Limbo. Francesco De Carlo ed il viaggio dell’eroe

A Roma c’è una striscia di terra, tra Monteverde e Magliana, che per molti è soltanto di passaggio. Una strada la attraversa, partendo dalla Porta Portese dei rigattieri, delle bancarelle domenicali e dei ritornelli allegri cantati da Baglioni per arrivare fino a Fiumicino. Quella strada dà il nome all’intera zona, quasi fosse una sineddoche: indicare una parte per intendere il tutto.
E questo tutto, queste palazzine, queste discariche, note soltanto per una nomenclatura criminale divenuta negli anni inaspettatamente pop, sono tutt’oggi un habitat con cui Francesco De Carlo necessita di fare i conti.
Limbo, il nome del nuovo show di De Carlo. E manco a dirlo, il limbo è proprio Portuense: con gli amici di sempre, i criminali (anzi, i malviventi) dai soprannomi d’ispirazione zoologica, ma soprattutto una causa scatenante che riporta lo stand up comedian romano a contatto col suo quartiere d’origine.
A Francesco hanno fregato il motorino. Ora lo racconta con serenità, ma è evidente che al tempo il fatto sia stato una sorta di trauma per lui.
Gli aneddoti corrono veloci ed il corollario di necessarie digressioni ci restituisce una storia che somiglia al migliore dei viaggi dell’eroe. Perché ciò che più piace di Francesco De Carlo è la sua capacità di intrattenere costruendo sempre narrazioni unitarie, veri e propri plot che non si nutrono mai di barzellette o semplici macchiette estemporanee. La sua è una narrazione in tre atti perfetta.

La maschera costruita nei precedenti show è oramai consolidata e riempie definitivamente un vuoto profondo della nostra comicità, del nostro cinema, della nostra drammaturgia teatrale.
De Carlo parla infatti di (ed ai) trentenni di oggi, racconta una post-adolescenza potenzialmente infinita in cui il fascino delle droghe leggere ed il sogno di avere una rock band sembrano non morire mai.
Così, dopo l’esordio su Netflix con Cose di Questo Mondo, l’ormai ex componente dei Folli Portuensi (questo il nome del suo vecchio gruppo musicale) ribalta l’internazionalismo raccontato in quella precedente occasione per tornare ad una dimensione più intima del proprio vissuto.
Limbo è una sorta di ritorno a casa, di apparente biasimo della heimat da parte di chi quella striscia di terra maledetta è riuscito comunque a lasciarsela alle spalle.
«Me ne voglio anda’» canticchia ad un certo punto De Carlo. Ed il disprezzo viscerale nei confronti di certe cancrene che attanagliano il suo microcosmo è per certi versi sincero.
Ma altrettanto autentica è la consapevolezza di appartenere ad un universo contraddittorio, fatto di eterni Juve-Roma, coatti monosillabici e pizzerie al taglio onnipresenti. Un ecosistema che forse un romano (come chi scrive) non vorrebbe mai lasciare davvero.
Alla fine, pure quelle sono cose di questo mondo.