Storia e fasti dei giardini medicei
Continua la pubblicazione, per i tipi di Olschki, dell’opera di Angiolo Pucci “I giardini di Firenze”. Nel terzo volume, il patrimonio architettonico e monumentale delle ville medicee, per la prima volta raccontato in un’unica opera. Pp. XXXII-642, con 210 illustrazioni nel testo. Euro 48. Il volume è inserito nella collana “Giardini e paesaggio”.
La bellezza della Toscana (e dell’Italia), risiede anche nell’intelligenza con cui nei secoli si è saputo addomesticare e modificare il paesaggio, perché servisse ai molteplici scopi delle attività umane. Il piacere del buon vivere non è l’ultima di queste, e la bellezza del paesaggio ne è un elemento imprescindibile. Nel terzo volume della sua monumentale opera dedicata ai giardini di Firenze, Angiolo Pucci (1851-1934) racconta la nascita, e la conservazione nel tempo, dei palazzi e delle ville medicee, con i loro splendidi parchi che destarono, e tuttora destano, l’ammirazione del mondo. A muoverlo, un’indiscutibile passione per il proprio lavoro, ma anche la volontà di catalogare e tramandare ai posteri, le bellezze paesaggistiche della città, che sono numerose anche grazie ai lasciti della dinastia Medici. Il volume Palazzi e ville medicee è curato dallo storico Mario Bencivenni e dall’architetto Massimo de Vico Fallani, e aperto dalla loro approfondita premessa che traccia un esauriente quadro sia dell’opera del Pucci, sia del contesto in cui operò.
Le origini di Firenze quale “giardino d’Europa”, risalgono al primo Cinquecento, quando la famiglia Medici, ormai consolidato il proprio potere sulla città, iniziò a dedicare particolare cura alle sue dimore, e ad abbellirne i parchi circostanti, o creandone di nuovi. Pucci accompagna il lettore alla (ri)scoperta delle ville e dei giardini medicei, e inaugura questo viaggio ideale dalla grandiosità di Palazzo Pitti e del Giardino di Boboli, proseguendo per altri edifici cittadini come il Casino di San Marco e Palazzo Riccardi, e spingendosi poi al di fuori della cerchia d’Arnolfo (ancora in piedi quando Pucci si accinse a scrivere la sua opera), racconta le ville della collina (fra cui quelle di Castello, La Petraia, Pratolino, Poggio Imperiale), e del territorio circostante, quali Poggio a Caiano, Lappeggi, Cafaggiolo, Artimino. Ognuno dei capitoli è strutturato in modo da fornire approfondite nozioni sull’edificio in questione, inquadrandolo nel territorio, con informazioni sulle giurisdizioni amministrativa ed ecclesiastica, ma soprattutto riguardo alla sua nascita e all’eventuale acquisirne successiva da parte della famiglia Medici, com’è stato il caos di Palazzo Pitti, costruito negli anni Trenta del Quattrocento, per volere di Luca Pitti, e acquistato dal Duca Cosimo nel 1549. Pucci ricostruisce anche la storia architettonica degli edifici, documentandone ogni successiva modifica, sulla base di numerose fonti di importanti autori, quali Giorgio Vasari, Giovanni Anguillesi, Antonio Targioni Tozzetti. Il volume di Pucci costituisce quindi un importante documento monografico sulle ville medicee, il primo che abbia riunito fonti diverse sull’argomento, arricchendole con gli scritti dell’autore in materia di paesaggistica e arte del giardino, forte di un’esperienza maturata come sovrintendente ai Pubblici Giardini prima, e docente presso la regia Scuola di Pomologia poi. La seconda parte di ogni capitolo, infatti, è dedicata al giardino o al parco che circonda l’edificio in questione; Pucci lo racconta come se fosse un’opera d’arte, quale di fatto è, descrivendone minutamente gli aspetti formali ed estetici, ed entrando nello specifico delle specie arboree e floreali che lo “abitano”.
In apertura di trattazione, si può apprezzare la riproduzione della Pianta con itinerario per la visita alle Ville Medicee, realizzata da Tommaso Buzzi nel 1931, in occasione della mostra Il giardino italiano, tenutasi in quell’anno a Firenze. Coincidendo in buona parte con l’opera di Pucci, la mappa aiuta a comprendere la dislocazione delle ville volute dai Medici, e dà la misura di un posizionamento dovuto anche a ragioni di controllo politico del territorio. Che la politica, all’epoca, avesse anche buon gusto, e si circondasse di segni esteriori dall’elegante magnificenza, lo si comprende osservando le belle immagini che accompagnano l’opera, e leggendo gli approfondimenti di Pucci sui singoli edifici e giardini. A Palazzo Pitti e a Boboli Pucci riserva il capitolo più lungo del volume, ma anche le altre ville ricevono comunque adeguato approfondimento, anche attraverso le vicende personali degli stessi Medici; si scoprono così i gaudenti festini che si tenevano a Lappeggi per volere del Cardinale Francesco Maria de’ Medici; che il Granduca Ferdinando I amava passare la primavera a Villa La Petraia; che Lorenzo il Magnifico preferiva la Villa di Castello. La villa e il suo giardino divengono quindi un elemento imprescindibile al savoir vivre, che pochi fortunati potevano all’epoca permettersi. Non poche erano, inoltre, le ville dove al giardino monumentale si affiancava la tenuta agricola, come ad esempio a Castello; di queste, Pucci dà conto della produzione, delle colture avviate, delle tecniche utilizzate. Unendo così la paesaggistica all’agronomia.
L’attenta narrazione di Pucci, compiuta con un linguaggio e uno stile formali sì – ma non estremamente criptici -, permette la lettura a un vasto pubblico, avendo l’opera un carattere di divulgazione e non esegetico. In questo sta il suo pregio principale, avendo voluto Pucci istillare l’idea che le ville e i giardini medicei appartengano adesso alla città, e siano (oggi come allora), un patrimonio da conservare e valorizzare.
A impreziosire i due volumi, sia le sovraccoperte – sulle quali spiccano belle fotografie d’epoca -, sia l’ampio apparato iconografico interno, con numerose fotografie, mappe dei giardini, vedute cittadine e documenti d’epoca.