La verità a galla. La fine del processo Cucchi

‹‹ Non finisce qui ››. Queste sono state le parole di Ilaria Cucchi davanti al corpo del fratello morto nel 2009 e 13 anni dopo quelle parole, Stefano Cucchi può riposare in pace. Lunedì scorso infatti è arrivata la notizia della definitiva condanna dei carabinieri coinvolti in uno dei casi più discussi e intricati della giustizia italiana. Una storia fatta di forza e sofferenza, quella di Ilaria, che per tutti questi anni si è spesa in prima persona per trovare giustizia, e di un sistema macchiato di omertà che ha cercato di depistare in tutti i modi la ricerca della verità.
La condanna
‹‹ Giustizia è fatta ›› questo è stato il commento di Ilaria Cucchi al termine del processo che ha visto la Cassazione, lo scorso lunedì, condannare in via definitiva a 12 anni per omicidio preterintenzionale i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, responsabili dell’efferato pestaggio di Stefano avvenuto nella notte del 15 ottobre in caserma dopo che il ragazzo si era rifiutato di far prendere le proprie impronte digitali.
La sentenza di lunedì sul caso Cucchi ha messo la parola fine ad un calvario e una lotta giudiziaria che la famiglia di Stefano ha vissuto sempre con enorme fiducia nei confronti della giustizia italiano e nello Stato. Spesso è stata Ilaria a dichiararlo – ‹‹ Abbiamo vinto tutti noi, ha vinto lo Stato ›› – lei che ci ha messo la faccia con coraggio dal giorno zero per portare avanti questa battaglia. La sua,una figura sempre composta e forte, anche nel dolore, simbolo di una volontà e di un amore fraterno che va oltre a qualsiasi cosa, anche ad un sistema che ha cercato in tutti i modi di insabbiare le colpe e la realtà dei fatti. ‹‹Sono una superstite insieme ai miei genitori. L’odio non mi appartiene, ne sono fiera›› ha raccontato intervenendo venerdì scorso al programma di La7 Propaganda Live.
La cronistoria del processo
Ma quello di lunedì 4 aprile 2022 è solo l’ultimo tassello di un lungo percorso fatto di 150 udienze che si sono susseguite in quasi tredici anni. In un primo momento tutti gli imputati erano stati assolti per insufficienza di prove. I testimoni chiave che fecero riaprire il caso furono Riccardo Casamassina e il vicebrigadiere Francesco Tedesco che nel luglio 2018 cominciò a raccontare di aver assistito in prima persona al pestaggio di Stefano all’interno della caserma Appia di Roma, dichiarando che due in particolare ne erano stati gli autori. Da quel momento in poi sono cominciati a cadere tutti i castelli di un sistema che voleva, come riportato in alcuni verbali, che la morte di Stefano Cucchi fosse additata a lui stesso e alla sua famiglia. Il giovane ragazzo romano era stato accusato di essere tossicodipendente in fase avanzata, anoressico e sieropositivo.
Nel novembre 2019 in primo grado Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro erano stati condannati a 12 anni di reclusione per omicidio preterintenzionale per aver causato la morte di Stefano nella notte fra il 15 e il 16 ottobre 20019 con un violentissimo pestaggio la notte del suo arresto, condanna che il 7 maggio 2021, in Appello, era stata aumentata di un anno. La Cassazione, lo scorso lunedì ha deciso di tornare indietro di un anno. I due carabinieri dopo la sentenza si sono presentati spontaneamente in caserma. Lunedì la Cassazione ha anche stabilito che dovrà essere ripetuto il processo di secondo grado nei confronti di Tedesco e Mandolini, carabinieri accusati di aver falsificato i verbali dell’accaduto. Giovedì invece altri 8 imputati sono stati condannati per i depistaggi compiuti subito dopo la morte di Stefano.