Nave Diciotti: lo sfinimento etico e politico dell’Ue
Mentre il premier Conte rimane in attesa di qualche “colpo” da parte dell’Ue, 177 persone, per la gran parte di nazionalità eritrea, soccorsi al largo di Lampedusa, sono impossibilitate a scendere dalla nave Diciotti, bloccate al porto di Catania da quasi 4 giorni.
«Ma l’Europa vuole battere un colpo? Ancora una volta l’Italia sta mostrando il suo volto umanitario, ma il prezzo non può essere rimanere abbandonata a sé stessa. Le Istituzioni europee, che pure su mia sollecitazione avevano accolto l’idea di una cabina di regia, cosa aspettano a intervenire per operare la redistribuzione dei migranti che sono a bordo della nave italiana Diciotti, ancorata nel porto di Catania?», ha scritto il presidente del Consiglio.
Per il momento hanno potuto lasciare la nave soltanto i 27 minori non accompagnati, su sollecitazione della Procura per i minorenni di Catania inoltrata nei giorni scorsi. L’operazione di sbarco dei minori si è conclusa ieri sera, intorno alle 23:00. I ragazzi e i bambini saranno trasferiti in due strutture di prima accoglienza, sotto la tutela dei servizi sociali comunali.
Una portavoce della Commissione europea, Tove Ernst, tramite un comunicato parla di “imperativo umanitario” e delle trattative tra Stati: «stiamo ancora discutendo con gli Stati membri». La Commissione Ue ha convocato una riunione, per domani 24 agosto, a Bruxelles, per concordare possibili soluzioni insieme ai consiglieri per gli Affari europei di Italia, Francia, Germania, Austria, Spagna, Portogallo, Lussemburgo, Olanda, Belgio, Malta, Grecia e Irlanda.
Il governo italiano, sotto le direttive del ministro dell’Interno, rimane fermo sulle proprie posizioni: i migranti non lasceranno il pattugliatore della guardia costiera finché i paesi dell’Ue non si saranno fatti carico della ridistribuzione dei migranti, purché non avvenga quanto si è già verificato la volta precedente con il conclusivo sbarco a Pozzallo. Le aspettative del governo sono ben lontane dai risultati ottenuti in quell’occasione, perché come si affrettano a sottolineare sia il premier Conte – «solo la Francia ha onorato l’impegno, accogliendo 47 migranti. Rimaniamo ancora in attesa che la Germania, il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e Malta diano seguito agli impegni assunti» – sia il ministro Salvini – «a proposito dei 450 immigrati sbarcati a luglio a Pozzallo, e che dovevano essere ripartiti tra gli altri paesi europei, solo la Francia ha mantenuto l’impegno» – non c’è stata vera solidarietà e collaborazione da parte dell’Unione europea.
La replica del governo maltese non si è fatta attendere troppo: «le autorità maltesi sono già state messe in contatto con le autorità italiane per adempiere quanto prima agli impegni assunti».
D’altra parte la Libia «rifiuterà qualsiasi iniziativa per il rimpatrio di migranti illegali verso il suo territorio. Non accetterà in nessun modo quel che viene detto in alcuni notiziari circa il rimpatrio di migranti illegali verso i paesi del nordafrica da cui sono venuti», ha affermato il ministro degli Esteri del governo di accordo nazionale, Muhammad Sayala.
Sul versante opposto le associazioni catanesi pro migranti che, sostenendo lo slogan “Facciamoli scendere”, hanno manifestato al Molo per far scendere i 177 migranti “ostaggio della politica”. «È inaccettabile la scelta del Governo italiano, e in particolare del Ministro dell’Interno, Matteo Salvini, di impedire lo sbarco nel territorio italiano delle persone stremate e in precarie condizioni di salute. Nessun obiettivo politico del Governo può giustificare l’utilizzo di centinaia di vite umane come arma di ricatto, considerate carne da macello, non vite e speranze ma numeri da distribuire o respingere. Catania è città di solidarietà e accoglienza e vogliamo che il nostro porto sia immediatamente aperto».
L’inchiesta per sequestro di persona
In una lettera al Viminale circa il caso della nave Diciotti, il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, Mauro Palma, ha scritto: «La mancata autorizzazione allo sbarco, con l’impossibilità di valutare le singole situazioni, appare ancora più critica visto che la maggior parte sono di nazionalità eritrea e dunque in “evidente bisogno di protezione internazionale”. Il trattamento riservato finora è in contrasto con il diritto di accedere alla procedura d’asilo». Palma aggiunge: «Quello che sta facendo il Viminale non ha fondamento giuridico. Le navi della Marina sono territorio italiano, chi è a bordo deve poter esercitare i diritti che hanno coloro che sono nel paese, assicurati sia dal nostro ordinamento che dal diritto internazionale. […] Se uno dei migranti sulla Diciotti ricorresse alla Corte di Strasburgo, il governo rischierebbe molto seriamente una condanna per detenzione illegale. Gli approdi si possono fermare ma nell’ordine di alcune ore e solo per decidere il porto sicuro o per organizzare le operazioni di sbarco. Quello che non è legittimo è tenerli in stallo a causa della conflittualità tra gli stati dell’Ue. Quello che sembra trasparire dal tono muscolare delle dichiarazioni è che vengono usati come strumento. Ma questo non è legittimo, anche se gli altri paesi non hanno rispettato gli accordi e non hanno preso le quote che si erano impegnati ad accogliere. Le persone non possono mai essere messe in mezzo a un conflitto».
Il procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, in qualità di titolare dell’inchiesta sul trattenimento dei profughi, ha ispezionato la nave Diciotti: «La situazione a bordo è critica. Ci sono diversi casi di scabbia». Almeno 13 sono le persone in cattive condizione di salute.
La Procura di Agrigento ha dunque aperto un’indagine per sequestro di persona e arresto illegale. L’inchiesta, per il momento, è a carico di ignoti, ma qualora fossero individuate responsabilità da parte di esponenti del Governo il proseguo dell’inchiesta spetterebbe al tribunale dei ministri.
Anche la Dda di Palermo ha avviato un’indagine per associazione a delinquere finalizzata al traffico di esseri umani.
Eppure il ministro Salvini non indietreggia affatto di fronte all’apertura dell’inchiesta, ma al contrario fa sapere «Non sono ignoto. Sono qua. Sono Matteo Salvini. Senatore e ministro dell’Interno con mandato preciso di difendere i confini e occuparsi della sicurezza di questo Paese. Mi volete indagare? Indagatemi. Mi volete processare? Processatemi. Ho spalle larghe. Ma senza il mio permesso, a parte i bambini, non sbarca nessuno. Se vuole intervenire il presidente della Repubblica lo faccia. Se vuole intervenire il premier lo faccia. Ma per me l’Italia ha già dato. Se l’Europa non fa il suo dovere, per quanto mi riguarda le navi, come arrivano, possono tornare indietro».
Ce n’è anche per la terza carica dello Stato, il presidente della Camera Roberto Fico: «tu fai il presidente della Camera. Io faccio il ministro dell’Interno», replica Salvini al twitt di Fico: «la giusta contrattazione con i Paesi dell’Unione europea può continuare senza alcun problema, adesso però le 177 persone – tra cui alcuni minori non accompagnati – devono poter sbarcare. Non possono essere più trattenute a bordo, poi si procederà alla loro ricollocazione nella UE».
Cosa prevedono gli accordi europei
La nave Diciotti è l’esemplificazione dello sfinimento etico e politico di un’Europa che promette di accogliere i migranti chiudendo i confini dei paesi interni per non farsi attraversare, come è accaduto, fra i tanti casi, anche a Bardonecchia lo scorso aprile.
Dopo il vertice dei leader politici europei di fine giugno, il neopremier Conte sembrava piuttosto fiducioso ed entusiasta degli accordi raggiunti, ma su quali basi?
All’articolo 3 dell’accordo si può leggere, con esplicito riferimento all’Italia: «Per quanto riguarda la rotta del Mediterraneo centrale, dovrebbero essere maggiormente intensificati gli sforzi per porre fine alle attività dei trafficanti dalla Libia o da altri paesi. L’UE resterà al fianco dell’Italia e degli altri Stati membri in prima linea a tale riguardo. Accrescerà il suo sostegno a favore della regione del Sahel, della guardia costiera libica, delle comunità costiere e meridionali, di condizioni di accoglienza umane, di rimpatri umanitari volontari, della cooperazione con altri paesi di origine e di transito, nonché di reinsediamenti volontari. Tutte le navi operanti nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non interferire con le operazioni della guardia costiera libica». E ancora all’articolo 6: «Nel territorio dell’UE coloro che vengono salvati, a norma del diritto internazionale, dovrebbero essere presi in carico sulla base di uno sforzo condiviso e trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, unicamente su base volontaria; qui un trattamento rapido e sicuro consentirebbe, con il pieno sostegno dell’UE, di distinguere i migranti irregolari, che saranno rimpatriati, dalle persone bisognose di protezione internazionale, cui si applicherebbe il principio di solidarietà. Tutte le misure nel contesto di questi centri sorvegliati, ricollocazione e reinsediamento compresi, saranno attuate su base volontaria, lasciando impregiudicata la riforma di Dublino».
Bei propositi ma svincolati da qualunque valore giuridico. È un accordo in cui si fa leva su una “base volontaria” etica, che nel frattempo sembra essersi persa.
La Convenzione di Dublino nega la solidarietà
A costringere l’Italia dentro un ruolo dal quale evidentemente vorrebbe svincolarsi è la Convenzione di Dublino (Dublino III, entrato in vigore il 1 gennaio 2014), il sistema comune europeo sull’asilo, il cui regolamento dotato di portata generale, applicazione diretta e obbligatorietà, «stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide». È, insomma, la Convenzione di Dublino a decidere quale paese debba prendere in carico la protezione di un richiedente asilo.
Fra i punti del regolamento maggiormente contestati, la richiesta di asilo da inoltrare nel paese di prima accoglienza, sovraccaricando i paesi di confine di flussi migratori. L’obiettivo dei paesi di confine (Italia, Grecia, Malta, Cipro, Spagna) è dunque quello di eliminare il criterio di “primo ingresso”, suddividendo da subito i richiedenti asilo fra i paesi membri dell’Ue.
La riforma, di cui si è iniziato a discutere nel 2016 e su cui non si è ancora trovato un compromesso tra gli stati europei, cercava di fissare le quote di ripartizione dei richiedenti asilo all’interno dello spazio europeo: a due anni dalla prima proposta di riforma non esiste ancora alcun accordo.
Lo stesso Cacciari sottolinea l’estrema necessità di riformare la Convenzione di Dublino e più in generale lo spirito europeo: «Mi vergogno di questo paese e di questa Europa». (qui)
I principi vertevano sulla «condivisione equa» di responsabilità (quanti richiedenti asilo per ogni paese) e solidarietà (l’aiuto da fornire ai paesi più esposti e le sanzioni da infliggere a chi si defila). Secondo il primo testo elaborato dalla Commissione, la quota di richiedenti asilo accettabili da un singolo paese doveva essere proporzionata a un doppio criterio: il Pil e la popolazione, con incidenza del 50 per cento ciascuno. Nel caso in cui un paese avesse superato del 150% la sua capacità di accoglienza, ogni nuova richiesta doveva essere reindirizzata in automatico ad altri paesi, con una penale di 250mila euro per ogni richiedente asilo respinto.
Le quote di ripartizione, però, sono sempre state osteggiate, in particolare dai paesi dell’Europa orientale, il cosiddetto gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria).
La Bulgaria, a giugno, proponeva addirittura un testo di compromesso nel quale il meccanismo di ridistribuzione sarebbe scattato su base volontaria solo dopo che un paese avesse raggiunto un sovraccarico del 160% rispetto all’anno precedente, diventando obbligatorio solo al 180%. La proposta bulgara tentava di diminuire anche la penale per il rifiuto di un richiedente da 250mila a 30mila euro, oltre a introdurre il principio di «responsabilità stabile»: uno Stato è obbligato ad accogliere per 10 anni un migrante che entra nel suo territorio. Mentre Cipro, Grecia, Italia, Malta, Spagna chiedevano di accorciare il periodo di responsabilità da 10 a 2 anni. La proposta bulgara prevedeva inoltre delle sanzioni molto severe per i richiedenti asilo che si spostano dal primo paese d’ingresso verso altri paesi dell’Unione, senza tener conto dei loro legami familiari in altri paesi europei.
«Basta pensare ai migranti come pedine o quote. L’Europa deve definire un piano». (Mauro Palma)