Intervista ai Bluedaze, un incontro musicale tra il giorno e la notte

I protagonisti dell’intervista di oggi sono i Bluedaze, band dream e psych pop di Varese formata da Elisa Begni (voce e chitarra), Nicolò Cagnan (batteria), Manuel Cazzola (chitarra) e Francesco Sergnese (basso e synth). Il loro primo album Skysurfers, prodotto da Martino Cuman (Non Voglio che Clara), vedrà presto la luce ma intanto la band ha già regalato un primo assaggio di questo progetto musicale fresco e promettente.
Ad aprile è infatti uscito Hodad, un brano in cui atmosfera onirica, testo malinconico e sound coinvolgente si mescolano insieme, creando un prodotto che conquista sin dal primo ascolto. Il capitolo uno dei Bluedaze quindi convince a pieno e suscita la curiosità di ascoltare al più presto un altro singolo, in attesa dell’uscita dell’album prevista per il prossimo autunno. Nel frattempo abbiamo scambiato quattro chiacchiere al telefono con Elisa, ecco la nostra intervista.
Ciao, Elisa! Parlaci di Hodad.
Hodad è un brano che ha avuto un sacco di vesti diverse in fase di lavorazione. Nasce con un testo abbastanza malinconico, con al centro cose lasciate in sospeso, ma con una veste molto solare ed estiva. Volevamo creare questo accostamento particolare con l’intento di riuscire a ballare e a lasciarsi andare anche parlando di cose non troppo serene e piacevoli. Musicalmente parlando, durante la produzione del disco abbiamo ascoltato tantissime cose anche diverse tra loro, quindi sono molte le influenze alla base del brano. Hodad però nasce soprattutto dopo un viaggio in Portogallo. La natura incontaminata, il sole, il surf… il tutto ha influenzato intensamente noi e la nostra musica.
Un po’ tutti siamo Hodad, con un senso di appartenenza a un gruppo dal quale in realtà siamo esclusi. Come mai?
Aristotele diceva che siamo animali sociali, quindi tendiamo a stare in gruppo e sentiamo il bisogno di appartenere a una comunità per avere un’identità e sentirci accettati. Tante volte però non c’è un vero legame concreto con il gruppo di cui facciamo parte, se non quello affettivo, come per Hodad.
Parliamo del disco in uscita, Skysurfers. Cosa dobbiamo aspettarci?
Skysurfers è un disco con all’interno due anime molto diverse tra loro. Infatti, c’è una componente malinconica e un po’ più notturna accompagnata da una che è spensierata e diurna. I brani, tutti in inglese, compiono un proprio percorso individuale quindi c’è grande diversità, una varietà emotiva e tematica. Il filo conduttore è però l’idea del flusso di coscienza che crea fotografie di momenti di vita vissuta.
Infine, come state vivendo questo periodo di isolamento?
È tutto molto strano, ma nonostante le difficoltà cerchiamo di vivere il nostro quotidiano come un’opportunità di crescita personale e professionale, studiando e scrivendo nuovi pezzi. La situazione è delicata e al dramma che stiamo vivendo si aggiunge anche un sorriso amaro che nasce dal pensiero che finalmente il nostro progetto era pronto per vedere la luce e invece deve ancora camminare a rilento, a piccoli passi.
In scalpitante attesa di ascoltare i nuovi pezzi della band e vedere i videoclip, vi lasciamo intanto in ascolto di Hodad.