Playlist- Quando l’indie diventa mainstream: le pagelle dei 6 cantanti che una volta erano di nicchia
Con l’exploit del fenomeno “indie”, il vero significato della parola si è andato un po’ a perdere. Nei primi anni in cui le case discografiche indipendenti avevano cominciato il loro cammino con determinati artisti, questi erano per lo più sconosciuti: seguiti dai veri appassionati,solcavano piccoli palchi e si prendevano colpe e meriti del loro successo (o insuccesso). Poi il boom: con la necessità del diverso, di voci nuove e cose strane da dire, tutto ciò che gira intorno all’indie è andato perso e quei gruppi che, in un modo o nell’altro, vengono ancora chiamati indie si sono ritrovati a riempire i palazzetti e i teatri andando, nella maggior parte dei casi, a scadere nel banale, finendo sul fondo dell’indie, in mezzo al mainstream.
Ecco a voi una serie di cantanti che di strada ne hanno fatta e ad oggi sono tra i più seguiti d’Italia.
1. Lo Stato Sociale. Come non citarli? Uno dei gruppi più famosi d’Italia che nel giro di 5 anni sono diventati il simbolo di una generazione. Sempre sul filo che separa il disastro dal genio, il quintetto di giovanotti ha scalato le classifiche in pochissimo tempo, sfruttando al meglio l’ondata di necessità di nuovo che si sentiva nel 2013. Il problema è che nel 2017 di nuovo continuano a proporne poco e ormai sono andati a fossilizzarsi su un determinato genere musicale che non riesce a coinvolgere più di tanto, sia liricamente che musicalmente. Insomma: a loro, questo diventare “mainstream” ha fatto più male che bene. Voto: 5+
2. Levante. Sound fresco ad ogni lavoro pur rimanendo se stessa, Levnte è una delle voci italiane femminili più interessanti del panorama indie. Non si è smentita affatto con il suo ultimo lavoro, anzi, è un’ulteriore conferma della sua grande bravura. Particolarmente apprezzata dalla “massa” per la sua spontaneità, è stata brava a non averla persa a differenza de Lo Stato Sociale, ma anzi di averla messa in risalto in molte occasioni. Voto: 7 e mezzo
3. Alessandro Mannarino. Realtà romana conosciuta in tutta Italia, un buon acquisto per l’indie italiano in generale, ma un po’ meno con “Apriti cielo”, ultimo singolo del novembre 2016. Del “romanesco” di un tempo è rimasto ben poco se non qualche parola buttata lì per farci contenti e la sua pronuncia; di per sè non sembra avere molto altro da dire e sembra cominciare a cadere nei luoghi comuni e nei cliché che prima o poi ogni cantautore si trova a dover affrontare nella carriera. Speriamo riesca a superare questo momento di stallo poiché era un grande elemento. Voto: 5
4. Management del Dolore Post-Operatorio. Band estremamente interessante che è arrivata al grande pubblico relativamente da poco ed è sempre rimasta fedele a se stessa, crescendo in maniera esponenziale con il proprio pubblico. Da “Norman” a “Naufragando” si riesce a concepire e comprendere il percorso in cui i ragazzi sono incappati prima a caso e poi hanno deciso di percorrerlo per vedere dove arriveranno. Partiti da un sound non definitivo (a differenza degli altri artisti già citati) si sono evoluti un sacco di brano in brano, arrivando all’ultimo capolavoro, con un sacco di autocoscienza. Voto: 8
5. Thegiornalisti. Bravini, ma nulla di più: difficilmente riusciamo a spiegarci tutto il successo che è piombato addosso a questa band romana, senz’altro potenzialmente formidabile ma che ha deciso di non esprimere nulla di sè, in fondo. E non è nemmeno che i suoni sono sporchi, le voci non pulite, il missaggio dei brani pessimo: è proprio che le loro canzoni non vogliono dire niente oltre a quello che le parole stesse raccontano con una superficialità, questa sì, disarmante. Voto: 4 e mezzo e siamo buoni.
6. Brunori Sas. Il cantautore calabrese riesce sempre a sorprendere e divertire e nell’ultimo album lo fa con un sacco di semplicità e onestà. Emozionando anche un sacco, andando oltre il banale e surclassando con eleganza tutti i cliché del genere. La vera rivelazione della playlist; un cantautore che con fatica (e tanta gavetta) è riuscito a raggiungere le “masse del mondo indie” e non solo e se l’è veramente meritato. Voto: 8 e mezzo