Vi racconto il “mio” Pedrini, che torna oggi “Come se non ci fosse un domani”
Nuovo singolo, nuovo album ed un’autobiografia in arrivo per l’ex leader dei Timoria
“Dove vai? dove vai uomo del mondo?” “Cerco chi è degno di me”. Capirete che per un liceale dall’animo imperterrito ed introverso, che a scuola era costretto a studiare il superuomo di Nietzsche ed a casa si perdeva nelle atmosfere fiabesche e mistiche del “Siddharta” di Hermann Hesse, quelle parole furono un vero e proprio colpo al cuore. La canzone era “La città di Eva”, il gruppo si chiamava Timoria, l’album era una copia di “Viaggio senza vento“ comprata a prezzo promozionale in un centro commerciale quattro anni dopo la sua uscita; ed il liceale, banalmente, era il sottoscritto.
Sono passati esattamente vent’anni; vent’anni durante i quali i testi e le musiche di Omar Edoardo Pedrini da Brescia, eclettico chitarrista-compositore-cantante-rocker-poeta-enologo-‘gastronauta’-presentatore-autore televisivo-docente universitario, già leader della “Piccola orchestra-spettacolo Timoria”, hanno scandito momenti belli e brutti della mia e, almeno di un’altra (quella precedente) generazione. Generazioni che hanno vagato insieme a Joe in “Viaggio senza tempo” ed “El topo Grand Hotel”, che hanno ascoltato “E’ così facile” dopo una storia d’amore finita male, che hanno suonato “Sole spento” dentro un garage con 4 amici, che hanno ritrovato nell’epistolare “Sacrifico” parole e sentimenti ‘propri’ verso i genitori, che hanno letto “L’uomo che ride” di Hugo o “Jugendflucht” di Hesse dopo aver ascoltato le omonime canzoni.
“Chiedi chi erano Beatles” cantavano qualche anno fa gli Stadio. “Chiedi chi erano i Timoria” e molti degli adolescenti di oggi ti risponderanno “Timoché?” e forse, i più fortunati (per loro) diranno: “ma quali, l’ex gruppo di Renga?”. Verrebbe da rispondergli di tutto, ma poi, in fondo, forse ha ragione Manuel degli Afterhours quando canta, strafottente, “sui giovani d’oggi ci scatarro su”.
Perché il mondo della musica è si ingrato; ma non in chi la fa, ma spesso in chi l’ascolta. Ed ecco che, o partorisci una hit ad estate, con due accordi ed un ritornello orecchiabile, oppure esci facilmente ‘dal giro’. A chi ascolta e compra musica al giorno d’oggi non importa se dentro la tua c’è ricerca, citazione,contaminazione tra le arti, elaborazione, cultura, tempo: dev’essere pronta e consumata in pochi istanti, come l’hamburger di un fast-food.
Omar Pedrini, classe di ferro 1967, che di botte dalla vita ne ha avute tante, è un artista mai banale, mai scontato, che nel mondo della musica si è ritagliato quegli spazi di “autorevolezza” e saggezza tipici di chi qualcosa di importante ha prodotto, e può assurgere oggi, a poche settimane dal mezzo secolo di vita, a modello per le nuove generazioni. Non a caso, da qualche tempo, per i suoi fan è diventato ‘lo zio Omar’; non a caso, da anni, molte band ‘emergenti’ del panorama musicale italico lo cercano per un consiglio, una featuring, una richiesta di produzione. Quasi trent’anni di carriera, sempre fuori dagli schemi preconcetti, lontano dalle logiche dello show-biz e delle mode musicali, perché, come ripete quasi come un mantra in una sua canzone di qualche anno fa, “ho solo un’anima, e non è in vendita.”
Ricordo quando ebbi finalmente l’occasione di conoscerlo, sei anni fa, durante una manifestazione letteraria in Calabria. Anche allora stupì, come usa di solito fare, organizzando un collegamento in videoconferenza con un giovanotto americano ultranovantenne di nome Lawrence Ferlinghetti, l’ultimo, grande ‘superstite’ tra i ‘fondatori’ della Beat Generation. Avevo già 30 anni e la stessa emozione che avrebbe avuto l’allora liceale sedicenne. Arrivai alla manifestazione con largo anticipo,stringevo tra le mani una copia di “Ora e per sempre”, l’ultimo album a marchio Timoria, ma non ebbi il coraggio di farmelo autografare. Mi venne in mente il racconto di mio fratello e di quanto si sentì bimbominkia quando, già quarantenne, rincorse per i vicoli di Bologna il suo idolo giovanile Paul Weller dopo un concerto per strappargli un autografo.
Mi avvicinai, avrei voluto chiedergli 1000 cose, ma fu lui ad anticiparmi: “ti va un caffè?”. D’istinto, buttai fuori: “sai una cosa? Per comprendere le tue canzoni io ed altri come me abbiamo dovuto leggerci i grandi classici della cultura europea ed americana; hai salvato una generazione dall’inerzia mentale e dall’ignoranza”. Lo vidi sinceramente commosso; “parole come queste valgono più di un premio alla carriera” mi rispose. “Mi dai il tuo numero di cellulare? Giuro che non ti stresso” azzardai, senza crederci più di tanto: il nostro ultimo whatsapp, di una settimana fa, recita: “Ciao zio, ho ascoltato la tua nuova canzone, bella roba, in bocca al lupo per tutto”; “Grazie nipote, a presto <3”
Ah ecco, ora ricordo il motivo di quest’articolo; il nuovo album, certo. Ma tanto, conoscendo il personaggio, dello spot pro album non gliene importa nulla. Ha rifiutato contratti a cifre importanti pur di non fare operazioni ‘nostalgia’ e reunion a gettone dei Timoria, mi perdonerà se in queste righe mi sono abbandonato all’onda emotiva dei ricordi personali, prima di parlare delle novità a suo riguardo. E’ una persona abituata a fare musica per il piacere di farla, a modo suo, e non per il ‘tengo famiglia’; che pure ha, da quando nella sua vita ci sono l’amata Veronica e la piccola Emma Daria. Ma sicuramente gradirà il ritratto umano di cui sopra, dipinto attraverso gli occhi (ed i tasti) di chi scrive.
In ogni caso, dobbiamo finalmente parlare del nuovo album, e proviamoci.
Omar Pedrini è in radio e su Itunes con il suo ultimo singolo: “Come se no ci fosse un domani”. Il brano anticipa l’uscita del nuovo, omonimo album , prevista per i prossimi giorni. Nella track-list si scorge, oltre al singolo ‘di traino’, un tributo a quel Freak Antoni compianto uomo-icona degli Skiantos. Per la copertina del singolo, è stata scelta una foto della manifestazione degli studenti milanesi dell’8 marzo scorso.
Per l’estate, invece, andrà in stampa, per l’editore Chinaski, “Cane sciolto”, la sua autobiografia che, visto il particolare vissuto dell’artista, di certo non potrà centellinare carta ed inchiostro.
L’album arriva tre anni dopo “Che ci vado a fare a Londra”, il lavoro nato e prodotto oltremanica su spinta dell’entourage Oasis e che ha visto nascere un filo con Londra che Pedrini non ha più interrotto. Quel lavoro british, uscito anche su incoraggiamento di tanti, insospettabili amici (primo tra tutti Ron), aveva interrotto un periodo di “introspezione” (e, se vogliamo, delusione) nella quale Pedrini, pur continuando a scrivere canzoni, si era rinchiuso a seguito di “Pane, burro e Medicine” (contenente l’estiva e scanzonata “Shock”) ; album del quale la critica musicale, che da Pedrini si attende sempre e solo episodi dello stesso spessore di ‘Sangue impazzito’, non aveva compreso (e ‘perdonato’) il carattere scherzoso, esorcizzante, ‘unofficial’ e quasi ‘cazzeggiante’ (sia pur impreziosito da liriche ‘intime’ e delicate come ‘La follia’) per lo scampato pericolo dovuto ad un aneurisma aortico, una durissima operazione al cuore ed un lunghissimo periodo di recupero fisico lontano dal palco.
“Come se non ci fosse un domani” uscirà sotto le insegne Warner e si può star sicuri che la major garantirà quella visibilità e valorizzazione che l’artista merita, e che spesso è mancata, oggettivamente, da parte di quella Polygram sotto la quale sono usciti i lavori dei migliori Timoria in un’epoca nella quale il rock italiano era ancora agli albori, e del quale La band bresciana ed i Litfiba sono stati in qualche modo pionieri.
Nel titolo dell’album si può leggere un invito a vivere il presente, l’attimo, fatto da chi ha capito sulla propria pelle che da un momento all’altro la vita può cambiare drasticamente, se non addirittura interrompersi.
Chiedere un giudizio sul nuovo brano è esercizio inutile, se preteso da chi, come il sottoscritto, in materia pedrinologa è assolutamente ed orgogliosamente fazioso e “partigiano”. Viene solo da dire che, per Omar, reduce da operazioni a cuore aperto e lunghissimi periodi di stand-by precauzionali (“ho accarezzato la barba a San Pietro” gli ho sentito dire una volta, ironico), il solo fatto di rivederlo di nuovo imbracciare la sua chitarra è motivo di gioia; che poi lo faccia per cantare capolavori della fattispecie di “Sangue impazzito”, o il jingle di uno spot pubblicitario, farebbe davvero poca differenza.
Si può esser certi che il nuovo lavoro porterà novità soprattutto nel sound, partorito alla presenza di altre due chitarre, oltre a quella ‘maestra’ di Pedrini, che in una intervista televisiva ha confessato anche di avere di recente iniziato ad apprezzare l’uso di quelle pedaliere ed effetti cui era stato sempre particolarmente refrattario in passato.
Così come si può esser certi di ritrovare influenze ‘british’ nate dalle già citate, recenti, frequentazioni londinesi del cantautore, che in occasione della prima sortita ‘musicale’ inglese di tre anni fa ebbe a dichiarare: “avessi avuto l’occasione di lavorare e suonare a Londra a vent’anni, avrei attraversato la Manica a nuoto, stringendo una mia demo tra i denti; oggi mi godo questa piccola soddisfazione restando con i piedi per terra, vivendo giorno per giorno”. In puro Pedrini-style, “come se non ci fosse un domani”.