Le 5 stragi del Mediterraneo che abbiamo dimenticato: dal ’96 ad oggi
Ogni volta ci costerniamo, restiamo attoniti davanti alle notizie che appaiono sui nostri smartphone e ci battiamo il petto dicendo che, in fondo, non possiamo farci nulla. Le stragi di migranti nel Mediterraneo sono diventate una costante stagionale delle nostre cronache, siamo quasi assuefatti e ci svegliamo per poi riaddormentarci solo quando il numero delle vittime o l’eco mediatica è imponente. Cosa c’è di peggio di una memoria menzognera? Cutro ci ha davvero scosso come se fosse una novità? Vi rinfreschiamo la memoria.
3 ottobre 2013
Partiti dalla Libia, trovarono la morte 368 anime, poco lontano dalla meravigliosa Isola dei Conigli, gioiello di Lampedusa. Dopo le notti in mare, per attirare l’attenzione, qualcuno aveva accesso un panno, una luce di avvistamento, lo sgomento e la paura hanno preso il sopravvento e nel marasma l’imbarcazione si rovescia, ruota più volte su se stessa, inizia l’inevitabile discesa verso l’abisso. È il naufragio più tristemente celebre degli ultimi anni. Quella volta qualcosa si mosse davvero. Lo sdegno generale portò le più alte cariche italiane ed europee ad attivarsi, iniziò di lì a pochi mesi la missione Mare nostrum, sembrava un punto di svolta, non era così.
2 settembre 2015
Il simbolo comunica sempre in maniera rapida ed efficace, suscita emozioni, si carica di significati in grado di sconvolgere. Così è stato per Alan Kurdi, di cui ricordiamo il nome ma non il volto, perché riverso sulla sabbia. Quella notte in un piccolo gommone che a stento avrebbe potuto contenere otto persone, lui e il padre, in fuga dalla Siria cercavano la libertà e la vedevano passare da Bodrum, in Turchia. Ricordiamo che molti di queste donne, uomini e soprattutto bambini, muoiono durante il viaggio, molto lontani da quella che stabiliscono essere la loro destinazione. Alan voleva andare in Canada, non saprà mai com’è fatta l’America.
18 aprile 2015
Il naufragio, a largo delle coste libiche, del peschereccio di nazionalità eritrea che portava con sé un mai ben definito numero di migranti, noto come “la tragedia del Canale di Sicilia”, mantiene ad oggi il primato per numero di morti. Si è stimato che l’imbarcazione contenesse dalle 700 alle 900 persone. Una nave stipata, inghiottita dal mare proprio nel momento in cui incrociava il mercantile portoghese King Jacob. Solo in 28 riuscirono a salvarsi. Era l’anno di Frontex, l’operazione condotta dall’Unione Europea per la salvaguardia delle frontiere. Ancora una volta credevamo che tutelare i nostri confini fosse più importante di salvare vite umane.
4 aprile 2014
Ma in mare non si muore solo per il mare. Gli stenti, la fame e il freddo, dopo giorni, molto spesso mesi di viaggio, hanno la meglio. Chi non ha mai passato la notte su una barca in mare, difficilmente può capire quanto penetrante possa essere il freddo e l’umidità. Chi parte per salvarsi la vita non indossa abiti tecnici, non ha piumoni pesanti e antivento; non porta con sé vivande calde. Solo 17 morti, un numero quasi irrisorio rispetto agli altri qui citati, ma sono corpi che, a poche miglia da un posto sicuro, hanno ceduto per sete e fame. I pericoli di chi attraversa il Mediterraneo non sono fatti solo di marosi.
25 dicembre 1996
Anche se la percezione che abbiamo ci lascia intendere che “l’emergenza migranti” – se questo è il termine giusto di definirla – sia una problematica relativamente recente, possiamo andare indietro nel tempo di quasi 30 anni per renderci conto che non è assolutamente così. La notte di Natale del 1996 è ancora oggi ricordata come la tragedia di Portopalo. La nave F174, partita dalle coste egiziane, ospitava esclusivamente profughi di India, Pakistan e Sri Lanka che prima di giungere in Africa Settentrionale avevano attraversato Turchia e Kurdistan in chissà quali disparati altri modi. L’imbarcazione era di legno, affondò nel silenzio generale, ci vollero giorni prima che i pescatori locali denunciassero il ritrovamento dei cadaveri; temevano venisse interrotta la pesca. La più grave forma di favoreggiamento resta sempre l’omertà.