Volevo magia. Dopo sette anni, il ritorno dei Verdena

Dal 2015, anno dei due volumi di “Endkadenz”, i Verdena erano andati in risparmio energetico, non del tutto in pausa: qualche EP, la colonna sonora di un film e poco altro. Anzi, proprio la colonna sonora del film America Latina dei fratelli D’Innocenzo era diventata la spia del loro ritorno sulle scene italiane. “Volevo magia”, settimo album in studio del gruppo rock bergamasco, è finalmente uscito il 23 settembre.
Un’enciclopedia…
Anticipato da Chaise Longue il 19 settembre, l’album prometteva davvero bene e incuriosiva, ma mai giudicare un album dalla single track, svia da ogni intento. Se il singolo apre placido e tranquillo l’album, allo stesso tempo cela un progetto che ha dell’enciclopedico. Al suo interno, infatti, sono presenti così tanti influssi da poter accontentare ogni appassionato del sottobosco rock, dal grunge al psychedelic, passando per sonorità più dure che sfiorano l’hard rock come in Crystal Ball o in Volevo magia, omonima traccia che intitola il disco.
Buona parte dei testi, come da tradizione verdeniana, risultano ancora composti con la tecnica del cut-up che, se da un lato è un po’ la marca che ne contraddistingue lo stile, questa volta non sembra dare vero risalto alla musica. La percezione, in quasi ogni brano, resta comunque quella di un amore finito.
Tu mi ami mai?
Perdersi è un’agonia
Cambiando idea puoi
È come prestare energia
I cuori dismessi, i dubbi che non hai
È sinergia
…senza struttura
Dopo più ascolti, però, c’è qualcosa che non va, e no, non c’entrano i testi che come sempre sembrano (attenzione! sembrano) sfiorare il non-sense, il problema è che non c’è coesione in tutto il disco. La totale mancanza di unità non appare subito ma da un ascolto attento si evince infine che ogni traccia è decontestualizzata da tutto, un piccolo microcosmo fine a se stesso. E allora è forse così che bisogna apprezzare l’opera, scegliendo al suo interno l’unica traccia che davvero sarà in grado di conquistarci, o forse basterà godere dei riff di chitarra, o ancora della voce di Alberto Ferrari, convincendosi che il prog rock tornerà a salvare il mondo. In fondo, questa è musica che non ha mai chiesto di piacere né ha mai voluto le luci del mainstream. Viene un po’ di nostalgia a pensarci, perché siamo davvero distanti da tracce come Luna o Mina de “Il suicidio dei samurai”, ma questo accadeva nel lontanissimo 2004.
La missione (fallita?)
I Verdena, insieme agli Afterhours e ai Marlene Kuntz, appartengono a quella generazione di artisti che in Italia si è presa sulle spalle l’ingrato compito di mandare avanti un genere che non ha mai avuto davvero grande fortuna. Non a caso, in quanti delle nuove generazioni sapevano davvero chi fosse Manuel Agnelli prima che diventasse giudice di X Factor e padrino dei Måneskin?
Paladini di un rock (indegnamente definito alternativo), ereditato dal Canali dei CCCP; abbiamo la fortuna di avere ancora un paio di gruppi che, anche se gli anni ’90 sono finiti da un pezzo, continuano a restare fedeli a una linea che inizia a sbiadire.