Gilgamesh, un nostro contemporaneo

Il Teatro Carcano di Milano dal 28 febbraio al 5 marzo 2023 ha presentato Gilgamesh, l’eroe che attraversa le acque della morte per trovare l’immortalità.
Si tratta del più antico poema epico della storia, la cui prima versione è stata redatta a caratteri cuneiformi su tavole d’argilla nella Babilonia del XVIII e XVII secolo a.c..
Dalla prima stesura, il testo ha conosciuto varie modifiche sino a quando, intorno al 1200 a.c., un sacerdote Sîn-leqi-unninni, ha riunito le diverse versioni armonizzandole in una versione “standard”. La stessa trovata incisa su dodici tavolette d’argilla del VII sec a.c. nel 1850, a Ninive, da George Smith, un assirologo inglese.
Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta, Giovanni Calcagno ce la raccontano con registri narrativi diversi, su una scena che sa di Mesopotamia.
É Calcagno, che firma anche la regia, ad iniziare il racconto. Sullo sfondo, sfilano immagini video di Alessandra Pescetta, raffiguranti pozze d’acqua all’interno delle quali si profilano tra l’argilla ocra e rami, tratti di statuette preistoriche.
Come un aedo antico, che affida il suo canto alla sapienza e conoscenza della vita che un dio gli ha infuso, così Calcagno, vestito come il pastore errante kirkisi di Leopardi, inizia la sua narrazione.
Ed è subito incanto. Le luci si affievoliscono e rinfrangono una luce giallo-ocra, materica, che ci porta tra le terre desertiche della Mesopotamia.
Come bambini meravigliati e silenziosi lo seguiamo, tra l’acqua e l’argilla del grande diluvio voluto dagli dei per punire la tracotanza degli uomini.
Lui narra, e mentre parla con un accento vagamente arabeggiante, ci abbandoniamo sulle ali della narrazione. Vediamo la terra, che prima inghiotte e poi restituisce e ci avviciniamo alla città di Uruk, dalle grandi torri, dai mille giardini, dallo scrigno prezioso, dove visse il re dei re, il più grande, il più forte: Gilgamesch.
É bello, Gilgamesch, è forte, come un dio. Ma è ossessionato dal bisogno di sottomettere e spesso la sua irrequietezza lo porta alla violenza, al sopruso. I cittadini sono stanchi e mal tollerano il fatto che nessun figlio sia lasciato a suo padre, visto che dispone della verginità di tutte le ragazze della città la prima notte di nozze.
Adirati, chiedono agli dei di aiutarli a contrastare la protervia del loro sovrano.
Ora è Vincenzo Pirrotta che riprende la narrazione. Ha una lunga tunica e modula la voce, introduce il dialetto, crea energia fisica muovendosi con agilità sul palco.
La sua narrazione si intreccia poi con quella di Lo Cascio e cosi si intrecciano anche i tre registri narrativi dando vita ad un gigantesco e raffinato arabesco, mentre la storia continua.
Gli dei ascoltano i cittadini di Uruk e fanno nascere nel deserto, dall’argilla, Enkidu. Lui forte e bello come Gilgamesch, vive allo stato brado insieme agli animali delle steppe desertiche. É l’amore di una bella cortigiana, a farlo arrivare in città.
Dapprima i due si sfidano con violenza, poi diventano amici. Insieme affrontano grandi sfide, uccidono mostri senza mostrare pietà alcuna, anzi portando le loro teste in trofeo, andando così contro la volontà divina che li invitava alla moderazione.
Questo accecamento di onnipotenza irrita gli dei che si vendicano. Enkidu muore. E Gilgamesh realizza per la prima volta che non ha potere sulla morte.
Comincia allora un lungo viaggio per andare a cercare l’immortalità. Più volte pensa di non farcela, si dispera, pensa di morire. Ma poi, dopo aver attraversato montagne, foreste e mari dalle acque mortifiere, arriva alla fine del mondo dove abita Utanapishti.
Lui è il solo uomo cui un dio ha concesso l’immortalità che però non è trasmissibile. Agli uomini, è dato solo di tornare polvere, argilla, gli dice il vecchio saggio. Torna alla tua città, stai con i tuoi figli con tua moglie. Godi della vita e delle piccole gioie che regala!
Allora Gilgamesh si rimette in viaggio per tornare ad Uruk. Ma ora è vecchio, curvo, stanco e piange. E improvvisamente, questo eroe cosi possente, lontano da noi, nato dall’argilla circa quattromila anni fa, che rivive nella voce e nei gesti dei tre magnifici cantastorie, diventa simile a noi.
Succede così un cortocircuito: vorremmo continuare ancora ad abbandonarci alla bellezza del racconto epico, ma nostro malgrado ci troviamo a ripercorrere vorticosamente a ritroso l’intero spettacolo.
Gilgamesh è sempre stato li, accanto a noi, uguale a noi!
Il suo amico è il suo doppio, è Il Lupo della steppa che ci portiamo dentro perché non ci è data una forma fissa e permanente ma dobbiamo trovare noi un equilibrio fra istinto e spirito, tra bene e male, tra luce ed ombra. La loro lotta è quella dell’anima divisa.
E la sua insaziabile irrequietezza non ricorda forse la nostra che ci ha portato sin sulla luna, al centro della terra, a solcare mari e cieli? Il suo delirio di onnipotenza, non assomiglia forse al segno che vogliamo imprimere alla terra e ai suoi abitanti distruggendoli, in questa era di antropocene? Quando uccide inutilmente il mostro, pensando di aver trionfato sul male e non accorgendosi del male che ha dentro che lo rende schiavo di dimostrare di essere il più forte, non assomiglia forse ai duri e puri, a quella giustizia che oggi si macchia dei delitti di Floyd, Cucchi, Aldrovandi e ieri preparava autodafé?
Perfino lo ius primae noctis farebbe pensare alla grande illusione di creare un popolo a propria immagine e somiglianza, una sorta di uomo nuovo, raccontata in Cuore di Cane.
E il ritorno ad Uruk, alle goie della famiglia, della sua comunità, non si avvicina forse al Giardino Segreto di Candide?
Ecco che questo magnifico racconto non è solo la metafora di un viaggio interiore, o la descrizione della vita, talvolta sguaiata, talvolta piena di bellezze, difficoltà, enigmi, capricci. Ma ci parla di noi, dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni, delle paure che abbiamo a conoscerci nel profondo. Noi cosi tronfi e così simili ancora a quell’uomo di quattromila anni fa!
Un plauso al Teatro Carcano che torna al passato con sguardo moderno.
Gilgamesh. L’epopea Di Colui Che Tutto Vide.
Testo E Regia Giovanni Calcagno
Con Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta, Giovanni Calcagno
Composizioni Video Alessandra Pescetta
Musiche Originali Andrea Rocca
Disegno Luci Vincenzo Bonaffini
Consulenza Scientifica Luca Peyronel
Produzione Emila Romagna Teatro Ert / Teatro Nazionale
Teatro Carcano
Corso di Porta Romana, 63, 20122 Milano MI
Telefono: 02 5518 1362
www.teatrocarcano.com