Rap: musica o poesia?
Siamo abituati a giudicare le cose basandoci su come appaiono e mai per come sono. Siamo abituati, da qualche tempo a questa parte, a suddividere ciò che ci circonda in categorie per agevolarci in questo scorrere del tempo che ci è concesso. Siamo stati abituati a perdere le sfumature, le connessioni, i rapporti che intercorrono tra passato e presente, tra generazioni, tra musica e scrittura.
Ciò accade anche con il rap, genere musicale sviluppatosi attorno agli anni Sessanta in America e diffusosi a partire dagli anni Novanta nel resto del mondo, divenendo negli ultimi anni colonna portante della cultura giovanile anche nel nostro Paese.
La nostra abitudine, o forse sarebbe più giusto parlare di preconcetto, ci fa considerare chi si avvicina a questo genere con sospetto, sospetto per ciò che banalmente ed erroneamente il rap è considerato in Italia: espressione artistica comunque minore poiché nata in un ambiente molto underground e borderline, prolungamento di quella cultura americana continuamente accettata e screditata, motivo di aggregazione di giovani arrabbiati che non trovano altra valvola di sfogo, moda e non stile di vita.
Barre, flow, punchline, dissing. Queste sono le parole che rincorrono quando si parla di rap o ci si avvicina ad esso; questi sono i termini che rivelano l’abbattimento culturale più grande che possa oggi esserci, quello tra cultura alta e bassa, quello che permette di poter definire molti rappers, non solo già affermati, ma anche emergenti, come odierni poeti.
Entrambi scrivono in versi; entrambi usano rime non solo baciate, ma anche alternate, incrociate (definite incastri nel rap), similitudini e paragoni (punchline); entrambi hanno spesso nei loro pezzi un carattere autocelebrativo di difesa del proprio operato e discredito di un altro; se nel rap tale situazione si chiama dissing, nel mondo poetico si chiama tenzone e vede illustri precedenti, ad esempio quello, famosissimo, tra Dante Alighieri e Forense Donati.
Se andiamo a considerare, inoltre, la contemporaneità dei temi affrontati che spaziano dai dissidi verso lo Stato e verso la Chiesa secondo una metodologia di lavoro non dissimile, negli intenti e nell’attenzione metrica, a quella operata da Dante nella Divina Commedia, fino ai temi amorosi paragonabili per certi versi alla poesia stilnovistica italiana, è impossibile non notare la correlazione tra la poesia e la sua controparte più ghettizzata, il rap.
In tale ottica va ad inserirsi il lavoro di Drim, rapper emergente di San Donà di Piave, città della provincia veneziana, dotato di una capacità di scrittura invidiabile che gli permette di giocare con le parole e i significati delle stesse, attraverso una dimensione onirica che se da un lato delinea il suo nome d’arte, dall’altro lo inserisce all’interno di un contesto quasi surreale che nulla ha da invidiare a qualche tela di Magritte.
Drim colora con le parole, il suo flow quasi recitato, la tela bianca che ci circonda parlando di emozioni e di sentimenti con una sincerità tale da divenire disarmante e pura poesia, come dimostra Semicerchi, una canzone che contiene in sé tutti gli elementi per divenire una hit.
Qui Drim dimostra il suo modo di adattare parole e musica secondo un processo creativo che lo avvicina, nonostante la giovane età, al blasonato cantautorato italiano attraverso un flow che danza e sorregge il beat senza farsi sorreggere, dando vita ad una congiunzione alchemica perfetta tra i singoli elementi: la base, le parole, i riferimenti colti che rivelano la sua formazione umanistica, la musicalità quasi recitata che produce nell’ascoltatore una nostalgica malinconia, quasi una versione odierna dell’amor fou bretoniano e del suo desiderio di amare e di essere amati.
L’artista affronta la tematica dell’amore non corrisposto o perduto riuscendo a dare valore a ciò che non è detto, accennando e sfumando le emozioni contraddittorie provate da ognuno di noi nella vita, e riuscendo a dare a ciò nuova luce e freschezza senza cadere nel solito cliché.
Le enormi capacità tecniche e creative di Drim si rivelano non solo nelle sue produzioni, ma anche nel freestyle e nelle collaborazioni nelle quali la sua scrittura unica va ad esaltare quella della controparte senza sovrastare o distorcere, ma esaltando le caratteristiche altrui, producendo un equilibrio sorprendente tra sé e gli altri.
Ecco, quindi, che è proprio grazie a questi nuovi poeti, già celebri o semplicemente emergenti, che la cultura può riemergere, attraverso parole che, se pronunciate per creare coesione e non semplicemente per denigrare, possono donare un valore aggiunto al nostro substrato culturale proprio grazie alla freschezza con le quali vengono incise.
Giulia Jurinich
29 settembre 2014