«Alex Zanardi, you are an ironman!»
«Che emozione: migliaia di persone che urlano il tuo nome e lo Speaker che dichiara: Alex Zanardi, YOU are an IRONMAN!». Eccolo alle 7:41 il tweet di Zanardi, arrivato dopo aver tagliato il traguardo del triathlon più impegnativo che ci sia, l’IRONMAN World Championship, a Kailua-Kona nelle Hawaii. La «Gara» per eccellenza che vede gli atleti impegnati a coprire le seguenti distanze: 2,4 miglia (3.860 m) di nuoto nelle acque libere della baia di Kailua-Kona, 112 miglia (180.250 m) nella frazione ciclistica attraverso il deserto lavico hawaiano, e le 26 miglia e 385 yards (42.195 m) della maratona lungo la costa della Grande Isola. Questi i numeri di Alex, al suo esordio in questa gara per uomini di ferro: tempo finale di 9h 47′ 14″, 273⁰ su 2187 partecipanti complessivi, 19⁰ su 247 nel suo gruppo età (45-49) e 252⁰ su 1566 partecipanti uomini.
Giusto per capire l’eccezionalità di questa impresa, Zanardi ha corso fra i normodotati, con l’Italia rappresentata anche dall’astronauta Luca Parmitano (1497⁰ in 12h 33′ 42″)e da Daniel Fontana (198⁰ in 9h 37′ 44″) — triatleta professionista argentino di nascita ma naturalizzato italiano — e con Sebastian Kienle, vincitore di questa edizione, a chiudere con un tempo finale di 8h 14′ 18″. Partito con la sua handbike iridata e la carrozzina olimpica, «affascinato da questa avventura» e «attratto dalla possibilità di cimentarsi in qualcosa di nuovo, che va oltre la pura performance sportiva», dichiarando alla vigilia l’obiettivo di stare sotto le dieci ore. Ma in testa il desiderio era di scendere sotto le nove, con quel gusto incontenibile di andare sempre oltre. Il sapore della sfida, quel godimento con il quale si misura e si scopre se stessi, con il rischio di cadere due volte perché dopo il cinquantesimo chilometro il vento inizia a spirare contrario. Nel ritorno invece diventa trasversale: «Peccato che il vento mi abbia fatto tutti i dispetti possibili», un vento che «è come una salita ed è dove faccio più fatica rispetto agli altri», e che crea uno scarto di almeno di mezz’ora in più. Folate che pesano tutte nelle braccia, con seimila calorie spese in una gara senza sosta, dove se non è l’Oceano Pacifico a mettere alle strette, arriva il caldo umido a sfiancare.
A guardare il viso sorridente di Alex e quelle braccia poderose quasi ci si dimentica che le gambe non ci siano, con la frazione in acqua ad essere la più difficile proprio per questo: «Ho preso calci e pugni. Perché gli altri riescono a sprintare con le gambe e infilarsi nelle traiettorie libere, invece io le gambe non le ho», ma almeno per gli squali «per me non è un problema. Basta che mi guardino per capire che qualcuno mi ha già assaggiato… ma evidentemente non ero molto buono». Quarantotto anni tra pochi giorni, Zanardi è un Uomo che non smette di sorprendere e sbalordire con quel suo buttarsi e impastarsi nella vita, che fa emozionare, sorridere e riflettere.
Vero, diretto e con la battuta che spiazza, come quando parla della moglie: «Lei nella famiglia è quella che c’ha il cervello… io c’ho le gambe!» o dell’incidente. Un incidente descritto come un avvenimento che non ha tolto ma ha aggiunto: «Quanto mi è accaduto mi ha arricchito di esperienze che altrimenti avrei completamente ignorato. Certo ci sono state molte difficoltà, ma anche tante soddisfazioni e alla fine non ho alcun rimpianto» perché la vita è un percorso lungo, dal quale s’impara sempre qualche cosa, «eppure siamo consapevoli che moriremo ignoranti perché non si può imparare tutto».
Alex Zanardi qualcosa però l’ha imparata e a guardarlo quel qualcosa arriva fino a noi: andare avanti sempre e comunque, anche quando la realtà ti si para davanti per toglierti le gambe, lui pilota. E l’importante in questa gara da «ironman» nata nel 1978 è appunto non fermarsi, andare avanti per arrivare ed essere un finisher entro il tempo limite delle diciassette ore consentite, a sentire il proprio nome e quel «you are an iroman» anche strisciando se serve, come Julie Moss nel 1982 che, per un problema di disidratazione — altro nemico da affrontare — perde il comando della gara a pochi metri dal traguardo. Il fisico sfiancato ma non la mente di questa studentessa che riesce a chiudere la gara con un secondo posto proprio strisciando su un asfalto caldo come cera colata.
In questo suo eterno ricominciare di imprese ne ha fatte tante e adesso Alessandro Zanardi da Castel Maggiore, «figlio di un saggissimo idraulico e di una fantastica casalinga che ancora oggi mi vuole un bene dell’anima» può guardare soddisfatto al prossimo impegno come pilota sulla fedele Bmw Z4 a Zoelder, Austria, il 17-18 ottobre, penultima tappa del campionato granturismo Blancpain GT Series, con ancora l’incitamento delle persone dell’ultimo tratto di gara a risuonargli nel petto: «Quegli ultimi trecento metri sono la cosa più bella che mi sia successa e a me di cose ne sono accadute molte. Ero sull’orlo delle lacrime e non capita spesso. (…) In questo momento sono troppo stanco per aver voglia di rifarla. Ma domani è un altro giorno».
Sandrino, come viene chiamato dagli amici arrivati fino alle Hawaii, ora ha fatto anche questa «figata pazzesca», ma «non voglio pormi limiti (…). Quando penso di essere arrivato, in realtà scopro che posso spingermi ancora più in là».
Paola Mattavelli
12 ottobre 2014