Chiedi chi erano gli Emerson, Lake & Palmer

Premessa. Deve essere stato pochi giorni dopo la scomparsa di David Bowie che con qualche amico abbiamo cominciato a ridere e scherzare sul fatto che qualcuno “dall’altra parte” avesse così tanta voglia di mettere in piedi un glorioso festival musicale al punto da richiamare a breve distanza di tempo l’uno dall’altro due mostri sacri del rock come Ian Fraser “Lemmy” Kilmister e (per l’appunto) il Duca Bianco. Un umorismo piuttosto amaro se vogliamo, forse più una maniera “alternativa” di distrarre la mente dalla quotidianità e le membra dal gelo invernale. Seguendo la cronologia, è stata poi la volta di Glenn Frey (voce e chitarra degli Eagles), quindi di Paul Kantner (chitarrista dei Jefferson Airplane, pioniere del rock psichedelico e simbolo di Woodstock), con una leggera scivolata fuori dal genere per non lasciare fuori dai “credits” Maurice White (fondatore e leader degli Earth, Wind & Fire). E a questo punto, è stato inevitabile pensare che la questione si stesse facendo davvero seria, producendo un generale senso smarrimento riassumibile che può essere riassunto con una semplice domanda/esternazione: “Che c**** sta succedendo?”.
Santa Monica (L.A., California), 10 marzo 2016. Nel frattempo, il senso dell’umorismo di chiunque si trovi “dall’altra parte”non ha smesso di darsi da fare, richiamando all’appello stavolta un altro grande membro “dell’ordine dei grandi musicisti del rock”: Keith Noel Emerson. Ma forse sarebbe più giusto dire che il “Signore del Moog” (come era soprannominato dai più) ha ben pensato di presentarsi a questa sorta di grande festival della musica senza un invito, bensì con un colpo di pistola alla testa. Un suicidio in piena regola, figlio di una depressione lacerante legata ad una brutta malattia alla mano destra che ormai da tempo aveva vistosamente limitato le grandi capacità virtuosistiche di uno dei fondatori di quella band simbolo del rock-progressive anni settanta che sono stati gli Emerson, Lake & Palmer.
Chi? Cosa? Dove? Come?. Chiedete chi fossero gli Emerson, Lake & Palmer e riceverete prima di qualche risposta vagamente sensata solo qualche smorfia interrogativa. Troppo eruditi, troppo acrobatici, troppo virtuosi per tempi come i nostri (già “complicati” di per sé per lasciare spazio alla musica colta). Solo una nicchia ristretta di fan irriducibili e per lo più attempati potrà spiegarvi veramente di cosa diavolo si sta parlando: essenza pura di quella mescolanza tra jazz, musica sinfonica e rock primordiale tradotta nella formula definitiva del rock-progressive. Keith Emerson (tastiera e piano), Greg Lake (chitarra, basso e voce) e Carl Palmer (batteria e percussioni) sono i tre musicisti che durante l’epoca d’oro del rock hanno dato vita a una vera e propria macchina da guerra le cui origini si perdono sul finire dei gloriosi anni sessanta. In particolare, fu la collisione tra i Nice di Emerson e i King Crimson di Lake a gettare le basi dei futuri EL&P, avvenuta attraverso la performance musicale più spontanea e genuina di sempre: la jam session. Carl Palmer, invece, aveva solo 20 anni quando nell’aprile del 1970 decise di prendere parte alle audizioni indette dai due per trovare un batterista adatto alla causa. In particolare, il suo nome fu suggerito da Robert Stigwood dei Cream e avvalorato da un curriculum di tutto rispetto dello stesso Carl (con collaborazioni importanti come Atomic Rooster, Arthur Brown e Chris Farlowe), abbastanza convincente da respingere la possibilità di coinvolgere nel progetto Mitch Mitchell dei Jimi Hendrix Experience, e addirittura l’ipotesi di includere lo stesso Jimi. “Keith e io cominciavamo a disperare di riuscire a trovare il batterista giusto – dichiarò Lake durante un’intervista – “Stavamo per andare in America per sentirne altri, ma appena abbiamo sentito Carl suonare abbiamo subito capito che avevamo trovato il tipo giusto. La chimica era perfetta: gli ELP erano nati”.
“Un armadillo cingolato”. Grazie a svariate session ed altrettante esibizioni live (come quella in occasione del Festival Pop dell’Isola di Weight, 29 agosto 1970), il trio britannico ha modo di cominciare a fare il rodaggio della nuova macchina da combattimento, e quindi a gettare le basi di quello che sarà il primo lavoro in studio intitolato semplicemente “Emerson, Lake & Palmer”. L’album si compone di sei brani in totale, rispettivamente tre realizzati in maniera corale dal gruppo e tre gestiti in maniera singola. “Lucky Man” (una delicata ballad acustica dominata dalla voce di Lake) diventa la prima grande hit della band, mentre pezzi come “The Three Fates” e “Tank” rivelano tutta la foga e la bravura di Emerson alle tastiere e di Palmer alle percussioni. L’impatto sul pubblico è impressionante: i tre funzionano alla perfezione e in maniera omogenea pur rimanendo fedeli alle loro singole identità, e a onor del vero la disinvoltura con cui il trio cita passaggi di Bach, Bartok o Beethoven all’interno di lunghi brani dai riff rockeggianti fa un certo scalpore tra i puristi della musica classica e apre di fatto la strada a innumerevoli gruppi meteora specializzati in simili rifacimenti (come gli Ekseption, dalla Svezia, e i Beggars’ Opera). Il 1971 è l’anno della consacrazione: il secondo album (anche stavolta prodotto direttamente da Greg Lake per l’etichetta “Island”) viene registrato in soli sei giorni e diventa un vero e proprio manifesto del rock progressivo: “Tarkus” esce ufficialmente nel mese di giugno e presenta una lunga ambiziosa suite sul lato A e una serie di brani particolarmente disomogenei sul lato B. I testi di Lake sono ambiziosi, Emerson sfodera tutto il suo talento, le citazioni musicali sono sempre più interessanti (come quella della “Toccata e Fuga in Fa Maggiore BWV 540” di Johann Sebastian Bach, che poi finisce per sfociare in un’altra trasposizione dello stesso Bach in chiave jazz) e il contributo tecnico di Eddie Offord è fondamentale. Il risultato è un album visionario che narra le vicende di un armadillo gigantesco e cingolato che volta per volta combatte contro altri esseri per metà reali e per metà macchine: dal trilobite-insetto armato di missili allo pterodattilo-bombardiere, fino alla “manticora” (unico vero personaggio classicamente mitologico, nemesi di Tarkus).
Dopo questo autentico capolavoro, gli Emerson, Lake & Palmer non fanno che arricchire ulteriormente lo spirito degli anni settanta con la loro musica, concorrendo a dare essenza a un eco che sarebbe stato in futuro ricercato e amato con amara nostalgia dai posteri. “Pictures at an Exhibition” (tratto dall’esibizione alla City Hall di Newcastle, 26 marzo 1971) diviene l’album testimone della grande capacità dei tre musicisti di stupire dal vivo, divertirsi e allargare il bacino dei fan amanti del rock progressive. I loro concerti attraversano l’oceano e toccano America (resta nella memoria il più grande show della loro carriera, 6 aprile 1974 al California Jam Festival) e Canada, le registrazioni in studio proseguono (intervallate solo da brevi pause dedicate ai singoli progetti solisti) e danno vita a ben altri 5 album prima di assistere alla conversione del progetto in “Emerson, Lake & Powell” (causa l’impegno preso da Palmer con gli Asia) e vedere consumarsi gli ultimi sorrisi carichi di malinconico piacere dei fan attraverso due importanti reunion (la prima nel 1991 e la seconda nel 2010) e altri due dischi usciti rispettivamente nel 1992 e nel 1994. Almeno prima che la tragica scomparsa di Keith Emerson segnasse del tutto fine degli EL&P.
Ma al di là degli epiloghi più o meno gonfiati a livello mediatico, si sa che il glorioso olimpo del rock non può essere spiegato a parole, ma al massimo seminando piccoli indizi che (si spera) producano abbastanza curiosità da invogliare le generazioni vecchie (e soprattutto quelle nuove!) a cimentarsi nell’ascolto di una musica senza tempo, figlia di un’epoca unica nelle sue diverse evoluzioni e di cui un gruppo come gli EL&P sono veri e propri padri spirituali.
Perciò su le cuffie, chiudete gli occhi e…godetevela.