Rap: una nobile arte al Kento%
Benvenuto Kento, da qualche mese è uscito “ Da Sud”, lavoro a metà coi Voodoo Brothers, in un consolidato connubio tra hip-hop e blues suonato: di che album si tratta?
Mi piace pensare che sia un album molto denso sia a livello di suono che di contenuti. 10 tracce intense e necessarie, nessuna in più messa come “filler” per allungare il brodo. Collaborazioni poche e mirate con artisti che stimo molto, tra cui solo due rapper: Murubutu e Soulcè. È un disco che in questi pochi mesi dall’uscita mi sta portando una grandissima fortuna: lo sto portando in tour in giro per l’Italia, i riscontri sono molto positivi e ci sono altre belle novità all’orizzonte.
Dagli albori della tua carriera ti sei presentato al pubblico come un seguace del movimento posse. L’album, prodotto dall’omonima associazione antimafia “Da Sud”, è di forte impatto sociale. Dalla scrittura come mezzo di combattimento alla denuncia dei crimini di ‘ndrangheta, quale messaggio culturale veicola questo disco?
Partiamo dalle basi: il microfono serve ad amplificare le parole che escono dalla tua bocca. E parola, per me, significa concetto: ho una sorta di perversa ammirazione nei confronti dei rapper che fanno dischi interi pieni di parole senza metterci nemmeno un singolo concetto. Non so come facciano… e a dire il vero non so nemmeno come faccia la gente ad ascoltarli e a farsi prendere in giro in questo modo. Io ovviamente aspiro ad avere un pubblico ampio, ma il mio rap non è per tutti. Non è superficialità nazionalpopolare, non è esaltazione di edonismo e status symbol, non è celebrare mafiosi o pseudo tali con messaggi ambigui. È beat, rima e messaggio. Come è sempre stato e, per quanto mi riguarda, come sarà sempre. Ovviamente il suono e la scrittura cambiano negli anni, ma il mio DNA rimane inossidabile.
Guccini cantava “però non ho mai detto che a far canzoni si fan le rivoluzioni”. Nel video di H.I.P H.O.P un microfono innesca a distanza l’esplosivo di una bomba. Forse con le canzoni non si fanno rivoluzioni ma indubbiamente la musica ha un enorme potere sulla sensibilizzazione delle coscienze.
Esattamente. Il video cita una delle mie fonti di ispirazione principali: i Public Enemy e, in particolare, il video di By The Time I Get To Arizona, dove appunto viene fatta saltare in aria la macchina di un politico razzista come abbiamo fatto anche noi in H.I.P. H.O.P.. Il concetto è lo stesso dell’acronimo del titolo (Ho Idee Potenti, Ho Obiettivi Precisi), in cui la musica e le parole diventano armi di autodifesa contro la violenza del sistema. È un argomento di cui ho parlato spesso nella mia carriera, probabilmente ne è il concetto centrale: la musica racconta, ispira, aiuta a cambiare le cose. Ne sono sempre più convinto.
“Da Sud” è un album schietto, diretto. Affronti il fascismo e la sempre più diffusa intolleranza del diverso, in pezzi come Piazzale Loreto o La Barca. Essendo collaboratore del FattoQuotidianoBlog e mostrando, dunque, sia artisticamente che professionalmente attenzione verso tematiche sociali e politiche, su quali posizioni, credi, sia necessario mantenersi per combattere un mondo che precipita verso orizzonti oscuri, misteriosi ma anche incredibilmente innovativi, sotto la rincuorante egida del populismo?
Mi troverai sempre dalla stessa parte: quella del torto. Quella dei tanti Sud, degli immigrati, dei dimenticati, dei bastardi. Dal lato di chi vuole abbattere le frontiere, non costruirle. Con la certezza che un’alternativa al capitalismo infame e assassino sia non solo possibile, ma assolutamente necessaria. A fare movimento, a scrivere libri e dischi, a rilasciare interviste come questa. A fare rap che non piaccia a tutti, che generi critiche, dissenso, dialettica. Al mio posto.
Duraturo il sodalizio con i Voodoo Brothers, come vi siete incontrati?
Il gruppo è nato, ormai un bel po’ di anni fa, intorno alla mia idea di sound che mettesse insieme il rap dei nostri anni e il blues delle radici. Il suono è stato sviluppato in maniera estremamente originale da Jolkipalki e Shiny D, e ormai ha il suo tocco distintivo come un buon liquore invecchiato. Può piacere o non piacere, ma non assomiglia a nient’altro che abbiate sentito finora.
Porterai “Da Sud” in qualche live?
Fortunatamente il calendario dei live è molto ricco, basta cercare le mie pagine sui social network per essere aggiornati. Uno degli appuntamenti più insoliti per me è quello del 9 luglio a Umbria Jazz, un palco su cui sono saliti i più grandi nomi della musica mondiale e su cui sarò il primo rapper italiano e il primo in assoluto dopo The Roots. Lo affronterò con la stessa carica e rispetto con cui salgo sui palchi dei centri sociali e delle feste in piazza. Aggiungo un’altra cosa: a chi mi segue raccomando sempre di farlo dal vivo e non solo su internet: se è vero che l’Hip-Hop nasce in strada, è anche vero che deve continuare a viverci per non perdere la sua spinta propulsiva e la sua carica rivoluzionaria. Ci vediamo sotto un palco nella vostra città!
Ci salutiamo Kento, la tua musica è una nobile arte: quale progetti hai per il futuro?
Ti ringrazio per il paragone con la boxe, lo leggo come un gran complimento. I prossimi mesi mi vedranno sicuramente impegnato a portare Da Sud e il mio libro Resistenza Rap in giro per l’Italia. Ad aprile sarei dovuto andare a Gaza per Gaza Freestyle Festival, un gran bel progetto che purtroppo abbiamo dovuto rimandare a causa dell’instabilità nella Striscia e, se tutto va bene, recupereremo nei prossimi mesi. Un’altra bella sfida che mi aspetta è la pubblicazione dell’edizione americana (i miei amici del Sudamerica mi correggerebbero: “statunitense”!) del libro, che dovremmo a breve annunciare per quest’autunno, accompagnata da un mini tour degli States. Appena avrò i dettagli sarete i primi a saperli.