L’Ombra che non c’è: la Giornata dei Migranti a Vimodrone
Domenica 14 gennaio 2018, la Chiesa Cattolica ha celebrato la “Giornata mondiale dei migranti”. L’obiettivo, lungi dall’essere celebrativo, è stato quello di creare momenti di incontro e riflessione con la cittadinanza per sviluppare prassi di accoglienza e integrazione.
Il Comune di Vimodrone, col suo Sindaco Dario Veneroni, in collaborazione con la Caritas cittadina e il gruppo che si occupa del “Corso di italiano per stranieri”, ha organizzato iniziative aperte a tutti.
Tra queste ricordiamo lo spettacolo di teatro e musica L’Ombra che non c’è, per la regia e drammaturgia di Ciro Menale, presso il salone della Parrocchia di Dio Trinità d’Amore.
Prendendo spunto dai diari degli immigrati, trovati nelle barche naufragate a Lampedusa (La Bibbia e il Corano a Lampedusa Edizioni La Scuola, curatori A. Cacciatore, A. Mosca Mondadori, A. Triulzi ) e dal testo di Zygmunt Bauman, Stranieri alle porte (Edizioni Laterza ), l’azione teatrale mette in scena ansie e speranze delle migrazioni di ieri e di oggi, nella prospettiva di una fusione di orizzonti che superi diffidenze e paure.
La musica, linguaggio universale, apre il pomeriggio e i cuori. Sul piccolo palco i tre musicisti di paesi diversi, Persic- Iancu (Romania) alla chitarra e fisarmonica, Arup Kanti Das (India) al tabla (tipo di tamburo), Raffaele Brancati (Italia) al clarinetto, sono già un esempio di integrazione.
Le note musicali si abbassano e l’attrice, Mercedes Casali (Italia), con fare sdegnoso e voce altezzosa comincia a leggere un testo: “Generalmente sono di pelle scura e piccola statura. Molti di loro puzzano; vivono in baracche di legno. Dicono che siano dediti al furto e fanno molti figli. Troppi sono gli ingressi aperti per farli entrare”.
Rom? Gente dell’est? Dell’Africa? No signori! Noi, noi italiani come venivamo descritti nel 1912 dall’Ispettorato per l’Immigrazione statunitense. Un brivido corre per la sala.
Tra il 1850 e il 1915, continua l’attrice, quasi 40 milioni di italiani, lasciano cultura, affetti, l’amara e amata terra. Sul muro vengono proiettate immagini in bianco e nero di povera gente, stipata in navi da carico trasformate in navi passeggeri. Miseria, malattia, umiliazioni, morte, l’accompagnavano.
Dopo la guerra poi, dal sud si va con speranza al nord industrializzato: Torino e Milano, con le sue coree, hanno paura, non sempre accolgono umanamente. Paura di vedere rubare il lavoro, di malattie, di perdere la propria cultura.
Paura come L’Ombra che non c’è, che nasconde solo la nostra perdita di fiducia in noi stessi.
Speranza e paura sono una cosa sola: ieri come oggi.
Un gruppo multietnico di giovani, arriva in mezzo alla sala all’interno di un grande tavolo rovesciato che sembra un barcone.
Sono tanti. Neslihan Yilmazel (Turchia), col suo fisico eretto e austero, accompagna, con rulli di tamburo e con la sua voce profonda e vibrante, i racconti di speranza e paura (L’Ombra che non c’è) dei compagni di viaggio: Albi Zibey (Albania), Christian Ayma De La Cruz (Peru), Bruna De Nelo Barros (Brasile). Larry Kinsley (Nigeria), che avanza tra sofferenza e determinazione tirando il barcone, recita nella sua lingua, una triste ballata.
Domenica pomeriggio, grazie a L’Ombra che non c’è, un po’ di mondo è stato insieme, dimostrando, come ci ricorda Papa Francesco, che siamo una unica umanità e che la cultura, quella non di appannaggio degli intellettuali, ma pluralistica, nasce dal basso.