Caso Attanasio: luci e ombre dell’agguato in Congo

A quasi un anno di distanza dall’uccisione di Luca Attanasio, ambasciatore italiano in Congo, del poliziotto della sua scorta Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustafa Milambo sono stati compiuti i primi arresti. Negli scorsi giorni la polizia della Repubblica Democratica del Congo ha annunciato di aver preso due dei presunti responsabili di queste morti. Il maggior sospettato sarebbe invece ancora a piede libero.
Le indagini
Durante la conferenza stampa, la polizia congolese ha dichiarato che l’idea alla base dell’agire di queste due persone, facenti parte di un gruppo ribelle locale, sarebbe stata quella di rapire l’ambasciatore italiano per chiedere un riscatto di un milione di dollari. La conseguente sparatoria avrebbe però complicato i piani, portando così all’uccisione dell’ambasciatore.
L’ambasciatore Attanasio quel 22 febbraio si sarebbe dovuto recare a far visita ad un progetto del World Food Program per le scuole della parte orientale del paese, spostandosi lungo il parco del Virunga sulla strada che collega la città di Goma a quella di Rutshuru. L’ambasciatore, Iacovacci e l’autista congolese Mustafa Milambo si sarebbero però trovati coinvolti nella sparatoria fra il gruppo dei loro rapitori e i ranger del parco accorsi sul luogo.
Da quello che le indagini hanno ricostruito, lo scontro a fuoco si sarebbe svolto a distanza dal convoglio, nel momento in cui i rapitori attraversavano con Attanasio e scorta, la zona forestale, storicamente nota come una parte poco sicura del territorio perché teatro di diversi scontri armati e attacchi dai paesi confinanti. Iacovacci, morto sul colpo, avrebbe provato a difendere l’ambasciatore con il proprio corpo.
I punti ancora poco chiari
Ma undici mesi dopo, diversi sono i punti d’ombra sulla vicenda. Per fare chiarezza e arrivare alla verità, sull’accaduto sono state aperte tre diverse indagini: quella delle autorità italiane, quella delle autorità africane e quella del Dipartimento per la sicurezza delle Nazioni Unite.
Il primo dubbio riguarda i reali uccisori dei partecipanti al convoglio Onu. Dal confronto dei diversi proiettili trovati sul luogo, è infatti emerso che proiettili dello stesso tipo vennero usati sia dai ranger del parco sia dagli assalitori.
Il secondo dubbio avanzato coinvolge invece la cintura di protezione dell’ambasciatore. Poco dopo i fatti di quel 22 febbraio, è emerso che nel 2018 Attanasio avrebbe fatto richiesta, in seguito bocciata, di raddoppiare la propria scorta. Per togliere ogni dubbio il ministro degli Esteri Di Maio, il 24 febbraio 2021, in occasione dell’informativa urgente alla Camera aveva spiegato come in realtà l’ambasciata disponesse di due vetture blindate con le quali l’ambasciatore, secondo sua decisione, poteva organizzare i propri spostamenti in città e nei luoghi limitrofi.
La terza perplessità si è invece concentrata sulle modalità di spostamento del gruppo. Dalle indagini è infatti emerso che l’ambasciatore e Iacovacci avrebbero viaggiato in un mezzo non blindato e senza giubbotti antiproiettili, che sarebbero stati invece ritrovati successivamente all’interno del bagagliaio. E ciò appare molto strano, trattandosi di uno spostamento organizzato da tempo e che avrebbe dovuto vedere attuate le procedure relative agli spostamenti del protocollo Onu. Il sospetto da parte delle autorità italiane, che hanno chiesto alle Nazioni Unite di aprire un’indagine sul tema, è che lo spostamento dell’ambasciatore italiano non sia avvenuto nelle condizioni di sicurezza migliori possibili e che si sarebbe potuto agire in modo diverso.
Tra le molte testimonianza raccolte, come riportato in un articolo del Post, il mezzo avrebbe viaggiato senza scorta perché la strada al tempo venne considerata sicura. In aggiunta le autorità locali non erano state informate del passaggio su quel territorio del convoglio Onu.
Poco chiara rimane anche la posizione di Rocco Leone, numero due del World Food Program in Congo, scampato all’agguato.