Intervista a Matteo Setti: “Il mio Gringoire, sono affamato della mia arte”


Dopo anni di impaziente attesa, nel marzo del 2016 è finalmente ripartita la tournée italiana di Notre Dame de Paris, che ha riportato sul palco il cast originale del 2002, tra loro anche Matteo Setti.
“Notre Dame de Paris”, il più grande successo di sempre nella storia dello spettacolo in Italia, torna a grande richiesta in Sicilia. Si tratta dell’ultima occasione per assistere in Sicilia allo spettacolo che ha stregato milioni di persone e che, dopo la finale di settembre in scena all’Arena di Verona, si fermerà per un lungo periodo di pausa.
Il musical prodotto dal grande David Zard, dopo aver toccato le più importanti città italiane in occasione di un acclamato tour di ritorno, approda nuovamente nell’isola: torna a Messina dopo ben 15 anni (lo spettacolo visitò la città nell’anno del suo debutto, il 2002), e sarà nuovamente a Palermo dopo i bagni di folla della scorsa estate. Tre le repliche alla Fiera di Messina (dal 28 al 30 giugno), e cinque quelle al Teatro Verdura di Palermo (dal 4 all’8 luglio).
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Matteo Setti, il poeta Gringoire dello spettacolo dei record, che non ha mai messo da parte la sua arte in questi anni. Nel 2010, infatti, l’incontro con Pierre Cardin gli ha permesso di indossare le vesti di Casanova; nel 2012 ha fatto il suo debutto in America, conquistando il pubblico e la stampa; nel 2014 è stato il turno di Amleto, sempre prodotto da Pierre Cardin e, nello stesso anno, ha registrato in California il suo primo Live Show americano per la PBS TV. La seconda metà del 2016 lo ha visto infine vestire i panni di uno dei personaggi più amati di Oscar Wilde, l’egocentrico Dorian Gray.
Adesso, Matteo Setti è finalmente ritornato a indossare le vesti del poeta Gringoire, con il cui ruolo in questi anni ha affascinato ed emozionato milioni di spettatori, i quali non aspettavano altro che rivederlo e risentirlo sulla scena.
Com’è nato il tuo percorso artistico? Parlaci un po’ di te e della tua storia.
La nascita del mio percorso artistico risale alla metà degli anni ’90. Io ho iniziato come facevano tutti a quel tempo, con diversi anni di gavetta. Grazie ai tanti live e ai concerti nei pub, mi sono fatto conoscere in giro e mi sono avvicinato sempre più al professionismo. Ci sono interpreti più o meno fortunati e io sono stato fortunato, la mia arte è piaciuta al pubblico e ho intrapreso la mia strada, che oramai va avanti da quasi vent’anni.
Sei nello spettacolo dei record, ancora oggi, dopo più di 10 anni, qual è la ricetta del successo di Notre Dame?
Notre Dame de Paris ha riscosso un successo grandissimo e credo che la scintilla venga dai testi. Ogni parola dello spettacolo ha un suo peso e una sua storia e credibilità. I testi non sono mere traduzioni, ma sono parole vive e reali. Il merito va a Pasquale Panella, un vero poeta, che ha dato vita a una riscrittura dello spettacolo, e non a una banale traduzione. Notre Dame ha conquistato tutti, dai più piccoli ai più grandi; quando questo succede vuol dire che c’è un perché, c’è qualcosa che affascina veramente.
Hai cantato “Il tempo delle cattedrali” più di 800 volte. Cosa ancora ti affascina di questo ruolo e di queste canzoni?
Oggi siamo arrivati a circa 820 volte. Mi affascina e mi emoziona il grande pubblico, cerco sempre di trovare il modo di recuperare tra una pausa e l’altra, per rigenerarmi fisicamente e offrire il meglio di me agli spettatori. La tournée è pregna di appuntamenti ma, anche dopo tutto questo tempo, il mio personaggio non mi ha ancora stancato, o sono io talmente affamato o c’è qualcosa che non va o è a tal punto bello Gringoire, che non riesce a stancare mai.
C’è stato un momento in cui “Gringoire” ti è stato “antipatico”?
No no, mai. C’è stato un momento in cui abbiamo un po’ tutti avuto un rigetto del palco, perché le date erano davvero troppe. Siamo arrivati a Napoli senza neanche una pausa da marzo: più di venti spettacoli in un mese e la stanchezza era evidente. Arrivi a un punto in cui hai il “vomito del palco”, ma è una questione di affaticamento fisico, non riguarda il personaggio, che ho sempre amato particolarmente.
Hai iniziato la carriera a circa 30 anni, questo sfata il mito di dover iniziare da giovanissimo.
Sì. A differenza degli anni in cui ho esordito io, ora le cose sono completamente cambiate. Io penso che i ragazzi di oggi non capiscano l’importanza formativa della gavetta, principalmente perché gli mancano gli esempi da seguire. I live nei pub sono stati abbandonati quasi del tutto, purtroppo; erano un’occasione che ti permetteva di vedere da vicino gli artisti, di trarre ispirazione e insegnamento, di poterti innamorare della musica. Anche la continuità era importante, stare in mezzo ai musicisti, osservare e praticare in prima persona erano tutti passaggi essenziali per lo sviluppo di un percorso artistico. Oggi, se hai la fortuna di partecipare a un talent, vivi due-tre mesi di intenso boom di emozioni, applausi (per lo più finti) e riflettori puntati su di te, ma poi quando esci ti trovi spaesato, non riesci a trovare la realtà e la strada da seguire. Manca la gavetta, a me è capitato di cantare anche davanti a sole sette persone, però l’ho fatto ugualmente e con gran voglia, è un passaggio formativo essenziale.
Com’è il tuo rapporto con la fortuna? Pensi che abbia un peso notevole nella carriera di un artista?
Credo che sia importante, ma che debba essere necessariamente accompagnata dal talento. Se non studi, la fortuna serve a poco o a niente, il talento vince sempre. La fortuna a volte la vedi e a volte no, da giovane puoi sfruttarla di certo meglio, ma da grande ti sfugge un po’ dalle mani. Se riesci a riconoscerla, devi proteggerla e curarla, per far sì che non sfumi. Nella vita, la fortuna va trovata in modi diversi a seconda dall’età.
Di tutte le tue esibizioni, quale ricordi con più emozione?
Che domandona! Mescolo un po’ i ricordi dell’Italia e dell’America. Essendo stato in America per due-tre anni (l’anno scorso è l’ultima volta che sono andato), l’emozione più forte è stata forse il mio debutto a New York, a Los Angeles e a Las Vegas. In quelle occasioni, incontri un pubblico con una cultura totalmente diversa dalla tua; ti fai tantissime domande mentre canti e cerchi di trovare le risposte nei loro volti. La seconda grande emozione l’ho vissuta al rientro in Italia. Mi è arrivata la chiamata per Notre Dame, dicendomi che mancavo solo io per riunire il cast, sono andato e mi sono trovato a Roma a fare le prove in una palestra con gli altri ragazzi, che non vedevo veramente da tantissimi anni. L’emozione più forte è stata realizzare che dopo un’ora era tutto come 12 anni prima. Poi, ovviamente, sul palco ogni sera è speciale; in mezzo a tanta gente, ognuno difende l’altro, è bellissimo, siamo davvero una famiglia.
Sei un artista a tutto tondo: musica, teatro e anche una linea di cosmetici.
Cosa ti ha spinto a dedicarti anche al mondo della bellezza estetica?
Credo che sia un aspetto molto importante per un artista. La cura estetica aiuta anche la tua performance, è una parte che tutti amiamo e vogliamo. Il progetto è nato per caso, l’iniziativa è stata apprezzata dai fan e in tournée sono stati venduti subito più di cento profumi. Dopo abbiamo aggiunto la linea delle creme, principalmente perché io amo farne uso e ho appurato che la formula era buona, quindi ne valeva la pena. È stato un progetto spinto dai fan, che mi hanno dato coraggio e hanno apprezzato gli stessi prodotti.

Ho visto che il simbolo del tuo profumo è l’occhio con il trucco di NDP. Ti senti quindi molto vicino a questo personaggio avendolo abbinato anche alla tua linea?
Il trucco originario, in realtà, era differente. Era formato da due semplici righe nere sfumate sugli occhi, ma poi abbiamo aggiunto il blu e il bianco ed è nato il trucco di oggi, quello che amo particolarmente. Gli inglesi e i francesi lo hanno un po’ criticato, non lo volevano inizialmente, ma io ho continuato a insistere e si sono arresi. È il mio trucco, lo è e lo rimarrà sempre, non fa parte degli annali e delle linee dello spettacolo, ma lo sento mio ormai. L’artefice è la bravissima Martina Luisetti, che ha trasformato tutto, dando vita a questo trucco spettacolare.
Gringoire e Dorian Gray, due personaggi molto simili nella loro essenza: poesia e arte si intrecciano in loro. Cosa ami particolarmente di questi personaggi?
Dorian ha una trasformazione e introspezione molto particolari, è un vero esteta, egocentrico, che però piano piano si involve e si trasforma, producendo la parte più brutta di sé. Mi affascina l’idea della bellezza che si trasforma in brutalità; non avevo mai fatto la parte del cattivo, che si rinchiude e diventa una bestia, è un’esperienza unica. Io credo che in tutti noi ci sia una parte bella e una brutta ogni giorno, un angelo e un diavolo che convivono dentro di noi. Gringoire e Dorian sono accomunati dalla cultura e dalla personalità forte e autonoma, sono indipendenti, ma per il resto sono quasi agli antipodi.
Come trascorri i periodi di pausa tra una tournée e l’altra? Quali altre passioni hai?
In questi anni mi è tornato un grande amore per la moto, ma in realtà per ora non faccio altro che cantare. Prima amavo i cavalli, ma purtroppo ho dovuto abbandonare questa passione, perché bisognava curarli troppo e gli spettacoli non mi consentivano di farlo. Per ora dedico me stesso solo alla cura della voce e al canto, per mantenermi allenato e in esercizio ogni giorno.
Sei sempre stato un ragazzo estroverso o è stata la tua arte ad aiutare la tua apertura al mondo?
Fino ai 30 anni è stato veramente difficile aprirmi completamente al mondo. Il teatro ti aiuta tantissimo, ti permette di indossare ogni volta panni diversi e riesci a far fiorire te negli altri personaggi e a mettere da parte ogni timidezza.
