Intervista ai Lilac Will. La dimensione domestica del folk romano
I Lilac Will sono tre amici distanti un paio di fermate di metro l’uno dall’altro, tre menti pensanti tanto diverse tra loro ma che si ritrovano in perfetta sintonia nella musica. Nati come band nel 2014, hanno da poco pubblicato il disco d’esordio Tales from the Sofa, prodotto da Marco Fabi e Luca Carocci, anticipato dal singolo Tell me you love me, nato dalla collaborazione con Roberto Angelini e Claudio Gatta.
I Lilac Will sono Francesca Polli, Vincenzo Morinelli e Giulio Gaudiello. Il loro sound onirico e introspettivo si incontra nei brani con un’atmosfera prettamente folk e dà vita a una realtà intima e immaginifica. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con Francesca; ecco la nostra intervista.
Ciao, Francesca! Iniziamo da Tales from the Sofa. Descrivici l’anima dell’album.
L’album è nato in una dimensione molto domestica, un po’ per gioco. Eravamo a qualche fermata di metro l’uno dall’altro e la voglia di suonare ci ha riuniti, così ha avuto inizio il nostro processo creativo da cui ha avuto vita questo progetto che ci ha un po’ anche sorpreso. In Tales from the Sofa parliamo di noi, delle nostre esperienze e di storie che riguardano chi ci sta intorno.
In Goggles dici “Why were you born with this unnatural, insane, optimism that helps me?”. È così anche nella tua vita?
Sì, c’è la ricerca dell’ottimismo. Io mi sono sempre vista diversamente dagli altri, non so quale sia il motivo. Quando era piccola per esempio tutti i miei amici sapevano nuotare e io ero l’unica che non riusciva a farlo. Cose che erano semplici per gli altri per me erano ostacoli insormontabili. Questo ricordo ha dato vita a Goggles, in cui ci sono io da piccola che non riesco a tuffarmi perché mi bruciano gli occhi e che vedo tutti intorno a me che nuotano senza difficoltà. Un giorno però una mia amica mi ha dato degli occhialini, spronandomi a tuffarmi, da lì è cambiato tutto. Il brano mette in evidenza l’importanza delle persone intorno a te che possono offrirti un punto di vista nuovo e aiutarti così a superare ostacoli invalicabili.
L’ostacolo è la tematica al centro anche di Amy. Qual è stata la difficoltà maggiore che avete riscontrato fino a ora come band?
Forse riuscire a trovare il modo per coordinarci con l’obiettivo di far uscire l’album. Tutti abbiamo vite parallele: io faccio un dottorato in Chimica, Vincenzo ha intrapreso un percorso di ricerca matematica e Giulio svolge l’attività di commercialista. Le nostre abitudini sono quindi diverse e l’ostacolo più grande è stato trovare il tempo per lavorare insieme per l’uscita dell’album, che richiede necessariamente una presenza maggiore rispetto alle serate e alle prove.
I vostri testi parlando di stagioni, del passare del tempo e delle paure. Come avete vissuto il periodo dell’isolamento?
La quarantena è stata per noi un’opportunità per riscoprirci. All’inizio abbiamo sofferto la mancanza delle prove e la lontananza, ma poi ci siamo reinventati e confrontati, rendendo produttivo questo isolamento. Lavorando a distanza abbiamo raggiunto un nuovo equilibrio e il tempo a disposizione ci ha permesso di dedicarci ancora di più alla musica.
In The Street aleggia una sorta di incomunicabilità nei rapporti umani. Da dove nasce?
The Street è frutto dell’osservazione di due tipi di persone quasi agli antipodi ma che condividono lo stesso tipo di disagio, affrontato però in maniera totalmente diversa l’uno dall’altro. L’incomunicabilità è figlia delle diverse esperienze che ognuno di noi affronta durante la propria vita, magari il nucleo è lo stesso, ma le situazioni sono differenti e ciò comporta visioni quasi opposte del problema.
Dopo l’esperienza ben riuscita con Roberto Angelini, con chi vi piacerebbe collaborare in futuro?
Abbiamo da poco realizzato una cover di Gnut, un cantautore campano che apprezziamo particolarmente. In futuro, ci piacerebbe molto collaborare anche con Motta e con Truppi, un artista che tutti quanti stiamo ascoltando molto ultimamente.