La Madre di Eva, questa non è una pipa

Dal 28 febbraio al 2 marzo 2023 il Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano ha presentato La Madre di Eva, co-prodotto dalla multinazionale dello spettacolo live Stage Entertainment, da Ora one production e Enfiteatro.
Si tratta di una trasposizione teatrale dell’omonimo libro di Silvia Ferreri, finalista al premio Strega 2018, fortemente voluta da Stefania Rocca, qui alla sua prima regia teatrale.
Incontriamo La Madre di Eva, Stefania Rocca, in un’anonima sala d’attesa di un ospedale in Serbia. É nervosa, tesa, sola. Intasata di ricordi e al contempo vuota come una zucca.
Aspetta che sua figlia Eva, appena diciottenne, venga operata per svegliarsi in un corpo di uomo.
Perché questo bellissimo spettacolo racconta di un percorso doloroso e difficile di transizione: una figlia nata in un corpo che sente non appartenerle e chiede sin da piccola ai genitori di poterlo cambiare per affermare la sua identità di uomo.
Il tema dell’identità diventa centrale. Non solo quella di genere, ma l’identità di tutti coloro che vivono anche se di riflesso, questa situazione.
Come nel quadro di Magritte “questa non è una pipa”, La Madre di Eva ci porta per mano con grande delicatezza e sensibilità, nella realtà che ha un nome che nasconde il reale che è negazione della realtà stessa.
La figlia infatti non è la figlia come sembra. É il figlio in un corpo femminile. Ma è troppo difficile, per lei madre, accettarlo.
Per questo ci suggerisce sempre con delicatezza, di non ostinarsi a restare attaccati all’immagine della realtà per la paura di vedere il reale che c’è dietro, inventando raffinate scorciatoie cognitive.
E La Madre di Eva, ce le racconta tutte queste menzogne cerebrali, questi pregiudizi ancestrali, che tanto impediscono l’incontro tra lei e la figlia e costituiscono tappe dolorose di un percorso difficile.
Già in prima elementare la piccola Eva sogna di diventare un bambino e una maestra attenta convoca i genitori perché esplorino questo suo desiderio. I genitori allora fanno finta di non vedere, illudendosi che sia solo una fantasia infantile. Chiudono gli occhi e non intervengono anche quando alle medie cominciano i primi atti di bullismo contro Eva, sempre più sola davanti ad un mondo, ad una scuola non inclusiva che non l’accetta. E continuano a farlo dopo, al liceo, perché, si dicono, è un momento turbolento per tutti, visto che in piena adolescenza muore l’infanzia.
Anche la zia, il nonno, gli amici che ci appaiono proiettati in grandi immagini filmiche, vorrebbero che questa “devianza” venga ricorretta, curata, come se Eva fosse malata e quindi “guaribile”.
E mentre i genitori chiudono gli occhi davanti al corpo della figlia che rivendica la sua identità maschile, crescono i conflitti tra madre e figlia. Eva dà la colpa del suo essere alla Madre che l’ha fatta così ed ora la rifiuta, come un brutto anatroccolo.
Intanto derisa e offesa da chi non vuole accettare le differenze, terrorizzata dal mestruo che si avvicina, Eva comincia a prendere ormoni, ad assumere comportamenti maschili.
Decide poi autonomamente di iniziare un percorso giudiziario che le permetta, al compimento dei 18 anni l’operazione. Ma il legislatore, come la società e la scuola, non è pronto e il giudice le rifiuta il consenso.
E poi succede che La Madre di Eva, davanti alla sofferenza straziante della figlia, capisca.
Non con la testa, ma con il cuore.
Ed ora è li, in quella fredda stanza su una scena scarna occupata sulla sinistra da una fila di sedie della stanza d’attesa, dall’altra da un letto di ospedale dove la figlia è operata.
Si tormenta nell’attesa, in un flusso di pensieri vorticosi, di sensi di colpa, di “se avessi fatto” , di interrogazioni. Destino o genetica continua a domandarsi? O forse una stregoneria ha attraversato la sua placenta quando era incinta, lei che tutte le amiche consideravano sterile? Avrebbe dovuto smettere di lavorare, essere più presente? Ed ora che Eva si sveglierà rinata, con l’identità che ha sempre avuto, ripulita però dagli “errori che aveva addosso”, dopo aver “demolito” e corretto quello che la natura aveva interrotto, La Madre di Eva, che ora si chiamerà Alessandro, chi diventa, chi è stata sino ad ora? Si dovranno forse ritoccare le foto degli album dall’infanzia ad oggi?
Sfilano i ricordi mentre vengono proiettate immagini filmiche di grandi dimensioni. Perché la regia ha scelto, in omaggio al suo maestro Robert Lepage, l’allusione permanente al cinema. Ha inserito inoltre il personaggio del figlio, non presente nel libro, Bryan Ceotto che nell’interpretazione di Eva/Alessandro si alterna nelle varie date con Simon Sisti Aymone, perché emergesse anche il suo punto di vista, la sua rabbia, la sua determinazione, amplificando così al contempo, i conflitti interiori ed esteriori dei due personaggi.
Lo spettacolo ha il grande pregio di parlare a tutti, giovanissimi e meno giovani attraverso i tanti registri narrativi scelti dalla regia. C’è infatti cinema, visual art, teatro, letteratura e musica dal vivo, suonata dal compositore ravennate Luca Maria Baldini, per amplificare la tensione di certi momenti.
La scenografia minimal di Gabriele Moreschi lascia spazio alla complessità dell’argomento mentre le luci di Francesco Vignati, specie quelle a neon, restituiscono il freddo della sala d’attesa che si annida anche nell’animo della Madre.
Ha un forte impatto emotivo e intende offrire uno spazio prezioso di riflessione su un tema considerato ancora un tabù. Produzione e regista hanno avuto diversi incontri con associazioni di genitori e ragazzi che stanno affrontando questo percorso.
La Madre di Eva
Dopo Milano, la Madre di Eva approderà a Roma e in particolare al Teatro Parioli il 27 e il 28 marzo e l’11 e il 12 aprile presso il Parco della Musica.
Stefania Rocca, Bryan Ceotto/Simon Sisti Aymone. E con (sullo schermo) Maeva Guastoni, Francesco Colella, Diego Casale, Vladimir Aleksic, Selene Demaria, Emanuele Fortunati, Silvia Fondrieschi, Vanna Tino, Beatrice Baldaccini, Alessia Rosato, Nadia Scherani, Vittoria Todeschini. Regia di Stefania Rocca