, è sempre stata un’occasione importante per gli alpinisti per incontrarsi a Trento”.
“Sì, mi sembra che questa edizione porti tra i migliori nomi dell’alpinismo mondiale. Anche se c’è da dire che molti sono in Nepal o in Patagonia, in questo periodo”.
Messner conclude la serata con l’affermazione dei principi di un alpinismo delle tradizioni: mantenere l’incognita per poter difendere la montagna vera e aver compreso che la montagna è lì per consentirci un senso che è il maturare di noi stessi.
Il dibattito prosegue a Castel Firmian, di proprietà di Messner in Alto Adige, la domenica pomeriggio, alla ricerca di una direzione per l’alpinismo moderno, con una conferenza dal titolo emblematico: “Quo climbs?”, al posto del famoso “Quo vadis”.
Valentina Musmeci
6 maggio 2012